Le strade oblique del fool

Teatro EraLa parola del fool, del buffone di corte, del matto. Dal sottosuolo. Metaforico luogo di confino a cui destinare la parola di verità, verità obliqua. Dare morte a cosa svela la più cruda nudità umana. Seppellire, rendere infertile e appiattire la natura svincolata dalla norma

Yorick, de Le vie del Fool, è indubbiamente un lavoro composito ricco e pregnante dello studio e della ricerca misurata con lo spazio limitato – e infinito al contempo – del palcoscenico. A proseguire un’idea artistica di Compagnia, rivolta a specifiche e rivisitate indagini concettuali, immaginifiche, sociali. Ricerca materializzata in quasi dieci anni di attività che ne fanno riconoscere l’impronta originale e originaria, radicata, essenziale.
Un merito cui sicuramente plaudire, se non altro per non avere barattato l’urgenza e l’identità al consenso velleitario d’un sistema teatrale che vuole assoggettati più che artisti. Assoggettati a poteri bluffati, a mode e pose, a stereotipi assunti ed elevati a modi di fare. Un sistema che vuole buffoni di corte… e la finta verità del palcoscenico riverbera potente sull’ipocrisia stagnante di cosa si muove attorno. Un valzer di ruffiani e intrallazzini, pennivendoli e marchettari. Beati gli artisti, e i folli. Puri e ingenui come le foglie morte.
Yorick dal sottosuolo. Sul palco trasmutato in un pantano melmoso al centro del palcoscenico – e occupante quasi due terzi del profondo spazio del Teatro Era – buio attorno, umido, un reticolato a confinare lo sguardo esterno. Yorick è solo. Con un caleidoscopio di luci a manifestarne la confusione folle, parole solenni (da classici del teatro e della letteratura) a verbalizzarne la verità obliqua, mentre sopra, nel mondo dei vivi, o dei presunti tali, lo spettacolo continua. Il Re Amleto e i suoi tormenti da romantico, la vendetta necessaria, l’amore sacrificato. E un tentativo di risalita, in superficie, a suggerire e indicare strade.
Assenza di sintesi. Materiale verbale. Icona. Scene che non si susseguono. Nemmeno comunicano tra loro, se non per un registrare continuo a riproposizione del concetto, in bombardamento e frammentazione dialettica e audiovisiva. Un modus a calcare la tipicità della società postmoderna, caratterizzata, a dirla con Derrida (Jacques), dall’esplosione di registrazione, immagazzinamento, di immagini e dati. Segno di sovrapposizione. E di sapienza nell’utilizzo contemporaneo di codici assimilati. E nel costruire delle scene dalla traccia finita, compiuta, non per questo indirizzante. Alcune di pregio stilistico, visivo e attoriale notevoli.
L’attore, in bilico tra personaggio e i suoi multipli, capace di stare in luogo e di muoversi verso, divaricare orizzontalità e verticalità. Rinculando troppo spesso, però, il vociare, indicazione di un parlarsi addosso, di non darsi completamente alla platea. Se voluto o meno, non crea empatia. Così come non risulta di facile approdo l’insieme nevrotico e squilibrato (probabilmente una scelta poetica, determinato il trattato) che sembra non avere risultanza se non nella proposta concettuale non chiarificata dai significanti. In altre parole si assiste a esibizioni formali di notevole pregio e caratura strutturale, efficaci per costruzione scenica e attoriale, ma caratterizzate da un oscurantismo di segni che confinano lo spettacolo allo spettatore e viceversa. Notevoli le capacità e competenze registiche, nell’interrogare un tema e renderlo d’interesse universale benché trattando marginalità, nel presenziare il palco con competenza e dimestichezza talentuosa, sedurre, affascinare. Rimanere però piatti, nel proprio significare, e provocare prurito. Che non è il prurito del dissenso, traccia di approdo, ma di irritazione. Irritazione di assistere a dell’autoerotismo. Non si addice a un fool. Peccato.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Era
Parco Jerzy Grotowski – Pontedera (PI)
sabato 13 ottobre

Yorick
Un Amleto dal sottosuolo
con Simone Perinelli
drammaturgia e regia Simone Perinelli
aiuto regia Isabella Rotolo
musiche originali Massimiliano Setti
al violoncello Luca Tilli
disegno luci e scene Fabio Giommarelli
tecnico del suono Marco Gorini
costumi Laura Bartelloni – Labàrt Design
foto e video Manuela Giusto
produzione Fondazione Teatro della Toscana, Leviedelfool
con il sostegno di Pilar Ternera / Nuovo Teatro delle Commedie e ALDES / SPAM