Parola, poesia, teatro

Recensione Ecloga XI. Anagoor con Ecloga XI al Teatro Nuovo di Napoli. Uno spettacolo di deflagrante poesia e blasone.

«Per dire parole che valgano la pena bisognerebbe almeno averne novecento di anni». Fu la risposta di Andrea Zanzotto al giornalista che gli chiese, nel giorno dei suoi 90 anni, cosa fosse la vita. Alle parole lui aveva dato suono, eternità. E le parole, tra la vita e la sua rappresentazione, sono segni di intermittenza, corpi. La vita tradotta per i suoi versi, mutata dalla poesia, trasmessa, può darsi inconsapevolmente. La vita guardata, da cui la creazione sensibile – accependo la parola nel significato più sensoriale – che si fa grumo internamente, sciolto dalla parola liberata, dal suono.

Il poeta dunque simbolo e incarnazione di salvezza dal dolore universale, attraverso l’espressione del suo patire. Lo dicono, recitando, Marco Menegoni e Leda Kreider, attori della compagnia Anagoor, i pluripremiati artisti veneti, di terra di Zanzotto, e di brume e mari, di terre ingiallite dalle coltivazioni e sangue di frontiera. Terra di poesia. Di paesaggio.
Con un paesaggio pittorico – la tempesta di Giorgione – si presenta la scena di Ecloga XI; gli attori di spalle contemplando il dipinto pronunciano per suggestione artistica, declamano, si alternano in figure drammatiche. Prima, a sipario chiuso, dalla voce di Luca Altavilla in dialetto locale, e le didascalie in sovraimpressione, il Recitativo Veneziano.

Si ricrea ambiente audiovisivo, si sancisce il mutuo patto silente tra spettatori e attori. Il palco è privo di quinte, traccia visibile di svelamento, di intercessione dal reale, di non mistificazione. Sul fondale e ai lati del Teatro Nuovo di Napoli (quartieri spagnoli) le meccaniche, gli attrezzi, i cordami. Poco dinnanzi al fondo un terzetto di fari – distanziati – puntano verticali su teloni ammucchiati: paesaggio scenografico, mutato in corso d’opera. Al centro, in boccascena, una serie di postazioni microfonate a grappolo, segno convenzionale codificato e elemento di potenziamento vocale.

La voce per cui ci l’umano si palesa, per cui si rende partecipi l’altro di sé, dell’interiorità, camuffando attraverso l’artificio retorico e persuasivo quando non si decide per la trasparenza. Per quasi due ore in azione, poche costruzioni plastiche, poche soluzioni, piuttosto la carnalità della parola a ricreare materia per ascolto. Deflagrare la potenza dell’arte, proseguire l’indagine sulla parola poetica, tratteggiare la natura multiforme dell’uomo e dell’artista, significare per la platea e non indurre in facili consensi.

Si scopre l’ispirazione di Zanzotto summa di un percorso poetico intriso di contaminazioni plurime, e sezionando teatralmente la letteratura, si riproduce in forma viva e parola una staffetta di frammenti da Pasolini, Leopardi, Celan, Holderlin, Petrarca, Dante.
Una mano di vernice nera copre il paesaggio, a metà dell’opera. Cambia il registro drammatico, mutano percezioni, si raffigurano patimenti, travagli interiori, il corpo si spoglia dagli indumenti, la convenzione di codice si assottiglia al servizio della drammaturgia, dei testi assemblati e resi fluidi dai gesti, dall’utilizzo vocale, dai livelli spaziali e drammatici registici/attoriali. Sul finale le stoffe telate si dipanano (per carrucole movimentate manualmente da Menegoni), appare un paesaggio scarabocchiato, scuro, da cui è possibile scorgere immagini per pareidolia.

Di non immediata godibilità, lo spettacolo riesce a riprodurre lo stato di alterazione fascinatoria effetto del linguaggio poetico. L’incantamento all’ascolto sonoro, benché verbale, di “formule” evocative e di echi privati, troppo umani, primordiali.
Minuziosa la cura d’insieme, l’emancipazione dal persuasivo artificioso, tenendo saldi i dettami di codice, più o meno convenzionali.

Il blasone del gruppo trasmigra nell’individuazione di una cifra artistica pregevole, autoriale, di cui se ne attende l’espressione. In altre parole la notorietà, l’autorevolezza, il riconosciuto spessore artistico influenzano “il sentimento” dello spettatore al prodotto creativo, anche quando la resa in scena non convince del tutto.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Nuovo
Via Montecalvario, 16 – Napoli
22 e 23 ottobre 2022

Ecloga XI
testi di Andrea Zanzotto
con Leda Kreider e Marco Menegoni
musiche e sound design Mauro Martinuz
drammaturgia Simone Derai, Lisa Gasparotto
regia, scene, luci Simone Derai
voce del Recitativo Veneziano Luca Altavilla
realizzazioni Luisa Fabris
immagine promozionale realizzata da Giacomo Carmagnola
organizzazione Annalisa Grisi
amministrazione Maria Grazia Tonon
management e Distribuzione Michele Mele
staff Centrale Fies Marco Burchini, Vania Lorenzi, Sara Ischia
produzione Anagoor 2022
coproduzione Centrale Fies, Fondazione Teatro Donizetti Bergamo, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, TPE – Teatro Piemonte Europa / Festival delle Colline Torinesi, Operaestate Festival Veneto