Al Teatro della Cooperativa e, a Udine, al Palamostre, le tavole del palcoscenico diventano spazio liberato di confronto civile


Il pudore e il rispetto mi impedirebbero di scrivere questa recensione, che è dovuta ma che vorrei sinceramente evitare. La ragione non è il rispetto della morte, non ho mai creduto nella buon’anima dell’estinto e nella parafrasi del dolore: il cancro è cancro, la morte ha diritto ad avere voce come e quanto la vita.

Deve rientrare a buon diritto nei nostri discorsi e nella nostra coscienza finita in un universo umano che sempre di più cerca di sfuggire alla sua mortalità, esorcizzandola con la chirurgia estetica e l’ossessione consumistica.

Il pudore deriva dal fatto che ognuno di noi potrebbe ritrovarsi nella situazione di Eluana Englaro o dei suoi genitori e, quindi, il distacco giornalistico che servirebbe per giudicare uno spettacolo, dal punto di vista formale e del contenuto, cede il posto all’emotività e al vissuto individuale. Mi scuso, quindi, fin da ora col lettore perché quanto scriverò nasce dalla mia particolare – in senso di unicità di vita – sensibilità e non sarà propriamente una recensione.

Lo spettacolo scritto e interpretato da Luca Radaelli ha, innanzi tutto, il merito di affrontare l’argomento col pudore di chi è cosciente di non aver conosciuto personalmente Eluana Englaro e, per questo, non volersi arrogare il diritto di rubarle voce, ricordi ed emozioni mai sperimentati. Radaelli, come Marco Paolini, racconta con lucidità e commozione una storia, il primo quella di Beppino e Saturna Englaro, e il secondo delle vittime del Vajont e di Ustica. Un teatro civile, quindi, nel senso più autentico del termine: perché il teatro sembra essere l’ultimo spazio tuttora libero dove il pubblico può confrontarsi con fatti ed emozioni, tentando di capire.

Qui – lontano dalle arene mediatiche dove tutti pensano di avere la verità unica e assoluta, dove la ragione si conquista a forza di urla – è con la semplice arma della poesia, del racconto e della musica che una comunità può elaborare il proprio vissuto e i propri miti e, attraverso una veglia laica, ottenere quella catarsi che, nella tragedia greca, non era che un atto di purificazione e di riconciliazione con la vita e la comunità. E alla catarsi si arriva solo attraverso la morte.

Veglia per E. E. ha questo merito, di essere forma pura di teatro. Non imbonimento propagandistico o comizio politico, ma teatro che usa i suoi propri mezzi: un attore che narra; un musicista che sottolinea alcuni momenti con canzoni e melodie – quasi coro tragico; una platea che partecipa mangiando e bevendo – in senso letterale – come si fa durante una veglia – ne so qualcosa io che sono di origine calabrese – e, contemporaneamente, ascolta e pensa: partecipando a livello emotivo e traendo le proprie conclusioni liberamente.

Perché in gioco c’è questo: la libertà di scelta di ognuno di noi: non la vita in senso astratto ma la nostra vita in senso stretto.

Radaelli dimostra di essere un grande attore non solo per la presenza scenica, per la capacità di recitare e cantare, emozionando se stesso e il pubblico col racconto anche di altre morti – nello specifico, suo padre – ma perché per un’ora e mezzo non trasforma mai se stesso nel protagonista del racconto ma resta il cantore della narrazione altrui. Mai istrione – figura alla quale ci hanno abituato troppi teatranti – lontanissimo dai giornalisti televisivi primedonne.

Ancora una volta, il Teatro della Cooperativa è spazio per la mente.

Non vi dirò cosa penso io dell’argomento per rispetto proprio a questo spettacolo che meriterebbe la prima serata su La7 – che dedica tanto spazio al bravo Paolini – o su Iris – che la domenica pomeriggio trasmette sempre una pièce – o, meglio ancora, sulla Rai – quel servizio pubblico che finge di dare voce al pensiero comune coi reality dove si vede di tutto: urla, insulti, parolacce e perfino baruffe, tranne un solo momento di confronto civile.Purtroppo ieri sera al Teatro della Cooperativa gli spettatori non erano molti, forse complice il Grande Fratello: autentico simbolo mediatico di quel finto-vero al quale ormai ci siamo assuefatti.

Ma proprio il GF dovrebbe farci riflettere sul nostro livello di comprensione della realtà: ricordo le persone che davanti all’ospedale di Udine portavano il pane per Eluana Englaro. Davvero qualcuno pensa che se la giovane Englaro avesse potuto farsi un tramezzino, i suoi genitori avrebbero chiesto la sospensione dell’idratazione e della nutrizione forzata? Il limite tra vita e morte appare sempre più irreale perché è la vita che si sta trasformando in un processo mediatico: pro o contro qualcosa, mai dalla parte della rispetto e della libertà di scelta individuale.

Oggi alcuni scienziati scrivono sul New England Journal of Medicine che in un paziente in stato vegetativo sarebbe stata registrata con lo scanner una qualche attività nella corteccia cerebrale che gestisce i movimenti, mentre gli si chiedeva di immaginare di giocare a tennis – nessuno sottolinea che il paziente non si è alzato ed è andato a giocare a tennis.

E io mi chiedo: ma se la privazione sensoriale è pena disumana, se essere incarcerati in una stanza due metri per tre senza luce né possibilità di movimento è pena disumana, se essere sotterrati vivi è uno tra gli incubi peggiori e non solo di Edgar Allan Poe, essere imprigionati nel proprio corpo e addirittura averne coscienza è vita o pena disumana e aberrante?Il caso: il fato tragico, il destino, la catena di casualità. Radaelli ci rammenta che tutta la nostra vita è spesso legata a una scelta. Eluana Englaro ne fece alcune quella sera che le costarono indicibile sofferenza.

Come Radaelli racconta del padre, per una volta, mi permetterò anch’io di narrarvi una storia perché, come dicevo a inizio di questo pezzo, questa non è una recensione né potrebbe esserlo.

Nel 1986 moriva Luca Rossi, un ragazzo di vent’anni colpito da un proiettile mentre stava correndo per prendere un autobus. La vicenda giudiziaria che ne è seguita è stata lunga e non è questo né il luogo né il tempo di raccontarla, ma anche in quel caso una serie di sfortunate coincidenze – chiamiamole così – portò alla morte di un giovane.

Ogni anno da allora i suoi genitori, gli amici e i compagni – perché Luca faceva parte di una sezione di Dp – lo ricordano il 23 febbraio: e nessuno potrà mai cancellare il dolore della perdita ma, di anno in anno, vedere che i giovani di allora crescono e si sposano o vanno a convivere, alcuni hanno figli e altri si separano, perdono il lavoro o cambiano città, e tutti si invecchia dà il senso che questa vita deve continuare: la vita vissuta.

Per Luca Rossi resta il ricordo. È tempo che anche per Eluana Englaro resti il ricordo.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro della Cooperativa
via Hermada 8 – Milano
lunedì 8 febbraio, ore 20.45

Stasera, martedì 9 febbraio, ore 21.00:
Teatro Palamostre
P.le Diacono 15 – Udine (in collaborazione con il Comune di Udine).

Una questione di vita e di morte – Veglia per E.E.
di Luca Radaelli
con il prezioso contributo di Beppino Englaro e del suo libro Eluana. La libertà e la vita, scritto in collaborazione con Elena Nave, edito da Rizzoli
con Luca Radaelli
accompagnamento musiche e canto Marco Belcastro
Ultimaluna/Teatro Invito