Il ritorno. Di Davide Enia

Recensione Italia – Brasile 3 a 2. Il ritorno. Ancora in scena, a vent’anni dal debutto, un testo che reincarna il senso universale del teatro.

Il teatro è (anche) gioia. O almeno dovrebbe provare a esserlo. Al di là della necessità di portare a galla gli umori più reconditi, oscuri, dell’agire e dell’animo umano, chiarificarne la collocazione nell’esistere, allontanare, tenendolo a mente, il senso di caducità mortale a cui si è naturalmente destinati. E non è detto che la catarsi sia esclusivo effetto della tragedia. Ci si può purificare delle proprie passioni, individualmente e collettivamente, altresì assistendo alla rappresentazione della realtà (di cui il teatro è imitazione) in chiave ironica, gioiosa.

Enia, quasi cinquantenne, scrive, dirige, recita, da oltre vent’anni acclamato in lungo e in largo per lo stivale, da pubblico e critica. Vince nel 2003 con Scanna al Premio Riccione per il teatro, il Premio Tondelli categoria under 30, il Premio Ubu speciale per «la nascita di un nuovo cantastorie». Nel 2005 consegue il Premio Hystrio alla Drammaturgia e il Premio E.T.I. – Gli olimpici del teatro come novità drammaturgica, per l’intero corpus della sua opera, e il Fescennino d’oro. In Moldavia vince il primo premio al festival Teatrul Unui Actor come miglior spettacolo con Maggio ’43. Nel 2019, con lo spettacolo L’abisso, vince il Premio Ubu 2019 per il «migliore nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica», il Premio Hystrio Twister come migliore spettacolo e il Premio Le Maschere del Teatro come migliore interprete di monologo.

La scena è vuota, una seduta al centro, postazioni strumentali sulla sinistra di chi assiste (batteria e chitarra), nessun segno grafico, quindi simbolico/metaforico nello spazio. Uno spazio destinato all’ascolto. E alla visione scaturente dalle sensazioni riprodotte dall’incarnato vocale, dall’immaginifico stimolato da tecnicismi attoriali limpidi, glabri da virtuosismi intellettualoidi o formali, attingendo alla tradizione orale efficacissima del cunto, alla pantomimica marionettistica, alla maestria dei pupari e dei cantori di genìa ellenica, al gesto automatico, espressione incosciente del verbo. Per chi desidera ricrearsi in sembianze altre (quali vorrebbe e risultanti impossibili perché compromesse nelle regole sociali – Jean Genet), per chi si approccia da neofita, sgombrato dal dovere di essere “educato”; per chi non ne sa niente, e ama nutrirsi di segnali di vita; per chi cerca sé stesso; per chi cerca contatto. L’accessibilità allo spettacolo di Davide Enia volontariamente rivolto a un pubblico eterogeneo, senza alcuna categoria, è caratteristica primaria. Perché l’arte sia principalmente popolare, riconducendo al termine l’idea di fruibilità collettiva, non di nicchia né eterodiretta. Liberando il teatro dal frequente e insopportabile atteggiamento da “morale del gregge”.

La sua narrazione attinge da ciò che ha prossimo, dai vissuti intimi, da fenomeni d’interesse di massa (come nel caso del suo spettacolo L’abisso sui naufraghi di Lampedusa) visti con occhi e spirito singolari, a rimpolpare la coscienza collettiva, quel sentimento comune che fa della folla un corpo unico in materia d’anima.
L’azione scenica mossa su un duplice binario: la memoria dell’evento storico (atto identitario di una popolazione intera) e l’operazione privata di «scomposizione e ricomposizione dei temi e dei sentimenti affrontati, rapportandoli al proprio vissuto personale», una matrice strutturale utile a non collocare lo spettatore in un ruolo di fruitore passivo, indirizzato, ma coinvolgendolo positivamente in risonanza attiva e necessaria al compimento del rito liberatorio.
La grammatica di narrazione brillantemente tessuta formalizzando una teatralità corposa, evitando scivolate in contesti eccessivamente narrativi e al contempo scomponendo la drammaturgia in capovolgimenti temporali o in vocalismi a frammentare ritmo (stilismo caro ai cantastorie epici) e restituire rinnovato vigore all’attenzione.

La scelta della tematica sportiva «permette anche di riposizionarci di fronte a come la società ci racconta che dovrebbe essere concepita la nostra esistenza, a questa demenziale scala valoriale che scompone la persona e la riduce all’economia che possiede, perché nello sport tu puoi avere un fisico straripante e non essere il giocatore decisivo. Questo è solo uno della serie di atti quasi magici che intessono quel filo tra ciò che accade sul terreno di gioco e quello che accade nella nostra vita» (cit. Davide Enia: «Lo sport ricrea l’esperienza rivoluzionaria della felicità», di Simone Nebbia, su Teatro e Critica del 1 Luglio 2022).

Allo spettacolo si assiste rapiti, immediatamente, in uno stato liberatorio da codici e convenzioni di interpretazione scenica, avvertendosi posseduti, attraversati da moti emozionali dirompenti, sciolti in commozione, o in riso.
Imperdibile.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro San Ferdinando
Piazza Eduardo de Filippo, 20, Napoli
dal 10 al 15 gennaio 2023

Italia – Brasile 3 a 2. Il ritorno
di e con Davide Enia
musiche in scena Giulio Barocchieri, Fabio Finocchio
luci Paolo Casati
suoni Paolo Cillerai
produzione Teatro Metastasio di Prato, Fondazione Sipario Toscana
collaborazione alla produzione Fondazione Armunia Castello Pasquini Castiglioncello – Festival Inequilibrio