Tutta una vita

Al Teatro Niccolini di Firenze la prima nazionale dello spettacolo teatrale tratto dal libro-intervista di Riccardo Nencini sul testamento morale di Oriana Fallaci

Una sigaretta accesa lasciata sul posacenere. Il fumo, bianco e vaporoso, sale verticale ma lei non c’é. La trepidazione, mista a curiosità, cresce. Come sarà “questa” Oriana? Quale età scenica avrà scelto per lei Roberto Petrocchi, regista de Morirò in piedi?

Riccardo Nencini, nel suo libro-intervista uscito nel 2007, anno successivo alla morte della scrittrice, la tratteggia minuziosamente: magra, pallida, coi capelli corti e un sorriso malinconico e beffardo allo stesso tempo. Poi le mani, “ben curate, con le unghie laccate”.

Ma eccola, entra in scena Giulia Weber ed è perfetta nel ruolo della Fallaci, come ce la immaginavamo, come l’avremmo voluta.

Lo spettatore si trova immediatamente catapultato nella scena e assiste, nella penombra, in disparte, alla conversazione tra i due amici avvenuta durante quell’indimenticabile pomeriggio d’estate in cui Nencini – qui interpretato da Fulvio Cauteruccio – raccolse il testamento morale della grande scrittrice e giornalista.

La scenografia è costituita da pochi elementi che ricordano un piccolo e intimo salotto, poi la scena viene pervasa dal bagliore di alcuni video in bianco e nero che riproducono, come flash back, episodi di vita di Oriana Fallaci notoriamente divisa tra la sua amata Firenze e New York (dove acquistò la sua seconda casa) e altri angoli del mondo in cui si recò per seguire, come corrispondente di guerra, storici conflitti, come quello in Medio Oriente, in Sud America, in Pakistan.

In pieno stile “Kripton” (di cui Cauteruccio è membro) le immagini caotiche dei bombardamenti su Firenze, di conflitti e di cortei degenerati in massacri, sfumano su un documentario di archivio che trasmette la voce di Oriana dal marcato accento fiorentino (di cui andava fiera). Si vedono anche i frenetici tasti e i martelletti della sua personalissima Olivetti Lettera 32, la macchina da scrivere dalla quale non si separava mai, nemmeno dopo l’avvento del computer.

La Weber-Oriana si muove lentamente sulla scena, si siede, si rialza, fuma una sigaretta dietro l’altra e beve champagne. È irrequieta, sente che si sta avvicinando la fine. Sola più che mai, non vorrebbe farsi vedere nello stato in cui si trova, ma avverte un grande bisogno di confessare a qualcuno il suo inaspettato smarrimento, raccontare la sua vita, fare un bilancio e condividere con una persona fidata le ultime volontà. Per questo sceglie Riccardo Nencini, conosciuto nel 2002 in occasione del Social Forum di Roma e poi divenuto uno dei suoi (pochi) amici fidati. Di lui sente di potersi fidare e, sebbene non avesse mai rilasciato un’intervista, decide di mettere la sua esistenza passata al centro della conversazione.

Comincia così un racconto fatto di pennellate di ricordi, iniziando da quando, durante la Resistenza, Oriana era una bambina con le trecce che, in sella alla bicicletta, trasportava bombe a mano nascoste tra l’insalata; poi la scuola, le superiori al liceo classico, l’università mai terminata e le prime collaborazioni giornalistiche: le esperienze di guerra vissute in prima persona, le prese di posizione e le sue famose interviste ai grandi della Terra, fatte di domande insidiose che potevano mettere a nudo chiunque. Poi un grande amore, il matrimonio, la maternità negata.

La protagonista parla lentamente, fa alcune pause per tossire o accendere l’ennesima sigaretta. Dimostra di avvertire dolore inducendo il suo compagno di scena a prendersi cura di lei sistemandole il cuscino della poltrona, offrendole da bere; sempre premuroso e delicato nelle sue risposte, confermando il grande affetto e l’istintivo senso di protezione verso l’amica.

Giulia Weber è perfetta in questa rappresentazione e trasmette la stessa determinazione della protagonista della vicenda che più volte rivelò di non sentirsi ancora vinta dall’“Alieno” (come chiama il cancro che l’aveva colpita), che comunque sarebbe morto con lei. Nelle affermazioni più convinte l’attrice alza lo sguardo spavalda, verso quell’orizzonte teatrale immaginario, svelando al pubblico i suoi occhi azzurri e severi, proprio come quelli di Oriana.

Verso il termine della rappresentazione, un omaggio alla madre della Fallaci nella scena in cui la protagonista ha uno scambio di tenerezza con l’altro personaggio femminile, Flavia Pezzo: anche questo un momento molto toccante.

Poi il palco si svuota. Si ode un altro ticchettio: questa volta è quello di un orologio che evoca il crudele scorrere del tempo. La vita, l’amata vita, è passata in un soffio: la protagonista di questa incredibile storia è consapevole di non avere più possibilità di riscatto, ma non ha paura.

Non intende piegarsi al destino e come sempre, libera e spavalda afferma: «Sono alla fine, Riccardo, e voglio morire a Firenze. Ed ora ci siamo. Ma morirò in piedi, come Emily Brontë».

Si spengono i riflettori.

Scroscio di applausi

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Niccolini
Via Ricasoli, 3/5 – Firenze
venerdì, 17 novembre 2021, ore 19.30

Morirò in piedi
di Riccardo Nencini
adattamento teatrale di Roberto Petrocchi
con Fulvio Cauteruccio, Giulia Weber e Flavia Pezzo