La camera delle meraviglie

Con Laura Pante, in prima assoluta allo Scompiglio di Vorno, tra bellezza e aspettative deluse.

Si giunge alla Cappella dopo una camminata nella pioggia.
È come entrare in un caleidoscopio. I toni rosati si cacciano a vicenda nella stanza, vorticando paurosamente. Siedi tra gli oggetti della vita – bottiglie, tessuti, animali di ceramica. Wildwood Flower, di June Carter Cash, cala tutto nella dimensione dell’atemporalità, replicando nella realtà l’idillio dipinto dal brano. Respiriamo l’istante incantato e vistosamente kitsch di quella che parrebbe un’esposizione da fiera del vintage.
Al vibrare di sonorità ancestrali, la performer mima lo sviluppo biologico dell’essere umano, dall’organismo sommerso all’anfibio, sino all’avvento della società tribale, dove natura e cultura convergono per la prima volta. E arriva il fuoco, poi il lavoro, poi la distinzione sessuale (la collana, la chioma raccolta). Conclude la performance Baby Can I Hold You Tonight, di Tracy Chapman, cantata in un groviglio di orpelli contemporanei. Segue il tutto una fredda enumerazione degli oggetti esposti, straniati dalla decontestualizzazione.
Quello che abbiamo raccontato è lo svolgimento di Untail 2000.16, installazione/performance di e con Laura Pante, prodotta dall’Associaizone Culturale Dello Scompiglio. L’opera, vincitrice del bando indetto dall’ormai noto progetto Assemblaggi Provvisori #2, che è ancora in corso presso la Tenuta dello Scompiglio, rivendica la messa in scena di una camera delle meraviglie, nella quale i cimeli propri della biologia (modelli anatomici, animali) sono contrapposti a quelli della cultura (le cianfrusaglie che si affastellano nelle nostre giornate). Tutto l’apparato umano è riassunto in uno spazio dove nulla accade, dove “c’è sempre qualcosa che manca, che viene meno e che, sottraendosi, apre lo spazio della familiarità”, come è scritto sull’opuscolo di presentazione. Posti in un freddo scenario museale, i retaggi della cultura sono adesso analizzabili – sedati. Estraniarsi dall’oggetto è il primo passo per dominarlo e, opportunamente, distruggerlo. Lo stesso titolo, Untail, termine puramente inventato, e tuttavia orecchiabile, già sentito, così come il codice pseudoinformatico 2000.16, trasmettono il medesimo, ambiguo modo di porsi dell’artista.
E così, mentre da un lato pare prevalere la necessità di rendere inoffensivo il calore delle abitudini, dall’altro prende piede la comprensione di quanto esse siano foriere di un’incapacità espressiva, là dove il sentimento diventa anchilosato, le nostre profondità inesplicabili (“Years gone by and still / words don’t come easily”).
Nel complesso, un’opera che, come spiega la presentazione, sussiste in “una zona oscura, indeterminata che condivide […] un’analogica inafferrabilità”. Ed è proprio questa inafferrabilità a lasciare perplessi: si ha per l’intera durata della rappresentazione l’impressione di un vuoto urlante. Piccoli elementi preziosi, ma poco coesi. Il mosaico che si prometteva interessante arriva con la percezione di diverse lacune. Indiscutibilmente bello, pecca della medesima incomunicabilità che pare denunciare. Un sogno breve, un miraggio sincero, ma che non travolge con la concretezza che ci si attenderebbe.
Per dirla con Cash: “When I woke from my dreaming my idols were clay / all portions of love had all blown away”.

Foto di Alice Mollica

Lo spettacolo è andato in scena:
Tenuta dello Scompiglio – Cappella
via di Vorno, 67
Vorno – Capannori (LU)
sabato 15 e domenica 16 ottobre, ore 18.00 e 19.15

Laura Pante presenta:
Untail 2000.16
musiche June Carter Cash e Tracy Chapman