Cantare (nel)l’eterna attesa

Recensione Aspettando Godot. Al Teatro Lo Spazio è andato in scena uno dei più grandi classici del Novecento,  Aspettando Godot, rivestito da un originale involucro musicale.

Alla prima rappresentazione di Aspettando Godot al Théâtre de Babylone di Parigi nel 1953, il maestro Samuel Beckett fu assalito dai giornalisti e dai critici, che iniziarono a chiedergli insistentemente la chiave per decriptare il mistero dell’opera appena andata in scena e che avrebbe segnato non solo il teatro contemporaneo ma tutta la cultura della seconda metà del Novecento: chi è mai questo Godot, il cui arrivo assume un valore salvifico? Si tratta di Dio? Della rivoluzione, della pace? O forse è la morte, o l’amore? Beckett ebbe a rispondere che lui stesso, chi fosse questo Godot, non lo sapeva proprio e non l’aveva mai saputo, ma aggiunse che del titolo la parte importante fosse quella rappresentata dal verbo, En attendant, il gerundio che esprime l’attesa senza fine, il procrastinarsi snervante e il reiterarsi dell’avvento del senso.

Autori, registi e compagnie che da oltre mezzo secolo portano in scena l’ineguagliabile testo beckettiano non possono escludere la sottile consapevolezza tragica e nichilista che sottende un’opera apparentemente clownesco, per quanto i meno ingenui sappiano benissimo come l’immaginario del clown sia quanto di più drammatico e malinconico possa esserci. Un’opera che parla delle irredimibili sofferenze e sventure dell’esistenza umana, ma che lo fa con uno stile non argomentativo, frammentario, che sfida la razionalità per spalancare allo spettatore una voragine dinanzi a sé. Francesco Polizzi accetta la sfida di affrontare questo mostro sacro del Novecento, e cosciente del rischio di appiattirsi sulle soluzioni canoniche adottate per le opere di Beckett, decide – così come è giusto che faccia un regista teatrale – di introdurre un elemento di originalità che declina l’immaginario beckettiano in termini “brechtiani”, o in termini ancora più specifici “kurtweilliani” ovvero connessi al Brecht musicale. Infatti, a scandire alcuni momenti della pièce sono intermezzi musicali di un piano che conducono l’opera verso il musical, senza mai smarrire però lo spirito originario: gli ottimi interpreti – Polizzi stesso nei panni di un Pozzo sadico acconciato come un bracconiere o un esploratore colonialista, Vladimiro ed Estragone interpretati da Ivano Cavaliere e Andrea Lama, e il remissivo Lucky, angosciante e straziante, incarnato da Gioia Ricci – dimostrano anche un’attitudine certo non ovvia al “teatro musicato”, interpretando al meglio i brani e assumendo i momenti stranianti con sagacia e una buona dose di ironia.

D’altronde, ironia e straniamento sono termini complementari, soprattutto quando lo humor si tinge di tenebra dinanzi alla consapevolezza lancinante dell’insensatezza della vita. Il rischio che la dimensione clownesca consustanziale al Godot abbatta i confini espressivi e riduca l’opera beckettiana a una farsa o a uno spettacolo comico, è sempre dietro l’angolo; ma l’opera andata in scena al Teatro Lo Spazio, complice un ottimo allestimento scenografico (spoglio ed essenziale quanto basta, ma capace di sfruttare i vari angoli e le profondità), riesce a dribblare questo pericolo, facendo uscire dalla sala storditi dalla pesantezza del vivere e dalle domande eternamente senza risposte, e con la sola e poco consolatoria consapevolezza che non si può che continuare ad attendere.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Lo Spazio
via Locri, 42 – Roma
dal 31 marzo al 3 aprile
ore 21.00, domenica ore 18.00

Aspettando Godot
di Samuel Beckett
regia Francesco Polizzi
con Ivano Cavaliere Andrea Lami Francesco Polizzi Gioia Ricci
musiche Franco Accascina