Il report dal Festival

Inizia con un temporale il primo – per noi – giorno di OV. Pioggia che obbliga a cancellare o spostare le iniziative previste all’aperto.

La prima, ossia la presentazione del libro I capolavori di Shakespeare a passo di danza, è ospitata – invece che nei giardini della Rocca di Montestaffoli – nella ex biblioteca. Sollecitata dalle osservazioni della giornalista Simona Frigerio, la scrittrice e critico di danza, Francesca Camponero, che ha anche avuto una lunga carriera in vari corpi di ballo tra i quali quello della Scala, ha evidenziato i motivi che l’hanno spinta ad analizzare alcune opere del Bardo, realizzate e messe in scena quasi fossero state pensate, fin dall’inizio, per l’universo coreutico. Il “trucco” consisterebbe nel fatto che l’autore inglese le scrisse scegliendo una trama abbastanza lineare e di facile reinterpretazione anche attraverso la danza – che è “linguaggio del corpo”. Cosa nella quale, come puntualizza Camponero, si sono cimentati anche gli organizzatori e ideatori di Orizzonti Verticali, in uno dei primi lavori firmati da entrambi – una interessante rilettura di Otello con Tuccio Guicciardini alla regia e Patrizia De Bari danzatrice e coreografa, che ha saputo mettere in evidenza la sottotraccia della tragedia shakespeariana, ossia l’invidia – da parte di Iago – per il potere a cui era assurto il Moro (straniero e nero).

In serata, all’interno del Palazzo della Propositura, Teatro Akropolis mette in scena Apocatastasi per la regia di Clemente Tafuri e David Beronio con le performer Roberta Campi e Giulia Franzoni – uno spettacolo proposto con le musiche originali di Pietro Borgonovo (qui pre-registrate). I registi si propongono di indagare il momento della resurrezione dei morti che – esplicandosi in uno spazio in assenza di tempo – genererà una serie di cambiamenti nei rapporti e nella dimensione stessa di coloro che saranno “chiamati a viverla”.

Un’indagine sui miti dell’umanità, che i registi portano avanti da alcuni anni in una serie di lavori e che, in questo caso, si basa, come raccontano gli stessi il giorno successivo allo spettacolo – nell’incontro tenutosi sul palco di Galleria Continua – su un affresco di Luca Signorelli (e bottega) conservato presso la Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto, e precisamente la Resurrezione della carne. Tafuri e Beronio indicano, in particolare, di essere stati colpiti da una specie di “invito alla danza” rappresentato nella parte sinistra dell’affresco, un po’ in secondo piano, ove tre figure paiono abbozzare una specie di girotondo e che li ha portati a chiedersi come sia possibile danzare in assenza di ritmo e sentire qualsivoglia ritmo in assenza di tempo.

Uno spettacolo complesso con un inizio che sembra interrogarsi sulle presenze/assenze, mentre un sostrato musicale privo di un tempo preciso amalgama i movimenti (o la loro assenza) permettendoci di vagare su ciò che intravediamo. In questo primo “atto” sembra di essere in presenza di una sfinge, che non si scompone e nega le sue attenzioni all’interrogante/implorante. Un istante nel quale l’amore può diventare odio, ribellione ma anche scambio di personalità tra le performer le quali, anche con veemenza, manifestano i loro sentimenti (che, in qualche misura, ci paiono in contrasto con l’apocatastasi del titolo, momento di riconciliazione finale e di ristabilimento dell’ordine divino).

La penombra sfuma, soprattutto nella parte iniziale, la corporeità delle performer. Una sedia sembra diventare protagonista, da oggetto si trasforma in scranno, simboleggiando una ricerca del potere, una contesa anche violenta – e qui nasce il secondo dubbio perché, aldilà del tempo, il potere come lo intende l’umano non avrà più alcun senso.

A seguire si notano movimenti/gesti caratteristici di lavori precedenti come la nascita vera o abortita, gli autoabbracci vigorosi, quasi dolorosi, che una delle performer agisce in scena (e che servono anche a dare un impatto sonoro all’azione).

A misura che procede l’azione si nota sempre più come, in questo non-luogo governato dall’assenza di tempo, la musica si faccia via via sempre più ritmica rimandando, al contrario, a un tempo che scorrendo permette il procedere della lotta per il potere, fino a quel minuetto di Händel che è l’apoteosi del tardo barocco e di un manierismo aristocratico che nulla ha a che fare con l’azzeramento di classi e ruoli che la morte impone e la resurrezione re/proclama.

Nell’insieme sembra di assistere a un succedersi di quadri, ben definiti da un punto di vista registico, ma che non riescono a focalizzarsi sul concetto, peraltro difficile da affrontare, dell’assenza di uno spazio/tempo umano. Una performance narrativamente difficile da decifrare – peraltro apprezzata dal pubblico – che ci è parsa più un assemblage che un’opera finita, lasciandoci alquanto perplessi.
Sabato 5 agosto, il bel tempo permette finalmente alla Compagnia Giardino Chiuso di presentare la performance Bianchisentieri_Aurora, un lavoro che – a livello di installazione – è iniziato in anni precedenti con la raccolta di pensieri o pagine di libri che spettatori e passanti hanno potuto incollare sulla pedana su cui si svolge l’azione e che, alla fine, raccoglierà tutti quegli echi di speranze, sogni, dubbi o progetti. La danzatrice Patrizia De Bari li raccoglie e, abbracciandoli, li fa propri, traendone ispirazione. Così piazza Duomo si riempie di presenze/assenze, suoni, musiche e vibrazioni per un percorso che conduce la performer a farsi carico, nel vero senso della parola, di quell’insieme di testi – poesie e racconti, emozioni e desideri – per porgerli a tutti i presenti, invitati ad appropriarsene per allargare le proprie conoscenze, per salpare verso nuovi lidi di un futuro che ci appare sì difficile, ma anche ricco di possibilità. De Bari è magicamente in parte e conquista con il suo sguardo e la sua presenza.
In serata, in Piazza Pecori, tre allievi del corso di violoncello, tenuto da Antonio Meneses presso l’Accademia Musicale Chigiana, concludono questi tre giorni di Festival. Gli allievi, di varie nazionalità – Klaudio Zoto, Mei Hotta e Maria Clara Mandolesi – si alternano sul “palco”, prima in altrettanti assoli, e poi in un duetto non previsto nella scaletta, e in un ensemble per una convincente esecuzione del Secondo Valzer della Jazz Suite n 2 di Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič.

Il primo a esibirsi in Suite n. 2 in re min BWV 1008 di Johann Sebastian Bach è Klaudio Zoto, albanese, che – con diligenza – immerge nelle sonorità del compositore tedesco la piccola piazza. Le note della Suite n. 3 in do magg. BWV 1009 – sempre dello stesso compositore – risulteranno più armoniose anche se con un ritmo più lento grazie alla prova anche emotiva dell’allieva – Mei Hotta, di origine giapponese ma trasferita negli Us.  Del resto, come diceva Ludwig van Beethoven: “Suonare una nota sbagliata è insignificante. Suonare senza passione è imperdonabile”. Last but not least, l’italiana Maria Clara Mandolesi, che esegue di Paul Hindemith la Sonata op. 25 n. 3. Esecuzione più complessa e articolata con motivi armonici contrastanti che evidenziano una capacità musicale più elevata e un suono più pieno con varie sfaccettature.
Nel complesso l’idea di mettere le esecuzioni in ordine qualitativamente crescente è apprezzabile e ha condotto a un sempre maggiore coinvolgimento del pubblico – che ha molto gradito l’intera serata.

Dopo il concerto, parlando con i giovani allievi, siamo stati informati dell’involuzione delle Accademie e dei Conservatori italiani, conseguenza della sempre più criticata Riforma Berlinguer dell’Università che ha portato da 10 anni (per alcuni strumenti qualche anno in meno) al becero 3+2 il tempo per l’acquisizione del titolo di studio. Ciò ha causato, come facevano notare le allieve, un mancato perfezionamento come musiciste – con contemporanea valorizzazione di una teoria che, ovviamente, servirà come cultura generale ma non per diventare soliste e padroneggiare lo strumento. Di conseguenza, i giovani che vogliano proseguire la carriera musicale sono oggi costretti a perfezionarsi in scuole nord europee – ad esempio in Svizzera per i primi tre anni e in Germania per gli ultimi due. Questo, ovviamente, riduce drasticamente la possibilità di poter completare il ciclo di studio, dati gli elevati costi che devono sostenere le famiglie, e consegna all’insegnamento (con tanto di laurea magistrale) laureati che non vanno oltre la base teorica e un’esecuzione poco più che scolastica.

Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Orizzonti Verticali 2023:
venerdì 4 agosto 2023, ore 21.30
Palazzo della Propositura
piazza Pecori, 2 – San Gimignano

Teatro Akropolis presenta:
Apocatastasi
regia Clemente Tafuri e David Beronio
con Roberta Campi e Giulia Franzone
musiche originali Pietro Borgonovo
produzione Teatro Akropolis
coproduzione GOG – Giovine Orchestra Genovese

sabato 5 agosto 2023, ore 19.00
Piazza Duomo
Giardino Chiuso presenta:
BIANCHISENTIERI_Aurora
regia Tuccio Guicciardini
performer Patrizia De Bari
(performance/danza)

ore 21.30
Piazza Pecori
Accademia Musicale Chigiana presenta:
Appuntamento musicale
allievi del corso di violoncello (Antonio Meneses docente)
Programma della serata:
Klaudio Zoto esegue
Johann Sebastian Bach
Suite n. 2 in re min. BWV 1008
Mei Hotta esegue
Johann Sebastian Bach
Suite n. 3 in do magg. BWV 1009
Maria Clara Mandolesi esegue
Paul Hindemith
Sonata op. 25 n. 3
Mei Hotta, Maria Clara Mandolesi, Klaudio Zoto eseguono:
Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič
dalla Jazz Suite n. 2
Valzer n. 2
Nel corso della sue giorni sono stati presentati i libri: I capolavori di Shakespeare a passo di danza di Francesca Camponero (presente l’autrice) e Firenze Novecento curato da Valentini Gensini (presente una tra i contributor, Marinella Guatterini)

Nella foto: Apocatastasi, replica del 4 agosto a Orizzonti Verticali Festival (foto di Francesca Di Giuseppe, photographer)