Talento under 30

teatro puccini altopascioTra fantasia e memoria, i riflettori del Teatro Puccini di Altopascio si puntano sulla nuova generazione.

I giganti sono a posto, stasera. Sonnecchiano sui loro troni, stanche le membra, pallide le chiome. Don Giovanni è trascorso e così Pirandello con il ciclico tormento. Nessuno li interpella, stasera.
Qui, al Teatro Puccini di Altopascio, fumano gli ingranaggi di un nuovo motore. Sotto l’epidermide, senza lo scalpore che ben conosciamo, come per tutte le cose che devono crescere, dispiegare le ali, spiccare voli, plasmare il futuro. Oggi è di scena la Piccola Compagnia del Teatro Puccini e
lo spettacolo è Venticinque Metri di Fango.
Sabato 18 ottobre. Il Puccini ha una sala piccola ma moderna negli arredi. Attorno, parecchie persone e il consueto brusio. Fuga del sipario, silenzio. Inizia.
Liberamente ispirato a Seppellire i Morti, di Irwin Shaw, Venticinque Metri di Fango si depone da solo tra i crisantemi della memoria, sulle spoglie ancora fresche della Grande Guerra. Sceglie di farlo ma lo fa diversamente, soffondendo la storia di un macabro, delicato sogno.
Questa è la vicenda, volendola narrare in breve: siamo nel ’15/18, cadono uno dopo l’altro – come gocce di troppo giù da una foglia – i più giovani. Seppelliscili, è l’ordine: perché il morale non precipiti ancora. La terra è il grembo dei morti. Ma cosa fare, cosa fare se gli stessi caduti rifiutano la fossa, se tendono le ginocchia, si alzano sui piedi, parlano e negano? Eppure, si debbono seppellire: è la prassi.
Miriam Iacopi, regista della drammaturgia, ci regala né cronache, né documentazioni: nessuno saprà mai qual è la stagione, il luogo esatto, l’ora diurna o notturna, la battaglia combattuta, le perdite, le uccisioni. Tutto è dislocato, tutto è bandito dalla dimensione terrena. Erriamo, i fuochi fatui con cui condividiamo, non tanto la fugacità, quanto l’assenza di orizzonti certi, in una bolla senza coordinate. Lo spazio è claustrofobico, troppo angusto per i vivi, figuriamoci per i morti. L’impressione è quella di giorni cementati nella resina, di corpi imbalsamati e posti sotto teca a sfidare il corso degli eventi. Sono morti e rifiutano la sepoltura: la natura stessa è nauseata dalla guerra.
L’irrealtà degli eventi è evidenziata da un insieme che tradisce l’artificio: a cominciare dagli spazi neri, i personaggi relegati al proprio posto, la disposizione degli oggetti da collezione (ma questa è la naturalizzazione che opera la guerra), le ripetizioni – un po’ irruente, un po’ meccaniche, ossessive come in un romanzo di Baricco («Ti ha fatto male, John?»; «Fammi vedere il tuo viso») non possono celarne il messaggio sottaciuto, il grido strozzato. Ed è cantato, il grido, da Federico Camici Roncioni, dalle note di Maida Del Sarto e del Barbuto: O Gorizia, tu sei Maledetta, il canto anarchico più volte messo a tacere, talvolta scontato con la fucilazione, è qui l’unico elemento a fornire un contesto, un luogo, una sentenza. Impostato per l’inizio e per la fine. O Gorizia pare condurre l’opera in un abbraccio sconsolato, opera in cui i giovani attori – poiché si parla di una Compagnia interamente composta da studenti universitari – si lanciano in una recitazione ancora acerba, ma vivida e rabbiosa (in particolare quella dell’interprete del soldato adibito alla sepoltura).
Espressivo e irreale è anche il manifestarsi delle donne, accorse alle trincee per convincere figli, mariti, compagni e padri, caduti, a lasciarsi seppellire. I dialoghi sono puri, schietti, a tratti fanciulleschi, ancora come in Baricco, dove bambini mai cresciuti incontrano il male: facendolo e subendolo. Bambini perversi, bambini perduti. E così questi personaggi, smarriti in ogni memoria, in ogni giorno fuorché in quello attuale, sono i tipi caratteriali che rispecchiano un’intera epoca: dalla vanità della donna borghese fino all’astrazione della moglie angelo del focolare.
Poetici i discorsi e intensamente sentiti – forse addirittura troppo, in certi punti – in un’opera già ricca di forme di comunicazione simbolica. Poiché se è vero che la lingua è più tagliente di una spada, ancora più devastante è l’eloquenza del gesto, basti citare un elemento apparentemente insignificante quale la camicia insanguinata che la donna lava distrattamente nei primi minuti di spettacolo e che possiede, in realtà, una portata emotiva devastante. Così come la pantomima che dà il via alla performance, in un crescendo di O Gorizia: il bianco telo da proiezione e le ombre della danzatrice suggellano un passaggio di tempo e di stato – dalla veglia al sogno. O all’incubo, volendo, un incubo sardonico, tinto di una favola amara.
Spari, musica. È finita. Nessuno interpella i giganti. Questa è la notte dell’uomo.
Auguriamo alla Compagnia una lunga ascesa e al Puccini, che stasera inaugura la Stagione teatrale, un’eccellente risposta da parte del pubblico – visto anche il Cartellone di tutto rispetto che presenta.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Puccini
Altopascio (Lucca)
sabato 18 ottobre, ore 21.00

Venticinque Metri di Terra
regia Miriam Iacopi
con Martina Andreini, Ilaria Bargiacchi, Silvia Bertelli, Pasquale Capoluongo, Jacopo Fanucchi, Stefano Giuntini, Jacopo Guidi, Matteo Muzzarelli, Elena Lazzeri,Cristina Lazzerini, Sara Pennati e Gloria Ricci.
partecipazione straordinaria di Federico Camici Roncioni (voce e fisarmonica), Maida Del Sarto (flauto traverso), Il Barbuto (chitarra acustica)

Il Cartellone completo:
sabato 22 novembre, ore 21.00
L’Importanza di Chiamarsi Ernesto
di Oscar Wilde
regia Geppy Gleijeses
con Marianella Bargilli e Lucia Poli

venerdì 12 dicembre, ore 21.00
L’Avaro
di Molière
regia di Claudio Di Palma
Con Lello Arena

domenica 11 gennaio, ore 21.00
Carmela e Paolino Varietà Sopraffino
di Josè Sanchis Sinisterra
tradotto e diretto da Angelo Savelli
con Edy Angelillo e Gennaro Cannavacciuolo

giovedì 22 gennaio, ore 21.00
Gli Innamorati
di Goldoni
regia di Andrée Ruth Shammah

domenica 1 febbraio, ore 21.00
Amadeus
di Peter Shaffer
regia Alberto Giusta
con Tullio Solenghi

venerdì 20 febbraio, ore 21.00
Alla stessa ora il prossimo anno
di Bernard Slade
traduzione e adattamento di Nino Marino
regia di Giovanni De Feudis
con Marco Columbro e Gaia De Laurentiis

giovedì 5 marzo, ore 21.00
Doppio Sogno (Eyes Wide Shut)
dal racconto di Arthur Schnitzler
adattamento e regia Giancarlo Marinelli
con Ivana Monti, Caterina Murino, Giorgio Lupano e Rosario Coppolino

venerdì 20 marzo, ore 21.00
Tale madre, tale figlia
scritto e diretto da Laura Forti
con Amanda Sandrelli