Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate

teatro-dell-orologio-romaAl Teatro dell’Orologio, per il Romaeuropa Festival, è suonata l’ora di Zombitudine, ultima fatica della premiata ditta Frosini-Timpano.

Sui mali della società contemporanea esiste una letteratura ampia e lunga più d’un secolo. La deriva mass-mediatica che sterilizza la partecipazione («Prendete una posizione!»), l’onnipervasività della comunicazione che non informa ma omologa, la contraddittorietà di una cultura che non libera, ma inchioda il pensiero, il gusto e le emozioni a uno Spirito assoluto che risolve ogni opposizione nell’affermazione dello status quo come unico, necessario e migliore dei mondi possibile («Tu stai a destra, io a sinistra. Siamo scomodi». «Tu stai a sinistra, io a destra. Si sta scomodi lo stesso») sono argomenti un tempo eretici, che oggi, nella versione più banalizzata e ignorante, è possibile ascoltare anche nei talk-show di metà pomeriggio.

Una letteratura, certo oggi violentata nelle intenzioni originarie, perché se la Scuola di Francoforte è diventata un classico esibito dai sepolcri imbiancati in ambito accademico, Carmelo Bene e Pier Paolo Pasolini sono ormai gli eroi di fatto di quella stessa ipocrita ideologia – moderata, progressista e/o conservatrice senza distinzione – che allora ne rappresentava l’ideale bersaglio.

Di questo disumanizzante dramma è difficile individuare un responsabile, capire chi ne sia il regista, come anche proporne soluzioni («Cosa facciamo?». «Quello che facciamo di solito, niente»).

A complicare e peggiorare la situazione, poi, è l’esistenza di una recente categoria antropologica: quella costituita da singoli consapevolmente genuflessi a un destino che li vuole asettici, amorfi e privi di vitalità. Ovvero, morti perché totalmente piegati sulle istanze di una massificazione da cui si viene scelti, talmente pervasiva e dominante da determinare anche l’appartenza alla definizione di anticonformista: è quella sorta di Matrix, che contemplando in sé e a sé l’opposizione, ne anticipa e disinnesca ogni reale tendenza rivoluzionaria rispetto al Sistema.

Speculari ai morti, stanno poi i vivi. Ovvero, coloro che hanno vinto e sono regnanti («magari sono anche più bravi di noi!»). Forse, allora, ancora più morti dei morti, perché, oltre alla rassegnata consapevolezza dei primi, aggiungono la responsabilità dello stato dell’arte.

Nel mezzo, i risorti o i non trapassati, i non-morti o i non-più-vivi: gli zombi. Meglio, gli affetti da zombitudine, da quel malessere non chiaramente definibile nei confronti di una vita che sta andando sprecata senza che nessuno faccia realmente nulla per evitare che ciò accada. Coloro che avrebbero le risorse individuali per reagire, ma che da soli non possono far altro che resistere marginalizzandosi nell’isolamento («tranquilli, qua sotto siamo al sicuro»).

Quindi, gli zombi non sono i buoni del caso e non solo perché incapaci di essere realmente alternativi a un regime plasmato da consumismo e individualismo. Non lo sono perché la fame di carne è legata alla putrefazione della stessa e non al desiderio di rinvigorirla. Con altra metafora, perché sono atomi, sî, incastrati in una quotidianità da cui sono assuefatti, ma che conservano dentro di sé una potenza nucleare straordinaria se solo riuscissero a organizzarsi in un incontro/scontro collettivo e comunitario.

Questo impianto ideologico, pur intrecciato, sfoggia con trasparenza le proprie tematiche ideali, che di contorto ha solo l’esposizione verbale della messa in scena. Da L’alba dei morti viventi a I vivi e i morti, da La zona del crepuscolo a Golconda, si tratta dello stesso fil rouge che (per fare un esempio di cultura popolare e non radical) attraversa praticamente tutta la serie del bonelliano Dylan Dog.

L’allestimento di Zombitudine è semplice, ai limiti dello spartano: due attori, un dialogo, una valigia, la scena nuda del teatro oltre il sipario rosso, diverse comparse che entrano in scena poco prima della fine, registrazioni audio minime. A reggere con grande protagonismo, cadenzando tensione drammatica e momenti di ironico umorismo, è la grande qualità attorale di Elvira Frosini e Daniele Timpano. Due istrioni dalla magnetica presenza scenica, capaci di un feeling sontuoso e consolidato, naturalezza nei tempi della battuta e un ritmo alternato di prolissità volutamente compassate e improvvise accelerazioni. Il tutto narrato attraverso una regia lineare, adatta a un teatro che, piuttosto che sperimentare, ricercare o mostrare, vuole raccontare una storia attraverso le parole.

Sorprende, dunque, come lo spettacolo disperda tale prezioso patrimonio e arranchi su un testo debole, mostrando il fiato corto fin dalle prime battute, così patendo una scelta rivelatasi non felice e non funzionale: quella di un linguaggio costruito su contenuti estremamente social e adagiato sulle futili polemiche della cultura media di cui giornali, tv e web sono stracolmi, e proprio per questo mai realmente provocatorio e pop. Della banalità di questa costruzione drammaturgica, a farne le spese è, in primo luogo, la dimensione politica dello spettacolo, pure evidente e dichiara, che scompare di fronte alla mancanza di profondità culturale e a una grave autoreferenzialità.

Uno spettacolo che, in fin dei conti, più che interrogare sui dilemmi più urgenti e radicali della cultura e della società («Siamo vivi, o siamo morti?»), e più che decostruire o dissacrare la comunicazione istantanea e circolare di un mondo dove il digitale è diventato ben più concreto del reale, finisce per essere poco altro rispetto alla marea di hashtag, selfie e status con cui i due autori, attori e registi hanno inondato il web.

Un limite che, per l’indiscusso talento artistico di chi è ormai celebre protagonista della scena italiana, ci piace pensare possa rappresentare un momento di riflessione per le prossime sfide che Elvira Frosini e Daniele Timpano (ne siamo sicuri) vorranno lanciare a favore del rinnovamento del teatro contemporaneo.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro dell’Orologio
Via dè Filippini, 17/a, 00186 Roma
dal 2 al 23 novembre

Zombitudine
progetto, testo, regia, interpretazione Elvira Frosini e Daniele Timpano
scene e costumi Alessandra Muschella
ideazione e realizzazione tecnica luci Marco Fumarola e Daniele Passeri
collaborazione al disegno luci Matteo Selis
luci Matteo Selis
aiuto regia Francesca Blancato
assistente scene e costumi Daniela De Blasio
cordinamento progetto “Walking Zombi” per Roma Angela D’Alessandro, Andrea Martorano, Giada Oliva, Alessio Pala, Alessio Rizzitiello, Arianna Saturni, Laura Toro
organizzazione e promozione Daniela Ferrante
ideazione e regia teaser video Emiliano Martina
progetto grafico Antonello Santarelli
disegni Valentina Pastorino
produzione Compagnia Frosini/Timpano – amnesiA vivacE, Kataklisma
co-produzione Teatro della Tosse di Genova, Fuori Luogo – La Spezia, Teatro dell’Orologio – Roma
col sostegno del Teatro di Roma nell’ambito del progetto “Perdutamente”