Un gioco che finisce male

Dagli anfiteatri greci al Tor di Nona, una delle più grandi tragedie di sempre. L’Associazione culturale SovraGaudio riporta in scena, in un libero riadattamento, Ifigenia: il gioco.

Un’esibizione ripresentata e perfezionata, quella delle attrici provenienti quasi tutte dall’Accademia Cassiopea Teatro Sperimentazione che, infatti, portarono già in scena questo spettacolo al femminile, capace di muoversi tra tradizione e innovazione. Basato sull’opera tragica di Euripide, l’allestimento riprende i semi maturi della versione di Michel Azama, scrittore e drammaturgo francese, tra i più importanti della scena contemporanea. L’entrata nella compagnia di Rosaria D’Antonio è stata fondamentale, nel ruolo di regista si è prestata alla cura di dettagli e limature che han reso ancora più portentoso un esercizio già validissimo e particolare. Particolare poiché si accosta a una rilettura oltre gli schemi, interattiva, sperimentale, che coinvolge. Lo si coglie da subito che la formula teatrale sarà movimentata e differente.

Si entra nella sala dove la luce è puntata sulla platea, alcuni posti sono occupati da figure di donna che, incuranti del pubblico, attendono. Una volta seduti tutti, la musica di sottofondo aumenta la sua intensità, le figure si animano, con scatti veloci si muovono fra il pubblico, si avvicinano, cercano contatto con gli occhi, annusano. Fameliche e bramose, assetate, sono le dee e gli dei dell’Olimpo, che urlano, gioiscono, perché sta per iniziare una festa. L’atmosfera è di fomento, tutti i personaggi sono in fibrillazione, euforici, solo l’ingresso di Cronos, il tempo, richiamerà tutti all’ordine. In questo teatro non vi è la concezione epicurea che le divinità non si occupano del mondo e delle cose umane, qui tessono fili e trame, fanno patti e scommesse, chiedono sacrifici per garantire protezione o disfatta. Le divinità vogliono festeggiare, loro possono, e agli umani chiedono sacrifici per allietare, forse, la propria noia. Muovono la vita umana o fanno credere di muoverla, d’altronde gli avvenimenti e ciò che è inspiegabile da sempre viene riconosciuto come un qualcosa di non appartenente a questo mondo, come una realtà altra. Qui l’altro e il divino combaciano e si mostrano come gestori unici che detengono un potere e l’abuso di quest’ultimo.

Le attrici si impegnano nell’immedesimazione, caricando i lati sensuali, infimi, talvolta anche grotteschi, esagerando per far apprendere meglio le varie personalità e il risultato è positivo. Il pubblico apprezza. Apprezza l’ironia con la quale viene affrontata la tragedia, apprezza anche il senso e la qualità che non viene meno nonostante questo sia uno spettacolo totalmente non convenzionale e pennellato di tratti caricaturali. Mimica espressiva, i canti e i passi di danza, lo studio della voce, le urla e i dibattiti, le risate divine, il tono calmo e il grido ultimo e straziante di Ifigenia, tutto contribuisce alla riuscita del messaggio finale. Da una tragedia greca lontana nel tempo a una visione attuale, la trama di Ifigenia assume richiami storici sempre presenti, come se la giovane venisse presa a modello delle numerose e costanti ingiustizie, di tutti gli altri sacrifici compiuti per mano di una qualche volontà, di un qualche potere. La trama ridotta è quella del sacrificio di una ragazza, immolata per far si che la flotta greca potesse avere venti favorevoli e tornare a salpare verso Troia. La dea Artemide pretende un sacrificio, che la figlia di Agamennone venga consegnata agli dei. Il tutto prende a ruotare attorno a un intreccio, a uno scambio di battute intriso di infamie e calunnie, alla promessa di un matrimonio con il grande guerriero Achille, a una madre, Clitemnestra, che non rinuncia alla condizione di regina e fa soccombere il proprio lato materno, e a dei, sempre loro, che giocano, ma non chiedono se tu mortale vuoi partecipare. Ifigenia sta sulla scena, vestita di rosso e bendata perché cieco è il suo destino, almeno per lei che viene ingannata, ignara che il suo matrimonio è in realtà una menzogna. In questo gioco criminale dai contorni esasperati si intravede la follia, il gioco del possesso. Sfacciatamente sono delineati i contorni tutt’altro che divini, ma brutalmente umani, di questi esseri detti dei, che ballano con la giovane vittima passandosi il filo della sua esistenza. Loro, dei, come una sorta di specchio distorto e carnascialesco, sembrano ricordarci amaramente che l’esistenza umana pare muoversi in quella che è un’apparente libertà, poiché c’è chi riesce ancora a tessere, intrecciare fili e gestire vite. C’è chi gioca con la nostra esistenza nonostante le ribellioni, i gesti di disapprovazione. Troppo spesso restano solo scomposti lamenti, delusione, rabbia e martiri, troppi martiri. «Nessun martire serve a niente. Non fate di me una statua dimenticata dai secoli, non fate di me una statua. Fate di me ciò che sono: morta per la guerra, per il piacere degli dei».

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Tor di Nona

via degli Acquasparta, 16
dall’8 al 12 aprile

Ifigenia: il gioco
regia Bea Gaudicci e Rosaria D’Antonio
con Barbara Bianchi, Chiara Casali, Chiara Laureti, Eleonora Leone, Giusi Loschiavo, Chara Postacchini, Arianna Saturni