I Want a Country

Un’analisi senza compromessi della crisi contemporanea in I Want a Country di Flourakis, messo in scena un po’ confusamente da Ema Andrea presso lo spazio ArTurbina.

I Want a Country esplora una serie di tematiche profonde e attuali, tra cui l’anonimato individuale, la disillusione nei confronti della patria e il naufragio delle giovani generazioni cresciute sotto le promesse della globalizzazione. Il testo di Flourakis, portato in scena da Ema Andrea all’ArTurbina, spazio provvisorio del National Theater, offre uno sguardo stringente sulla realtà contemporanea, mettendo in luce le conseguenze del neoliberismo e la crisi delle democrazie.

Persone anonime in uno spazio anonimo, una realtà talmente dura da mettere in crisi ogni certezza, il linguaggio, diventato accozzaglia di slogan semplificatori, che perde di significato, l’individualità che deflagra nella solitudine, l’unica azione possibile diventa sopravvivere: la drammaturgia di I Want a Country è incalzante, con parole che fluiscono senza sosta da individui smarriti e privi di orientamento. Il palco spoglio e gli interpreti impersonali creano un’atmosfera che si estende oltre i confini della Grecia, diventando un monito universale sulla precarietà del nostro tempo.

«Tutto è in rovina. Come è successo?». «Prima o poi tutto si distrugge. «Così in fretta?». «All’improvviso».

Ema Andrea cerca di mantenere un equilibrio tra realismo e sarcasmo («Calma». «Quando sento dire “calma”, mi viene il panico»), portando in scena un mix amaro di rimorsi e rimpianti per ciò che si è non si è fatto per evitare la crisi, e ciò che invece è stato fatto, chiudendo gli occhi di fronte alla trappola del “miracolo globale”.

«Qui non esiste futuro per noi». «Non esiste futuro per i nostri figli». «Non esiste futuro per la nostra vecchiaia». «Nessuno può prevedere il futuro». «Restare qui in questa situazione è un vero e proprio suicidio».

Disvelato dai contorsionismi linguistici con cui i vari personaggi ondeggiano tra facili entusiasmi e lancinanti dubbi, l’interrogativo centrale sollevato dallo spettacolo è diretto verso gli stessi spettatori, ma se poter costruire un nuovo paese e una nuova comunità, è necessario un passaggio di autocoscienza e l’assunzione di responsabilità, il grande paradosso è evidente perché come da una moltitudine di individualità deluse possa emergere una comunità solida e virtuosa rimane un enigma.

La struttura corale di I Want a Country incarna una disperata richiesta di cambiamento (simboleggiata dal momento in cui i personaggi si preparano a salpare per mare e immaginano cosa li aspetterà sulle coste che troveranno, un chiaro rimando a qualcosa di purtroppo molto familiare nelle migrazioni di questi decenni).

Ema Andrea fa un ideale omaggio alla sua quasi omonima italiana, Emma Dante, ed edifica la narrazione attraverso continui sforzi verbali e fisici, sottoponendo il numeroso cast, nella reiterazione ossessiva di alcuni processi performativi (come i movimenti individuali che tendono a diventare corali) e nei “maltrattamenti” del corpo, a un ritmo serratissimo. La scena, costruita povera nella scenografia e nei costumi, rappresenta in modo grottesco la tragicità della tematica esistenziale, accentuando i cliché della quotidianità e il miraggio di una ricomposizione sociale.

Tuttavia, proprio in un palco come campo di battaglia, il tutto pieno delle voci e degli interminabili andirivieni satura la scena fin troppo manieristicamente, senza “mozzare il fiato”. L’assenza di variazioni nella densità scenica non è infatti solo un problema drammaturgico-performativo, perché a tale assenza corrisponde l’impossibilità di una reale immedesimazione, che, invece, silenzi e pausa “drammatiche” avrebbero enormemente agevolato.

I Want a Country è un testo che offre una riflessione profonda e senza compromessi sulla crisi contemporanea, invitando gli spettatori a confrontarsi con le proprie responsabilità e a immaginare un futuro diverso, ma l’allestimento di Ema Andrea paga una certa scolasticità e una mancanza di audacia che, purtroppo, ne inficiano in significativa parte l’efficacia.