La voce e il pianto dell’eterno femminino

Negli ultimi giorni della sua programmazione, al RomaEuropa Festival va in scena l’opera di Martina Badiluzzi, che recupera il mito di Penelope stravolgendone il valore archetipico.

Tanto nella mitologia classica quanto nell’immaginario moderno, Penelope è simbolo di fedeltà coniugale, di attesa indefessa, di speranza appagata alimentata dalla forza d’animo ma anche dall’astuzia e dall’intelligenza. Tuttavia, la moglie di Odisseo e regina di Itaca assurge oggi a connotazioni simboliche nuove, spesso in gradi di smarcarsi rispetto alla prospettiva ordinaria dell’archetipo materno: Penelope oggi è femminino audace che recupera l’originario fondamento irrazionale e diabolico, rivendica la possibilità di sfidare l’autorità maschile ed è stanca di aspettare il ritorno e l’approdo della figura salvifica. Nel mondo contemporaneo, caratterizzato da ritmi lavorativi e sociali cadenzati che impediscono di riflettere e pensare a cosa si sta realmente facendo, seppur la figura femminile appaia sicuramente più emancipata rispetto ai tempi di Omero, in altre forme in ogni donna ancora continua a ruggire una rabbia antica, fatta di abusi più o meno palesati ed espliciti. Penelope portata in scena da Martina Balduzzi, interpretata da Federica Carruba Toscano per il RomaEuropa presso gli spazi dell’Ex Mattatoio, sembra avere poco a che fare con l’epica omerica e in fondo è proprio così: sulla scena una donna esuberante ma al contempo malinconica, riflessiva e arguta ma contemporaneamente sofferente e dall’anima irrisolta, pronta a emanciparsi dal passato per spiccare il volo ma ancora vittima dei traumi di quello stesso passato, composto di immagini e momenti che si distorcono nella riemersione del presente.

Così, momenti apparentemente innocui relativi all’infanzia diventano narrazioni mostruose, cariche di un significato nuovo che può sembrare blasfemo nei confronti dell’ipotetico idillio che dovrebbe caratterizzare l’infanzia e l’adolescenza di ogni donna, ma che in realtà esprime al meglio un significato che diventa metafisico perché riguarda l’origine del male, il senso del tempo, il significato dell’amore e della morte: un ricordo innocente di un barbecue col proprio padre diventa il racconto mitologico di Saturno che divora i propri figli, perché d’altronde dai cassetti dei ricordi di quando eravamo bambini spesso si affaccia il mostro, il demonico, l’assurdo che viene rimosso abitualmente nella nostra quotidianità, ma che può riaffiorare per esempio attraverso l’arte e la scrittura drammaturgica.

Carruba Toscano è una performer sontuosa, potente nella dimensione vocale e fisica, ma anche capace di restituire alcuni risvolti di tenerezza; al tempo perduto l’attrice sovrappone una buona dose di ironia e sarcasmo, che tende persino al cinismo più spietato, e nello spettatore la risata sguaiata subito si piega in un sorriso pirandelliano affranto e doloroso. Complice lo straordinario allestimento scenico, essenziale ma assai espressivo: una serie di ventilatori che si alternano nell’accensione, una poltrona mobile, il resto tutto lasciato o all’immaginazione (del personaggio così come degli spettatori) o all’ottimo lavoro sonoro di Samuele Cestola, espressivo e perturbante, nonché dell’efficacia del disegno luci e della costruzione scenica di Fabrizio Cicero.

La qualità e la forza della regia e del testo drammaturgico, senza le quali sarebbe stato ovviamente impossibile sviluppare un monologo tanto coinvolgente, sono di Martina Badiluzzi: classe 1988, divenuta negli ultimi anni uno dei nomi di riferimento del teatro emergente grazie soprattutto al successo di Fäk Fek Fik, oltre a essere attrice e performer di grande talento, dimostra di avere indubbie capacità registe ed espressivo-artistiche. D’altronde è evidente che il lavoro di Badiluzzi, cucito e costruito attorno a Carruba Toscano, è il lavoro di un’attrice per un’altra attrice: nella scrittura è come se l’autrice abbia messo il suo di corpo, per poi trasferire la dimensione performativa a un’altra donna. Si tratta dell’eterno femminino che sintonizza più anime, che ribolle dalle profondità del cuore e della mente di ciascuno, perché il femminino della Penelope postmoderna è la componente demonica che travalica i generi sessuali alla ricerca di un futuro che coincida con il ritorno alle origini. E l’origine è sempre una bocca, un corpo che si dimena, un pianto di dolore animalesco che è desiderio di vita: l’obbedienza della Penelope omerica si spalanca in un urlo infinito.

Lo spettacolo continua
RomaEuropa Festival / Mattatoio
Piazza Orazio Giustiniani 4, Roma
12 Novembre, ore 21.00 – 13 Novembre, ore 17.00

Penelope
una produzione Oscenica
in coproduzione con Romaeuropa Festival, Primavera dei Teatri, Scena Verticale, Pergine Festival
con il supporto di La Corte Ospitale, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Carrozzerie n.o.t., Teatro del Grillo
regia e drammaturgia Martina Badiluzzi
con Federica Carruba Toscano
progetto sonoro Samuele Cestola
disegno luci e scene Fabrizio Cicero
costumi Rossana Gea Cavallo
consulenza artistica Giorgia Buttarazzi
aiuto regia Arianna Pozzoli