A cosa serve un attore?

Una presa di coscienza narrata con leggerezza e umorismo per mostrare una realtà vicina eppure spesso ignorata o ridotta a fredde cifre e statistiche.

Il monologo di Mario Spallino racconta del suo viaggio dal sud al nord della penisola accanto agli operatori di Emergency: l’assistenza agli immigrati e agli italiani indigenti colpiti dalla disoccupazione e dalla povertà nate da una crisi che da economica e divenuta sociale e sembra non voler passare.

«A cosa serve un attore?» È lo stesso protagonista a domandarselo e a rivolgere la domanda al pubblico. Un attore serve a far aprire gli occhi, a rivelare a chi ascolta una realtà fin a quel momento sconosciuta. Sconosciuta in primis all’attore stesso che deve raccontarla: infatti, è solo grazie al suo viaggio nei luoghi dello sfruttamento e dell’emarginazione che Spallino conosce veramente la condizione di bisogno estremo che affligge larghe fasce della popolazione. Un viaggio tutt’altro che di piacere, dunque, ma al contrario di scoperta e conoscenza.

Oltre le statistiche e la freddezza dei numeri, emergono storie individuali di chi sperava di trovare in Italia la terra promessa e vi ha trovato invece altra sofferenza e condizioni di vita altrettanto precarie. Ma anche quelle dei molti italiani che si sono visti emarginare per la mancanza di un lavoro e di un reddito, rigettati ai margini dalla stessa società cui appartengono. Si rischiano allora le guerre fra poveri, italiani e stranieri, fra chi ha poco o nulla e si contende l’un l’altro il necessario per sopravvivere, comprese le cure mediche gratuite.

Lo spettacolo cerca di spiegare anche il ruolo di Emergency, che opera non in sostituzione ma accanto al servizio sanitario nazionale, come ultimo approdo per chi si vede abbandonato e privato d’ogni sostegno. La scelta di rappresentazione è improntata a una semplicità massima: senza scenografia e con un accompagnamento musicale ridotto al minimo, il corpo e la voce dell’attore sono chiamati a sostenere interamente lo spettacolo e a catalizzare l’attenzione dello spettatore per tutta la sua durata. Un one man show, dunque, che richiede all’interprete una notevole capacità di coinvolgere il pubblico e di accattivarsene la simpatia, affinché quest’ultimo sia disposto a seguirne lo svolgersi del monologo e a condividerne, o almeno a considerane, il punto di vista. L’interprete sceglie a tal fine di alternare i toni leggeri e faceti, le caratterizzazioni regionali e le imitazioni, alle invettive di denuncia che al contrario adottano toni drammatici se non enfatici.

S’introduce così lo spettatore, attraverso il riso e il divertimento, ai temi drammatici che lo spettacolo vuole illuminare e va dato atto all’interprete di aver saputo conquistare l’attenzione del pubblico senza calcare troppo la mano e adottando uno stile di recitazione capace di evitare eccessi in ambedue i sensi: né troppo sbilanciato verso la comicità pure, né al contrario verso il dramma.

Le ridotte dimensioni della sala, poi, consentono una maggior vicinanza fra il pubblico e l’attore che pare quasi rivolgersi ad ogni singolo spettatore come se raccontasse a lui singolarmente cos’ha scoperto durante il suo viaggio. Lo spaccato che ne esce è tutt’altro che roseo e il compito di raddrizzare le cose non spetta certo al teatro o all’arte in generale. Se qualcosa può fare è squarciare il velo su una realtà che spesso smette di fare notizia e diventa uno stato di fatto davanti al quale nessuno si scompone più. In tal senso, e indipendentemente dalla condivisione o meno dell’assunto che lo informa che può avere lo spettatore, lo spettacolo funziona piuttosto bene.

Lo spettacolo è andato in scena
Arci Ohibò

via Benaco 1 Milano
4 dicembre 2016

Viaggio italiano
regia e drammaturgia Patrizia Pasqui
con Mario Spallino
produzione Emergency Ong Onlus