I dialoghi del cuscino

Dalla parola alla scena, la produzione di Federico García Lorca ha riscontrato per tutto il XX secolo di una evidente unanimità di consensi, nonostante un sostanziale fraintendimento e una profonda contraddizione della sua vicenda artistico-personale. Di questa controversia, Yerma è un caso esemplare. Anche nella volenterosa versione di Projecte Ingenu.

Compositore di versi magici e misteriosi, di drammaturgie liriche e simboliche, l’autore spagnolo venne perseguitato e censurato dal franchismo per via dell’esplicita adesione al repubblicanesimo e al comunismo, nonché – in tempi in cui si andava radicalizzando a destra la triade Dio, Patria, Famiglia – per l’inaccettabile omosessualità.

Oltre a renderlo inviso al potere, a causarne la morte per fucilazione e la successiva damnatio memoriae, questa situazione fu però anche alla base della nascita di un mito poi andato ben oltre incontestabili meriti letterari.

Idolatrato per contrarietà, spesso ci si dimentica del radicamento di questo poeta nel proprio tempo e di come non fu in grado di elevarsi da determinati condizionamenti che oggi, senza se e senza ma, potrebbero facilmente essere collocati nel campo di una cultura machista.

Lorca martire della libertà. Lorca esponente di un’arte che intende riscattare la memoria degli ultimi e di chi rimane ai margini della società. Lorca il trasgressivo poeta dell’amore in una Spagna che stava smarrendo la via della democrazia. Vero, ma non si tratta di minimizzare o considerare secondario il fatto di aver pagato con la vita una coerente e impavida resistenza al regime, quanto di scindere l’aspetto politico da quello artistico al fine di non piegare a una interpretazione necessariamente progressista quanto invece, in Lorca, era crudelmente reazionario già un secolo fa.

Yerma è un caso esemplare di questa miopia. Il clima è quello di un pueblo dell’Andalusia, un piccolo paese di lavoratori della terra. Yerma è una giovane ragazza che il padre costringe a sposarsi con Juan. Ma, più che un matrimonio via via sempre più infelice, a tormentarla sarà l’incapacità di dare alla luce quel figlio in cui ella riporre il senso della propria esistenza, del proprio rapporto coniugale e dell’intera società. Yerma, dunque, nomen omen, arida. O sterile, perché Lorca non esplicita chi tra i due fosse realmente responsabile della non gravidanza (o entrambi?), ma, allo stesso tempo, lascia che a gravare sulla donna sia tutto il peso di un immaginario tradizionalista che vede il femminile quale compagna, moglie, madre e null’altro.

Il testo è intriso di riferimenti a tradizioni e atmosfere che il drammaturgo conosceva perfettamente perché in esse era cresciuto. È un contesto dominato dal valore materiale della terra, unica fonte di vita e indipendenza, ma non di autentica libertà o felicità come dimostra il caso di Yerma, la cui solitudine non troverà alcun riscatto in un amore di compromesso.

Infatti, se Juan sarà preoccupato dalla dicerie della gente (non sta bene che una donna sia infelice della stabilità assicuratale dal duro lavoro del marito, che sia tormentata dalla mancanza di una prole e che parli con altri uomini), non sarà solamente perché considera le malelingue come dei benpensanti che non possono più dare il cattivo esempio. Quello che dice la gente, difatti, rappresenta ben più profondamente la vox populi, il megafono di una saggezza arcaica capace di prescrivere e normare la strada per la felicità, una strada rispetto alla quale Yerma sarà continuamente deviata da una sensazione di incompletezza.

Il finale è noto. Esasperata dalla reticenza del marito, che aveva allontanato anche Victor con un abile stratagemma (Victor e Yerma, amici fin dall’infanzia, erano innamorati a loro insaputa), e dopo aver inutilmente cercato aiuto e conforto presso alcune donne del pueblo, Yerma ne (del marito) sarà carnefice dichiarando «maté a mi hijo» e così tradendo come a essere importante non fosse altro che l’aver ucciso quel seme che Juan rappresentava.

Più che l’impossibile maternità e lo stigma sociale o l’idea che la donna sposata debba stare a casa, protagonista della pièce sarà allora l’appercezione di Yerma del proprio stesso destino di donna che vuole il sé solo come madre, nonostante un matrimonio  affatto felice e avesse vivido attorno a sé l’esempio di donne – anche senza figli – diversamente felici.

Come è del tutto evidente, non stiamo parlando di un testo illuminato, ma del canto della mortificazione della donna da parte di un poeta che viveva la propria omosessualità nel senso di colpa instillato da un profondo retaggio cattolico e dal quale non era mai riuscito a prendere intimamente le distanze.

La Yerma di Lorca ripone il proprio senso nell’archetipo della donna provinciale spagnola di inizio secolo, della moglie che esiste per essere fecondata e completata nella maternità, afflitta e straziata da un dolore dovuto non tanto alla mancanza, quanto alla colpa di quella stessa mancanza («y cuando la pena llega a la sangre, ésta se convierte en veneno»). Niente, dunque, a che vedere con ciò che oggi rientra nei canoni di un femminile che, fortunatamente, anni di lotte e di studi di genere hanno completamente ribaltato e riscattato anche da visioni oscurantiste e colpevoliste come questa.

Dopo la sontuosa messinscena di Fui Prospero (o recordando la Tempestad), era con curiosità che attendevamo di veder applicata la struggente poetica teatrale di Projecte Ingenu al pericoloso quadro ideologico di Yerma.

La immaginavamo in grado di riuscire nell’impresa di costruire «una posada en escena contemporània, que reflexiona sobre la fecunditat dels nostres temps»; di porre con credibilità la domanda che ne anima l’intenzione drammaturgica: «preguntar si Yerma era realment un clàssic¿? Si ho era, hauríem de ser capaços d’imaginarla caminant entre nosaltres, responent amb les seves paraules els nostres dubtes, pors, incerteses. La seva actitud ens molestaría tant com ens atrauria: a vegades la trobaríem reaccionària, altres cops massa moderna».

Ma se in Fui Prospero avevamo ammirato una virtuosa interferenza di codici linguistici, in Yerma assistiamo alla semplice e confusa introduzione di alcuni elementi potenzialmente eretici, ma che, di fatto, sia dal punto di vista del testo sia da quello del costume, hanno determinato null’altro che la percezione di uno spettacolo scontato nei contenuti e per nulla contemporaneo nell’allestimento.

La trama originaria rimane sostanzialmente immutata, quasi letterale, dalle prime scene in cui Yerma e Juan sembrano felici all’inasprirsi di un rapporto che degenera sulla questione fondamentale del non avere figli e dell’onore. Juan, infatti, pensa solo a dedicarsi al lavoro per garantire stabilità alla coppia, mentre Yerma è inquieta e non fa altro che uscire di casa, cercando la risposta al proprio desiderio di maternità attraverso la ricerca non di un amante, ma del perché e del come rimanere incinta rimanendo fedele al marito.

Sorprende che Marc Chornet abbia pensato che potesse bastare proporre costumi e gadget incoerentemente moderni nel contesto rurale d’origine, impostare la relazione tra Yerma e Victor come quella di due adolescenti imbranati e dipingere Yerma come una donna angelicata, tutta sorrisi sognanti e modi garbati, per decostruire una possibile via di fuga dalla colpevolezza eterodiretta che Lorca fa gravare sulla protagonista.

L’allestimento perde alcuni elementi simbolici chiave, come la dicotomia tra la sterilità della donna e la fertilità della terra, disperdendo gli elementi scenografici in un naturalismo didascalico (sabbia, i piccoli alberi posizionati durante la rappresentazione) e scevro di vitalità (complice un discutibile disegno luci), mentre i registri recitativi appaiono forzatamente declinati sulla restituzione dei caratteri attraverso gestualità scomposte (per esempio, nel caso della donna più ribelle) o compassate (l’anziana), ma sempre meccaniche nel loro apparente spontaneismo.

In questo ambiente né ancestrale, né contemporaneo, inautenticamente metaforico e abitato da una recitazione ingessata, a nulla valgono i ben momenti coreografici e i canti di tragedia di una splendida Neus Pàmies, malauguratamente mortificata da una direzione che la priva di tensione drammatica con un ruolo eccessivamente omogeneo e appesantito dall’espressione di sentimenti che si sarebbero preferiti più sottili, asciutti e lirici.

Projecte Ingenu coglie perfettamente il lado malo del genio di Lorca e si limita a replicarlo purtroppo sintonizzandosi con quei medesimi problemi ideologici rispetto ai quali lo stesso autore andaluso non aveva saputo che accostarsi con latente ipocrisia.

El Pavón Teatro Kamikaze
Calle de Embajadores 9, 28012 Madrid
8 – 23 Feb 2020
Lunes 20:00, Miércoles a Sábados 18:30, Domingos 20:30

Yerma
De Federico García Lorca
Dirección Marc Chornet
Intérpretes Neus Pàmies, Martí Salvat, Xavier Torra, Rosa Serra, Isabel Soriano, Mònica Portillo y Cristina López
Ayudante de dirección Anna Maria Ricart
Escenografía Laura Clos (CLOSCA)
Diseño de vestuario y caracterización Marta Rafa
Iluminación David Bofarull
Música original y asesoría de movimiento Miquel G. Font
Fotografía David Ruano
Producción Neus Pàmies
producción de Projecte Ingenu y Teatre Akadèmia
Espectacle en castellà