Roberta De Stefano, sacerdotessa in Synth

Premio Duse, quest’anno, a De Stefano, che si muove con audacia tra visioni, sesso, Abba e Bugs Bunny.

A scuola insegniamo che il mito non passa perché il mito parla di noi. A teatro però non sempre nelle interpretazioni che ne danno gli artisti ne vediamo la reale grandezza, la complessità, la potenza, l’intensità, l’austerità, l’incanto e il disincanto. Perché prende il sopravvento il personaggio, si esaspera e non regge alle dimensioni dell’umano che non riescono a contenerne il dramma. Il mito allora viene ridimensionato, umanizzato, violentato, abusato, stereotipato, mancato, svuotato a piacimento. Oppure, al contrario, viene enfatizzato, dogmizzato, dio-tizzato, diventando idolo. Ciò che al mito poi si aggiunge è spesso arbitrario, incosciente, infantile, egotico, profano.
Kassandra batte ogni aspettativa. Ha in sé una sua forza che riscrive la storia da una prospettiva che è tutta contenuta nell’interpretazione personalissima che ne dà l’attrice, Roberta De Stefano, al punto di meritare il prestigioso Premio Eleonora Duse – Menzione d’onore – come personalità femminile emergente nella stagione teatrale 2022. Più che un’attrice, De Stefano è performer e attivista, originaria di Castrovillari, allieva del compianto Giuseppe Maradei, che ne aveva scoperto il talento audace già dalla prima giovinezza nelle fila del teatro cittadino. Diplomata alla Paolo Grassi di Milano, Premio Scintille Asti Teatro 38 con lo spettacolo Metafisica dell’amore della compagnia Le Brugole di cui è socia fondatrice, dà voce e vita al testo di Sergio Blanco, cucendo su di sé come un abito su misura la straordinaria regia di Maria Vittoria Bellingeri, potenziandola con le musiche originali di cui è autrice (produzione ERT – Teatro Nazionale 2022).
De Stefano incarna il personaggio in maniera totalizzante e incredibilmente reale, dalla voce all’imponente physique du role, esibito con una stretta tutina in pelle nera, dando prova di una performance indimenticabile, centrata sul piano umano e femminile, assolutamente singolare, che rivisita il lirismo greco, in maniera innovatrice e post moderna grazie all’uso del sintetizzatore. Kassandra, principessa troiana dell’Iliade di Omero, figlia di Priamo e Ecuba, è una prostituta sacra, che parla inglese alla maniera di certe “sorelle” ucraine, rumene, moldave, bielorusse che in Italia sono in cerca di lavoro, di money e di futuro. Scende da una Smart posizionata in palcoscenico, con stivali bianchi alti, sopra il ginocchio, un po’ goffa, come le trans in rivolta; ma è meravigliosamente vera, sacerdotessa senza paradisi, quando chiede al pubblico una Marlboro alla maniera di quelle donne che hanno avuto l’inferno in casa, ma non si sono dimenticate l’anima. Tutta qui la bellezza di Kassandra. La sua diversità, la sua ricerca di riscatto, di amore, mai di approvazione, il suo rapporto con la famiglia, lì dove nasce la tragedia, l’incesto con il fratello Ettore, la sua fine tragica, il suo dolore tra le contraddizioni e la rottura delle regole patriarcali, la strada per essere se stessa, il rapporto con il corpo, il pregiudizio, danno forma a una follia lucida, che ha la tenerezza e l’innocenza del soul, bellezza nuda senza tempo, potente come una verità, come una lacrima, nel buio che esalta le lucine delle frequenze del sintetizzatore che scendono e salgono come gocce di sangue dal mito e dalla scena quando la morte, il dolore trascendono in follia.
Kassandra si reinventa per sopravvivere in una mitica e curiosa parodia di Bugs Bunny, giocosa, a suo modo sublime, destinata a restare nella memoria di chi guarda e ascolta la deriva di questo racconto tragico. Una Joker al femminile adatta alla trasposizione cinematografica questa Kassandra di De Stefano/Bellingeri che ci ricorda che la follia è qualcosa che origina dalle ferite, da ricercare nell’ingenuo e nel grazioso e che può assumere strane forme se non gli si dà vita.
Geniale lo show e l’imitazione di De Stefano dell’animazione dal cartoon alla metamorfosi del coniglietto in una grottesca creatura demoniaca che compie un vero e proprio rito alla luce di una lampada elettrica con cui Kassandra compie un viaggio necessario, inevitabile all’inferno, rimuove la culla, saluta la madre, il padre, la famiglia e si concede al re Agamennone. Da qui la sessualità – simulata alla perfezione ed esasperata in un orgasmo vocalizzato al synth senza precedenti, metafora della decadenza della natura umana e del tradimento di quella divina – accende la scena ed eccede nell’eccesso, in un trionfo di luci psichedeliche da perderci la testa, se non l’avessimo già persa, su uno sfondo ideale stratificato dall’eros che si mischia all’hard, all’estremo don’t do it, che ha qualcosa di atavico e ancestrale mischiato al dolore, all’umano, all’origine, al parto, senza possibilità di ritorno.
Mai visto niente del genere, interpretazione che dà spazio a una distorsione dell’idea di amore oggi tanto terribile e attuale da farci riflettere. Pazzesco come Roberta De Stefano riesca a calarsi nel personaggio riuscendo a mantenere lucidi i tratti irrazionali del mito classico, allo stesso tempo demitizzandoli e decontestualizzandoli, dosandoli alla perfezione, senza ombra di sbavatura, di defezione, anzi, con tutti i rimandi e le aperture a tutte le interpretazioni, come solo il grande mito – e la grande interpretazione – sa fare.
E quando il mito cede il posto all’umano, nel dopo, nel pianto, nel nulla del pavimento freddo dei ricordi su cui ora Kassandra è seduta in una bellezza tale che ci riguarda tutti perché è solamente fragile, quindi più vera, la vita ritorna più dura che mai. The winner takes it all degli Abba è la chiamata al telefono del prossimo cliente di Kassandra, che ci ricorda che la morte si sconta vivendo e che non riesci a evadere dalla tua condizione e sventura neanche se ti chiami Kassandra. Allora struccarsi sulla scena è un atto necessario. Venire alla luce, anche se tubolare e fredda dei lunghi neon che Kassandra tiene in mano, denudarsi e venire allo scoperto come uomo prima, con l’ultima scopata di Agamennone, magistralmente interpretata, nella verità che è prima maschile e poi femminile stavolta, quello dell’orgasmo freddo, sprecato, vuoto di Agamennone che trema, perché meschino, adultero, stanco, uomo. È il momento. Kassandra dice la verità ma non viene creduta. Nonostante il privilegio, il dono antico, della preveggenza, dopo essere stata donna, figlia, sorella, amante, uomo, schiava, ora è il momento di essere se stessa, raccontare la sua storia.
Detta al microfono, confessata, dentro alla Smart come un urlo silenzioso, nella parola che si fa azione, mimesi del microfono che diventa coltello, e dove trovano la morte Agamennone prima per mano di Clitemnestra e poi lei, Kassandra, fatta a pezzi come donna, come amante, ora può risorgere finalmente mito. Nuda. Si mostra in una performance bella e terribile, donna crocefissa, segnata da una bomboletta spray nei punti dove ha sanguinato cadavere, e sconfina in canto, lirica, pura performance femminile d’avanguardia e grandiosa, come succede nell’arte di Vanessa Beecroft o di Marina Abramovich. Adesso, in tailleur bianco, non creduta, massacrata, Kassandra dopo una lunga stratificazione identitaria, Kassandra davanti al pubblico, è finalmente lei, maledizione e privilegio, esilio tragico e condanna fatale, invisa e disprezzata dai greci e dagli dei. Ma non da noi, che le crediamo, meravigliosa e crudele, e che la vediamo mettersi in viaggio un’ultima volta verso il buio della notte, cantando un po’ gli Abba, un po’ Bugs Bunny, con la paura nel cuore e la bellezza dell’anima, innocente e vera, magnifica e vulnerabile, densa ed evanescente, verso la fine, che per i Greci era l’inizio. Verso la morte, che per i saggi e la vita. Verso il passato, che per noi è già futuro a cui tramandare questa grandezza e questo splendore.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Cristallo
via Dalmazia, 30 – Bolzano
martedì 20 dicembre 2022, ore 21.00

Kassandra
di Sergio Blanco
con Roberta Lidia De Stefano
regia scene e costumi Maria Vittoria Bellingeri
disegno luci Andrea Sanson
musiche originali  Roberta Lidia De Stefano
produzione ERT- Teatro Nazionale
foto: Serena Serrani