Incertezze, fascino e mistero in un contesto di inimmaginabile bellezza

Sono trascorsi (poco) più di due millenni, ma l’alone di mistero della celebre affermazione «due crimini mi hanno perduto, un carme e un errore» continua ad affascinare esperti e profani. Perché Publio Ovidio Nasone – con Virgilio e Properzio, il più influente ed entusiasta dei poeti augustei – venne confinato ai margini del nascente impero e mai riabilitato? Quanto è plausibile la teoria di Jacobus Johannes Hartman, stimato ed “eccentrico” accademico olandese di lingua latina, secondo la quale la relegatio del poeta sarebbe stata opera di fantasia al pari dei suoi celebri componimenti?

Vista la scarsità delle fonti sul “caso Ovidio”, più che ai posteri, verrebbe da dire a ognuno la propria sentenza, se non fosse che Luigi Di Raimo è autore di un progetto di ricerca sulla «prassi spettacolare nell’epistolografia ovidiana dell’esilio» dove interpreta Tristia ed Epistulae ex Ponto quali testimonianze di «un’abilità di scrittura dotata di una spiccata predisposizione alla performabilità». Lo studioso è dunque un autorevole interprete della vicenda e sembra avere le idee chiare al riguardo: le parole del poeta latino sono da prendere tremendamente sul serio. Il carme del “peccato” sarebbe la celeberrima Ars Amatoria, opera sull’amore libero da coltivare come un’arte che però venne “maldestramente” pubblicata in un periodo in cui l’azione di Augusto, ormai pontefice massimo e curator legum et morum, iniziava a toccare ampie questioni religiose, sociali e morali della società. La visione augustea del Principato stava difatti per operare nella direzione della moralizzazione dei costumi e della restaurazione dei mores maiorum, limitando l’adulterio e la castità e rinsaldando religione e famiglia quali pilastri del prestigio e del primato romano sul mondo. È dunque intuibile il perché la poetica “libertina” e seduttiva di Ovidio potesse essere controversa, meno evidente, invece, è il perché la punizione della relegatio (un allontanamento dalla città però privo di damnatio memoriae ed esproprio dei beni) gli venisse comminata con anni di ritardo rispetto all’uscita delle sue pubblicazioni erotiche. Probabilmente, il vero motivo dell’allontanamento e del mistero risiede non nel carme in sé, ma nell’errore (citato nel famoso passo sopra ricordato), che però mai venne effettivamente chiarito né dal protagonista, né da storici o poeti successivi.

La scure dell’editto di Augusto, stando ai testi di Ovidio, giunse inaspettata al rientro dall’isola d’Elba, ma la sua condizione di esule non lo inaridì, tant’è che durante la permanenza a Tomi, ostile e insalubre località sul mar Nero, compose Tristia ed Epistulae ex Ponto. Nella prima, dove a essere descritta era l’ultima notte nella propria casa in compagnia della moglie Fabia e degli amici disperati, la condizione che Ovidio si attribuiva era epica al pari di quella di un Enea in fuga da Troia. Le Epistulae, dove il tono si fa più nostalgico, furono invece lettere indirizzate a influenti personalità della società romana che Ovidio sperava potessero aiutarlo a intercedere nei confronti dell’imperatore (risolvendosi con un nulla di fatto).

Su un palco sovrastato dal maestoso Tempio di Giunone, uno sfondo di imponente fascino e bellezza, che da solo vale ben oltre il prezzo del biglietto, dal punto di vista dei contenuti e della forma, Ovidio, il poeta relegato. Metamorfosi dell’esilio evita astrusi approfondimenti della vicenda storica e fa della semplicità la propria strada maestra scegliendo di allestirsi come mise en éspace. La tensione scenica e le dinamiche emotive vengono dunque affidate a un accompagnamento musicale registrato che si sviluppa in accordo con il pathos del racconto, il quale a sua volta procede come successione senza soluzione di continuità di letture drammatizzate da parte di Ugo Pagliai (Ovidio), Paola Gassman (Fabia), Daniele Salvo e Barbara Capucci (Alcione e Ceide, Penelope e Ulisse, Arianna e Teseo, etc.).

Le voci degli attori sono perennemente declinate su un registro tragico, il che risulta perfettamente in linea con la roccia millenaria della Valle dei Templi che circonda palco e platea, mentre le tonalità auliche della recitazione ossequiano in maniera un po’ stucchevole la tradizione aristotelica dell’arte che, attraverso la verosimiglianza, conduce alla catarsi. Tuttavia, accanto al riuscito tentativo di salvaguardare la comprensione della vicenda di Ovidio nella sua drammatica intimità, altre decisioni si rivelano drammaturgicamente monolitiche. Su tutte, perplime la scelta di enfatizzare il clima di crisi personale del poeta, il che da un lato “sminuisce” le complicazioni della ricostruzione storica, ma dall’altro inficia la possibilità di cogliere le potenzialità insite nella messa in scena di un evento metaforicamente tanto misterioso quanto affascinante.

Di fatto, lo spettacolo pone al centro del testo il dialogo tra Ovidio e la propria poesia e fa di questo uomo che invoca il Dio che gli ha dato la vita, ma negato la libertà, un martire dell’esilio e l’emblema del Genio. In questo modo, se a incuriosire è soprattutto la declinazione del frontalismo scenico secondo lo schema delle Eroidi, la raccolta epistolare in cui la scandalosa interpretazione ovidiana dell’universo femminile aveva preso forma attraverso il dialogo immaginario tra alcune eroine della mitologia classica (donne insoddisfatte e più o meno manipolatrici) e i loro innamorati (uomini assenti e/o infedeli), a risultare decontestualizzato è l’accento dato all’ideale del poeta romantico che deve necessariamente struggersi nell’anelito alla scrittura e che si strazia nella tensione dell’arte.

Al netto del suadente linguaggio utilizzato e dell’esperta presenza dei suoi interpreti, Ovidio, il poeta relegato. Metamorfosi dell’esilio sembra ancora muoversi con incertezza tra suggestive intuizioni testuali e incomprensibili banalizzazioni estetiche. Forse troppo poco rispetto all’indimenticabile scenario “naturale” in cui lo spettacolo è incastonato.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro della Valle dei Templi

(Tempio di Hera Lacinia (Tempio di Giunone), Agrigento
23 settembre, ore 20:30

Ovidio, il poeta relegato. Metamorfosi dell’esilio
di Luigi Di Raimo
a cura di Daniele Salvo
con Ugo Pagliai, Paola Gassman, Daniele Salvo e Barbara Capucci
organizzazione Associazione culturale Kairos, Parco Archeologico della Valle dei Templi