A game of destiny

Macbeth è un uomo travagliato, in conflitto nello scegliere tra morale e ambizione. Il destino lo muoverà verso un mortale epilogo. Al Teatro Argentina fino al 22 gennaio.

Nella Scozia del Medioevo, le Sorelle Fatali preannunciano l’ascesa al trono di Macbeth cominciando a insinuare in lui ambizioni di potere e spingendolo a commettere regicidio. L’occasione si presenta presto, Duncan decide di soggiornare una notte al castello di Inverness, dimora di Macbeth. Lì, il padrone di casa uccide il re nel sonno ottenendone così la carica per diretta successione. Pur avendo ottenuto il potere, Macbeth è ormai un’ombra, un uomo logorato dalla sua colpa, nel torpore dei suoi pensieri il suo animo viene scosso dall’avanzata delle truppe di Macduff, il comandante dell’esercito cerca Macbeth per ucciderlo e vendicarsi della morte della famiglia e dopo una furiosa lotta il re viene decapitato decretando una nuova era per il regno di Scozia.

L’ambientazione, dove si svolgono tutte le vicende, si presenta anonima e scarna, una struttura di legno fa da sfondo agli attori che possono servirsi di numerose porte e botole nascoste, inoltre vengono usati dei teli neri che oscurano i personaggi una volta esauritane la funzione. Una scelta che offre una grande possibilità per la dinamicità dei quadri che raggiungono un livello di manipolazione molto alto. L’espediente sembra, però, minare la mobilità degli attori che, costretti a una grande staticità fisica, appaiono portati a utilizzare più l’ambiente che la propria interpretazione per concludere azioni e uscire di scena.
La coerenza storica della tragedia è riflessa nell’uso appropriato dei costumi di personaggi che si presentano con tuniche, brache, mantelli e cotte di maglia. Il vestito di re Macbeth, fatto di lunghi veli di cotone e di seta color rosso e oro, è un buon indicatore della sua pomposità contribuendo a trasmetterbe la mancanza di carisma e di compostezza, qualità che un re dovrebbe avere. La personalità di quest’uomo è molto ambigua, Francesco Branciaroli ben interpreta Macbeth e la sua continua titubanza nel compiere azioni.

Tramite il protagonista viene sapientemente rappresentato l’eterno conflitto tra ciò che un uomo deve e ciò che vuole fare: Macbeth trema di fronte a mani sporche di sangue ma alla fine decide sempre di immergersi in questo vortice di violenza per seguire le proprie ambizioni. Proprio l’ambizione è un tema caro a Branciaroli tanto che Macbeth, nei suoi momenti di indecisione, si ritrova a dialogare sul palco con una figura incappucciata e vestita di nero, una figura muta che sembra molto influenzare il barone, i cui monologhi risultano un punto nevralgico per le decisioni di Macbeth portandone, in questi momenti, l’incertezza a fare spazio all’ambizione e la rettitudine morale all’infamia. La tragedia però non offre una grande tensione, il pathos che dovrebbe sorgere dalle azioni di Macbeth viene smorzato dalla sua eccessiva arrendevolezza. Se da una parte il debole e volubile carattere del protagonista ben interpreta il suo essere sempre in balia del destino ingannatore, dall’altra sminuisce eccessivamente la tragicità della vicenda facendo risultare le decisioni violente del re solo un pretesto per scagliargli contro dei mali maggiori.

Molte delle azioni del protagonista vengono influenzate dalla moglie, una donna cui Shakespeare diede una personalità totalmente cinica e priva di qualsiasi compassione, una sorta di stratega criminale con il compito di guidare il timoroso Macbeth. La forte e fredda ambizione risulta nello spettacolo più che altro rabbia, la donna viene rappresentata come orditrice di complotti ma non ne si coglie la malignità e la perfida astuzia, dunque appare tentennante tra un controllato complottismo o una furiosa ambizione che rende Macbeth un’ottima marionetta nelle mani di un incerto burattinaio.

Più efficace la restituzione delle Sorelle Fatali, cui è assegnato un ruolo importante nella narrazione, queste tre figure, vestite di stracci neri con barbe rosso sangue e cappelli da fattucchiere, sono la causa scatenante di tutte le sanguinose vicende. Nella rappresentazione appaiono in poche e brevi scene dove il regista decide di farle parlare nell’inglese shakesperiano, non una novità, ma comunque una buona scelta per sottolineare come le tre streghe, pur influenzando le vicende, si ergano al di sopra di esse. Il trio incute paura, le voci gracchianti, i sussurri sibilanti e i forti urli richiamano le caratteristiche di una bestia, inoltre i movimenti scattosi e innaturali contribuiscono a rappresentare la loro non umanità.
Il Macbeth riflette sui giochi di potere che sempre hanno interessato gli uomini. Ponendo però l’accento sulla psiche umana, la traduzione Agostino Lombardo diretta da Franco Branciaroli delinea la progressiva discesa alla follia del protagonista, fin dal principio un uomo debole e indeciso che perde il proprio briciolo di ragione dopo aver assistito alla visione del defunto Banquo che, come un fantasma, lo insegue e lo tormenta. Le menti di Macbeth e della moglie vengono affogate nel sangue e la consapevolezza delle loro terribili azioni li porta a un decadimento psichico, schiavi del ricordo dei propri delitti di una caduta mentale accompagnata da una analoga caduta materiale rappresentata dallo sfaldamento progressivo del regno di Macbeth fino alla totale distruzione con la sua morte.
Il protagonista vive un’enorme illusione generata dai discorsi delle Sorelle Fatali che, attraverso le loro parole criptiche e fuorvianti, spingono Macbeth a compiere azioni che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare, a credere di poter gestire le proprie ambizioni e il potere che ne deriva, apparendo tuttavia solo vittima di un contorto gioco del destino. Di un destino che ha voluto far muovere i fili della vita di un uomo che, sordo, ha preferito ascoltare la sensuale voce dell’ambizione piuttosto che quella della rettitudine morale.

Lo spettacolo continua
Teatro Argentina

Largo di Torre Argentina 52
dal 10 al 22 gennaio 2017
martedì e venerdì ore 21, mercoledì e sabato ore 19, giovedì e domenica ore 17, lunedì riposo.

Macbeth
di William Shakespeare
traduzione Agostino Lombardo
regia Franco Branciaroli
con Franco Branciaroli e Valentina Violo
e con (in ordine alfabetico) Tommaso Cardarelli, Daniele Madde, Stefano Moretti, Livio Remuzzi, Giovanni Battista Storti, Alfonso Veneroso
scene Margherita Palli
costumi Gianluca Sbicca
luci Gigi Saccomandi
foto Umberto Favretto