Dubliners

La seconda serata della Primavera dei teatri si conclude con ben quattro giri di applausi per gli attori della Compagnia Òyes, che mettono nuova carne al fuoco teatrale russo. «Negroni alla goccia e rotonde al contrario cantando l’Inno d’Italia»; così lo Zio Vanja di Anton Cechov diventa Vania, rivisitazione in chiave moderna del dramma un tempo solo borghese e, oggi, esteso a tutte le classi sociali.

Della malattia non si parla. Mai. E infatti il malato, il fratello di un Ivan a metà tra il romagnolo e il genovese, non si vede. Eppure si sente. Il suono della macchina che lo tiene in vita («stazionario», dicono) scandisce i 75’ minuti di drammaturgia “trasparente”, dove gli attori non escono mai di scena, manichini in attesa di essere scossi, come alberi, dal vento del tempo. Se Cechov ci parlava di un tedio esistenziale che aveva infettato solamente una parte della società di allora, Cordella and co ci mettono davanti all’abyme generazionale super partes, che tocca tanto i giovani quanto i “vecchi”, dove tutti si muovono per inerzia, in attesa di qualcosa.

Lo spettacolo, nato da questa «pervasiva sensazione di stagnamento e immobilismo», riprende i personaggi originali e li immerge nel limbo del presente: Elena adesso è una giovane scalatrice sociale, Ivan è un fallito, sua nipote Sonia sogna una vita mediocre a Londra e il Dottore è schiacciato dall’indifferenza di una sanità fin troppo sterilizzata. «Due cose volevo fare: giocare a pallone e andare a vivere al mare. Non ho fatto nessuna delle due», dice lo zio. Tutti, nessuno escluso, sono vittime della malattia di questo nuovo secolo: l’apatia, la mancanza di passione.

Amori non corrisposti, nostalgie ubriacanti ed euforie chimiche: Francesca Gemma, Vanessa Korn, Umberto Terruso e Fabio Zulli si gonfiano di pathos quanto basta per concludere la battuta, tornando poi a stazionare, a loro volta, in un vuoto meta-teatrale che, forse, vuole simboleggiare la soglia che separa la vita “attiva” dall’ennui privata. Si esce solo quando si muore, o quando si parte per non tornare più.

La drammaturgia collettiva riesce con successo a distanziarsi dal suo progenitore di fine Ottocento e a guadagnare lo status di opera originale, indipendente e in un certo qual modo anche inevitabile. Il risvolto eteroteleuto, dove a tentare il suicidio è Elena, e non Vania, e dove quest’ultimo e la nipote non accennano a ricompense ultraterrene, bensì a rinnovare la propria volontà di radicarsi alla vita, regala allo spettatore una piacevole brezza di speranza che, di questi tempi, risulta un bene di primissima necessità.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno del festival Primavera dei Teatri
Protoconvento Francescano, Teatro Sybaris

via S. Francesco D’Assisi, 1 – Castrovillari
lunedì 30 maggio, ore 21.00

Vania
ideazione e regia Stefano Cordella
drammaturgia collettiva
con Francesca Gemma, Vanessa Korn, Umberto Terruso, Fabio Zulli
disegno luci Marcello Falco
costumi e realizzazione scene Stefania Corretti e Maria Barbara De Marco
organizzazione Giulia Telli
una produzione Òyes
con il sostegno di fUnder 35 e MiBACT/Regione Umbria/Comune di Gubbio/URA