A Utøya è morta l’innocenza dei norvegesi

Il peggior attentato terroristico della Norvegia in scena al Litta di Milano. Buone le intenzioni. Ma il risultato zoppica e l’obiettivo resta confuso.

Che cosa esattamente vuol dire Edoardo Erba con il testo Utøya, in scena al Litta di Milano? Lo spettacolo, come hanno spiegato alla fine i due interpreti, Arianna Scommegna e Mattia Fabris, ha preso spunto da un saggio molto interessante e approfondito di Luca Mariani, Il silenzio sugli innocenti (Ediesse) sulla strage del 22 luglio 2011.

Quel giorno, un estremista di destra (poi condannato a 21 anni, il massimo previsto in Norvegia) fece prima esplodere una bomba a Oslo, uccidendo otto persone, e poi sparò ai giovani raccolti in un campeggio organizzato dai laburisti sull’isoletta di Utøya, uccidendone 69 e ferendone 110. L’inchiesta di Mariani, che, nel 2014, ha vinto il premio Matteotti, promosso dalla presidenza del Consiglio dei ministri, si pone domande molto inquietanti: quali contatti aveva l’assassino, Anders Behring Breivik? Come si procurò armi ed esplosivo? C’era (e c’è) in Europa una rete di estrema destra nazionalista, violenta e xenofoba? Come agisce? Chi la sostiene, chi la finanzia? E gli uomini arrestati in Polonia e in Gran Bretagna ebbero contatti con il killer?

In Italia, il leghista Mario Borghezio definì «in qualche caso ottime» le idee dell’assassino. Non erano soltanto eccentricità da bar, tanto che, all’epoca, l’allora ministro Roberto Calderoli dovette chiedere scusa alla Norvegia da parte della Lega.
Tutto questo nello spettacolo non si vede. E fin qui, poco male. In fondo il teatro può fare altro. Il punto è che la scelta di Erba è stata di puntare su tre coppie: i genitori di una ragazzina che dovrebbe essere al campo, due poliziotti (così inetti da farci benedire di non essere protetti dalla polizia norvegese) e due rozzi contadini, ossia una sorella che sembra uscita dalle novelle di Caterina Percoto e un fratello con un serio ritardo psichico. Della strage non si vede niente (ma alla fine non si sa neanche nulla).

Tutto si svolge nei dialoghi strapaesani e banalotti delle tre coppie, interpretate sempre da Arianna Scommegna e Mattia Fabris. L’eclettismo e la bravura di Scommegna qui possono poco per salvare sia i dialoghi, sia il fatto che parole e gesti e toni sembrano molto poco “scandinavi”. Ma anche se si fosse ricreata un’atmosfera alla Ibsen (che comunque la regista Serena Sinigaglia sembra aver voluto suggerire con una scena immersa in un bosco e popolata solo di tronchi mozzi), il problema resta l’idea di base.

Che cosa vuole dire Erba: che Breivik si è avvantaggiato della lentezza un po’ ottusa che viene attribuita ai norvegesi? E allora niente complicità? Solo un filo di razzismo di quella brava gente?

Alla fine, sembra che l’unico ad aver sbagliato tutto è il padre della ragazzina: lui crede nel socialismo e per cercare di raddrizzare una figlia che pensa soltanto allo shopping l’ha mandata al campeggio. Ma la ragazzina è una canaglia: non vi raccontiamo però come va a finire. Evviva, evviva: meglio qualunquisti, bugiardi, indifferenti ma vivi, piuttosto che impegnati, democratici e morti? Non è questo che ha raccontato Mariani. Ma anche se lo avesse fatto, non era il caso di sbandierarlo. Perché 77 persone, di cui 69 ragazzi sono morti, in modo orribile. Se la polizia fosse stata più efficiente ne avrebbe salvato qualcuno. Ma il problema sarebbe rimasto. Tanto che Brenton Tarrant, l’autore della strage di Christchurch, in Australia, dell’estate 2019, si è ispirato proprio a Breivik.

Il problema, cioè, è proprio l’opposto: non si può restare indifferenti davanti al montare della violenza di destra e razzista. Né ignorare le complicità. Mentre anche il pubblico (entusiasta) sembra, alla fine, solidarizzare solo con la madre disposta a tutto pur di salvare la figlia. Insomma, anziché raccontare la strage, il testo appare come un vademecum del qualunquista nostrano, buono, in fondo, anche in casi di mafia.

Magari è vero che pure i norvegesi si comportano così. Ed è sempre importante ricordare che il male prospera nel silenzio dei vigliacchi e degli indifferenti. Ma a questo punto il testo si poteva intitolare anche Capaci e sarebbe stata la stessa cosa.

Lo spettacolo è in scena
MTM Teatro Litta

Corso Magenta, 24 – Milano
dall’11 al 16 febbraio 2020
visto l’11 febbraio alle 20,30

Utøya
testo di Edoardo Erba
con la consulenza di Luca Mariani, autore de Il silenzio sugli innocenti
regia di Serena Sinigaglia
con Arianna Scommegna e Mattia Fabris
scene di Maria Spazzi
luci di Roberto Innocenti
co-produzione ATIR Teatro Ringhiera e Teatro Metastasio di Prato
con il patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia in Italia
(durata: 80 minuti)