Così fan tutti, ma dov’è l’Italia di oggi?

Recensione L’onorevole. Il lucido “sguardo morale” di Leonardo Sciascia chiude la stagione di prosa del Teatro Pirandello con la trasposizione de L’onorevole di e con Gaetano Aronica. Uno spettacolo che rende omaggio alla lezione di stile e coerenza del maestro siciliano, meno alla sua inattuale passione civile.

Sciascia è stato, senza se e senza ma, uno dei giganti della cultura del XX secolo. Oltre all’eccelsa qualità letteraria e all’indubbia sagacia critica, a Sciascia va riconosciuta la coerenza dell’intellettuale che si “sporca le mani”: l’arte, la cultura, la lirica e la prosa non possono tirarsi indietro nell’indagare il proprio contesto politico e sociale, anzi motivo e finalità di ogni opera è insinuare continuamente e titanicamente il dubbio nell’immaginario che l’industria culturale pretende di inculcare e tramandare, disvelandone i meccanismi di potere e sapere.

L’onorevole sviluppa, con linearità e senza particolari complessità, una drammaturgia in tre stazioni. Nella prima, conosciamo Frangipane, un professore di lettere classiche che vive in un grosso paese della Sicilia occidentale, la cui routine è modesta, ma dignitosa dal momento che abita in una vecchia casa in affitto in un quartiere popolare e arrotonda lo stipendio con lezioni private che riguardano tanto i contenuti della propria disciplina, quanto la formazione morale dei giovani discenti. L’arrivo delle autorità locali (accompagnate del monsignore di turno, figura centrale nell’Italia democristiana) e l’offerta di candidarsi alle politiche aprono la seconda stazione, quella della corruzione, dove il professore è adesso onorevole, un cinico professionista della politica pronto alla ricandidatura e a un Ministero. La sua condotta è ormai nichilista e spregiudicata (lo dimostra la retorica con cui, in campagna elettorale, sbaraglia la concorrenza interna del partito e trionfa nella propria circoscrizione elettore). I compromessi con i potentati locali sono tali che investono anche il fidanzato della figlia (prima comunista, ora suo braccio destro). L’unica “nota stonata” di questa generalizzata caduta morale è la moglie Assunta, la cui integrità è sinonimo di follia («spero […] di leggere tanti libri: e di quelli che fanno pensare, che fanno impazzire») e la cui figura costituisce un capolavoro concettuale dell’autore (e Aronica, saggiamente, ne rispetta la funzione “dissonante”, affidandola a una convincente Marcella Lattuca). Se il marito aveva ormai svenduto la propria anima e aveva smesso di parlare di letteratura classica o del Don Chisciotte (suo testo preferito), la testarda opposizione di Assunta al suo successo e al fatto che la sua corruzione sia “normale” la rendono infatti “anormale”. Frangipane consegnerà al monsignore il destino della donna (tornare sulla retta via con “miti consigli”), ma sarà il casuale incontro con un’antica discente ad aprire una faglia nelle certezze del professore. Diventata maestra sulla scia dell’insegnamento morale impartitole da Frangipane, la sua delusione di fronte a quello che il vecchio maestro era diventato non lo lasceranno indifferente, ma il finale sarà tutt’altro che lieto.

Come I mafiosi del 1966 e Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A. D. del 1969, le uniche drammaturgie scritte di Sciascia, L’onorevole (1965) non è certamente l’apice della sua produzione letteraria e forse fu proprio l’incapacità di staccarsi dalla narrativa che spense l’entusiasmo che Sciascia aveva manifestato («c’è stato un momento, che è durato due o tre anni, in cui sentivo irresistibile il richiamo del teatro, e comunque della forma dialogica. Me ne sono ritratto, quando, ai primi tentativi, mi sono imbattuto nel regista […] il mio vagheggiamento è di un teatro che si attenga alle didascalie»). Tuttavia, anche ne L’onorevole è possibile individuare la straordinaria capacità dell’autore di Racalmuto di intuire le contraddizioni del presente riconoscendo come, di fronte alla perversa commistione tra potere e corruzione, la cultura possa rappresentare uno scudo necessario, ma non sufficiente per mettere a riparo dalla degenerazione morale.

Se il problema, infatti, è nel sistema che degrada chiunque decida di farne parte, anche i più virtuosi e acculturati, non è un caso che Frangipane (interpretato da Gaetano Aronica) citi nei propri discorsi Orazio e Lucrezio, poeti epicurei alla ricerca di un sereno distacco dai turbamenti temporali e politici, e Miguel Cervantes. Proprio i continui riferimenti al Don Chisciotte incarnano il suggestivo fil rouge che lega la pièce nel suo intreccio/contrasto tra il trionfo del protagonista corrotto, il disagio psichico della moglie e la modestia ideal-deontologica della discente. Il Don Chisciotte della Mancia non è l’anti-eroe banalmente folle (episodio dei mulini a vento) o romantico (incapace di accettare la realtà) della vulgata, ma colui che, nel e per il suo estenuante e precario equilibrio tra giustizia e verità, esprime il coraggio di un uomo che affronta il proprio tempo, ne subisce le contraddizioni e cerca di combatterle senza risparmiarsi (la locura).

Ne L’onorevole, Sciascia non era affatto preoccupato del passaggio dal testo alla rappresentazione e per questo diede poche indicazioni alla sua “materializzazione”. Se pure Gaetano Aronica ne coglie le potenzialità («la sua stessa natura di testo aperto, non concluso, ispira una lettura originale, non irriverente, ma temeraria», note di regia), lo fa solo in parte e declina lo spettacolo come operazione di conservazione della memoria storica di un periodo che, mutatis mutandis, in realtà perdura. Quella che in Sciascia era una denuncia radicale dell’esistente e una sfida al potere costituito (la politica siciliana e nazionale, la chiesa, la mafia), diventa in Aronica un teatro “archeologico” la cui ecologia scenica (costumi, scene, musiche) e performativa (enfasi vocale e posture attoriali) rimanda a visioni e gestualità di un passato che però ha necessità di essere conosciuto preventivamente per essere autenticamente compreso nelle sue “permanenze” nel presente. L’utilizzo della musica come amplificatore delle atmosfera emotiva, l’eccesso di regia nell’ingessare i ritmi e le dinamiche dei comprimari che contrastano dialetticamente la libertà d’azione del protagonista, il disegno luci non sempre ben calibrato (bello l’effetto di associare la penombra della moglie con l’insofferenza dei potenti nei confronti delle opinioni femminili), sono scelte di maniera che inficiano l’intenzione eretica dello spettacolo.

Pur descrivendo con un eccesso di stereotipia i vari personaggi (politici viscidi e preti mistificatori, insegnanti autorevoli e studenti scavezzacollo), la regia di Aronica coglie l’ironia e l’amarezza della fragorosa caduta morale di un onesto e colto professore di lettere e mantiene il contraltare della moglie Assunta, la cui (in)stabilità esistenziale, come quella del Don Chisciotte, vacilla di fronte alla perdita di idealismo, del senso di giustizia e del valore umanistico che, prima, il marito attribuiva alla cultura. Tuttavia, a differenza di quanto accadde per l’autore (che aveva scritto L’onorevole a margine del cosiddetto boom economico tra gli anni 50 e 60, quando il processo di modernizzazione, che pure stava investendo positivamente l’isola, non era affatto scevro di ombre), mantenendo personaggi, ambientazione, linguaggio e stile interpretativo, la regia di Aronica mostra tutti i segni del tempo del testo. A rendere datato L’onorevole di Aronica è proprio l’impossibilità di riconoscere e riconoscersi in personaggi che vengono congelati al periodo in cui Sciascia li aveva pensati e dunque privati di “personalità storica” rispetto all’oggi in cui il pubblico li esperisce. Il mondo rappresentato sul palco non è tanto lontano o sorpassato dal punto di vista ideale. Il problema che Aronica forse non individua e sicuramente non scioglie è la necessità di re-incarnare le figure di metà secolo in altre più attuali, per esempio trasferendo la piccola borghesia del tempo, che stava attraversando un periodo di sviluppo (per quanto diseguale), a quella attuale proletarizzata e/o devastata dalla globalizzazione, dal cambiamento climatico e dalla crisi finanziaria.

Per restituire storicamente l’ipocrisia della politica bisognerebbe ripartire dal fatto che ormai il re è nudo e che si vive in un periodo in cui il sospetto di cui Sciascia fu maestro è stato – spesso maldestramente e contraddittoriamente – preso a pretesto per la cultura del complottismo, con il passaggio da una critica fondata sulla conoscenza (quella di Sciascia) a un’altra fondata sul vuoto dei contenuti virali e delle fake news (il complottismo).

Un nuovo onorevole potrebbe allora essere ambientato nei salotti televisivi o nelle reti sociali. I suoi protagonisti potrebbero essere non più professori colti e idealisti (convertiti al Dio denaro), ma magari il vincitore del talent di turno, il conduttore urlante ma accomodante, il politico riciclato o figure completamente decontestualizzate ed elette senza mai essere state sul territorio, come avvenuto alle ultime elezioni politiche – per esempio – proprio in Sicilia, nel collegio di Marsala. Per esempio, ma probabilmente non a caso, perché «forse tutta l’Italia va diventando Sicilia […] leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale […] su su per l’Italia, ed è già oltre Roma» (Il giorno della civetta, Leonardo Sciascia).

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Luigi Pirandello
Piazza Luigi Pirandello, 35 Agrigento

L’onorevole
di Leonardo Sciascia
regia Gaetano Aronica
con Gaetano Aronica, Viola Provenzano, Silvia Frenda, Fabrizio Milano, Emanuele Carlino, Marcella Lattuca, Nicola Puleo, Franco Bruno, Pippo Crapanzano, Salvatore Galante e Roberto Maria Iannone
scene e costumi Flavia Cocca e Francesco Di Stefano
luci Prostudio Vassallo
collaborazione alla regia Arianna Vassallo
musiche Salvatore Galante