L’attesa da Čechov ai giorni nostri

C’è chi resta e chi se ne va. C’è chi ambisce e, a tal fine, fa di tutto; e chi, al contrario, ambisce ma si arrende già prima di cominciare dando la colpa a questo o a quell’altro. La difficoltà di assaporare la vita o renderla migliore è la protagonista di Vania, spettacolo della Compagnia Oyes, andato in scena il 4 aprile al Teatro Florida di Firenze.

Anton Čechov è sicuramente l’autore dell’animo umano. Con le sue opere ha sempre attraversato le paure, le insicurezze e le insidie delle nostre anime contestualizzandole in un dato territorio, in circostanze e condizioni che fanno sì che i suoi drammi ci parlino non in senso astratto ma concreto. Lo fa ne Il gabbiano, ne Il giardino dei ciliegi, e ampiamente nello Zio Vanja.

Per tale concretezza è possibile trasferire le sue opere nel nostro teatro contemporaneo, nel nostro mondo, nei nostri tempi senza tramutarne l’essenza e offenderne gli intenti. Al contrario, è un modo di riflettere sui nostri tempi tramite un autore che, se ci fosse oggi, avrebbe senz’altro molto da dire.

L’indagine fatta da Anton Čechov in Zio Vanja è di supporto a Vania della Compagnia Oyes, anch’essa impegnata nel rivelare le contraddizioni e le difficoltà dell’essere umano di fronte alla vita. Anziché in una Russia di fine Ottocento, la pièce è ambientata ai giorni nostri, in paesino sperduto della Pianura Padana, dove il professore diventa “il Sergio” – padre di famiglia in coma da tempo, che tiene in sospeso il fratello, ma non la moglie e la figlia oramai arresesi al suo stato e impegnate, rispettivamente, a compiangersi e a rivedere la propria vita. Una denuncia del malessere dei quarantenni, convinti di poter “conquistare il mondo” e ridotti a un accontentarsi e arrangiarsi, e dei giovani a cui si impone di pensare in grande ma ai quali non si offrono le occasioni per realizzare i propri progetti.

Tutto gira intorno allo stato di salute del Sergio – il cui luogo deputato, sul palco, corrisponde, non a caso, alla consolle di regia. Maneggiare le apparecchiature del malato equivale a decidere luci e sound e, quindi, incidere sulle vite degli altri personaggi. Non ci sono quinte, ma solo postazioni che si accendono e si spengono a seconda dei turni di parola. Tutto gira intorno “al Sergio” – pretesto o ragione autentica dello stallo dell’intera famiglia.

L’unica che riesce ad andare oltre è la figlia Sonia, la piccola stellina, che prova a volare a Londra, per compiere ciò che lo zio e il suo amico, il dottore, non sono riusciti a fare. Tornerà con un’apparente sconfitta che, al contrario, sarà solo indice di consapevolezza – la consapevolezza di non poter controllare tutto, ma che questa è la vita, e non serve scappare chissà dove, basta affrontare il proprio quotidiano a testa alta assieme allo zio. Una rinuncia, una forma di rassegnazione o una dimostrazione di coraggio nell’affrontare ciò che il mondo ci offre?

Il suo sembra un messaggio rivolto a tutti noi italiani, tra i 20 e 40 anni. Tutti troppo giovani (chi più, chi meno) per rinunciare in toto a sogni e progetti, ma soprattutto per essere sconfitti dalla stanchezza – comprensibile ma non ancora giustificata.
In chiave tragicomica, gli attori di Oyes cercano di comunicarci i lati negativi di questa società senza demonizzarla, bensì invitandoci a un atteggiamento diverso, più aperto alla vita. O meglio, questo è ciò che si può cogliere – ma dipende sempre da chi guarda, e quale parte del bicchiere sceglie. Il legame con un territorio, con delle persone, può essere inteso come una catena, una forma di prigionia, oppure come ragione di vita.

Lo spettacolo, nella sua gradevolezza e comunicatività, scorre per un’ora e mezza in modo piacevole sebbene in continua tensione – perché anche noi, spettatori, attendiamo, assieme a Zio Vanja, che accada qualcosa.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Cantiere Florida

via Pisana, 111r – Firenze
mercoledì 4 aprile

Compagnia Oyes presenta:
Vania
ideazione e regia Stefano Cordella
drammaturgia collettiva
con Francesca Gemma, Vanessa Korn, Umberto Terruso e Fabio Zulu
luci Marcello Falco
costumi e scene Stefania Corretti e Maria Barbara De Marco
organizzazione Valeria Brizzi