Come si crea, e si nutre, un mostro mediatico

Al teatro Elfo Puccini è andato in scena Peng: conturbante espressione di tutte le peggiori atrocità che si possano immaginare, condensate nel corpo e nella mente di un bambino “prodigio” della malvagità.

Due gemelli stanno per nascere ma ne verrà al mondo solo uno: Ralf Peng, che già nel grembo materno dà un assaggio di quella che sarà la sua incredibile precoce ferocia strozzando la sorella prima ancora che nasca. L’evento attira l’attenzione di un giornalista e di un’emittente televisiva che decidono di monitorare secondo per secondo la vita di questa famiglia in cui il piccolo protagonista, crescendo, diventerà un concentrato di atrocità, fino ad arrivare alla massima manifestazione di cattiveria nel tragico epilogo, a soli 5 anni di vita.

Così si potrebbe riassumere in poche righe la trama di Peng, testo di Marius Von Mayenburg scritto nel 2017 (all’indomani della vittoria di Donald Trump) per la compagnia della Schaubühne di Berlino. In Italia, il Teatro Vascello ha curato la produzione e affidato la regia a Giacomo Bisordi che ha saputo fare un abile lavoro di adattamento alla cultura e al vissuto italiano, senza snaturare il nucleo fondativo del testo originale.

La trama si può riassumere in 4 righe, sì, ma quello che succede in mezzo alle parole di questa breve sinossi, in quasi 2 ore di spettacolo, è difficile da raccontare. La bravura degli attori in scena è ammaliante: l’abilità e la resistenza fisica richiesta in tanti passaggi sfidanti, la perfezione tecnica dei monologhi, alcuni davvero difficili, la capacità con cui si “incrociano” transizioni e scambi di battute sono davvero mirabili.

Quello a cui assistiamo è una sorta di Truman Show dei nostri tempi, mischiato all’efferatezza di Squid Game, mischiato all’ipocrisia dei reality show e alla tv della verità dei “peggiori” palinsesti televisivi. Ralf Peng è un bambino che inizia a camminare e parlare appena uscito dal ventre materno e fin da subito dimostra un cinismo e una crudeltà alle quali i genitori si prostreranno sempre con la scusa del «è un bambino prodigio».
Genitori che incarnano la massima espressione dell’atteggiamento ormai sempre più comune per cui vanno sempre messi in discussione gli altri, mai il proprio figlio: qualsiasi azione trucida Ralf compia, a pagare saranno le vittime dei suoi soprusi: la baby sitter viene molestata da lui? È colpa della sua sensualità e procacità. Ralf non sa suonare il violino dopo un anno di lezioni? È colpa dell’inettitudine del maestro che si ritroverà anche ad essere mutilato dal bambino per questo.

L’intero spettacolo è una grande metafora, enfatizzata all’estremo, della facilità con cui politici e movimenti nascono e prendono potere dal nulla i quali, facendo leva sul populismo e la banale semplicità con la quale risolvono questioni complesse e che ascendono velocemente, anche favoriti da una spettacolarizzazione e dall’iper-condivisione di qualsiasi aspetto personale. Un atteggiamento con cui spesso viene spacciato per autentico tutto ciò che in realtà è maleducazione, violenza, qualunquismo, razzismo, prevaricazione.

Magari non si direbbe per quanto scritto finora, ma in questo spettacolo si ride anche: risate amare, certo, perché ci si ritrova di fronte alle idiosincrasie della contemporaneità; si ride del buonismo ipocrita dei progressisti che bevono kefir e mangiano solo prodotti bio e a zero impatto ambientale, ma che poi non si tirano indietro nello spettacolarizzare il dolore, se può aiutare a fare più ascolti. Uno dei tanti esempi è quello del personaggio della madre di Ralf che protegge in casa (nascondendole in cantina, come topi) le donne maltrattate dai propri mariti ma è subito pronta a svenderle alle telecamere per mostrarne le ferite e sbandierarle come coraggioso monito di sorellanza verso altre donne che subiscono violenza.

Quello di Mayenburg è un testo forte del quale la regia italiana ha mantenuto la potenza deflagrante. È uno spettacolo che va vissuto a bordo palco per apprezzarlo a pieno e, perché no, per uscire anche confusi ed elettrizzati dalla sala, arricchiti di tanti spunti su cui riflettere. D’altronde l’intento dichiarato dell’autore era quello di trasmettere il suo credo per cui «il teatro dovrebbe essere un luogo in cui non sentirsi al sicuro».

Missione, purtroppo o per fortuna, compiuta.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Elfo Puccini
Corso Buenos Aires 66 – Milano

Peng
di Marius Von Mayenburg
traduzione Clelia Notarbartolo
regia Giacomo Bisordi
con Fausto Cabra, Aldo Ottobrino, Sara Borsarelli, Francesco Sferrazza Papa, Anna C. Colombo, Francesco Giordano
e con la partecipazione in video di Manuela Kustermann
scene e disegno luci Marco Giusti
scenografa collaboratrice Alessandra Solimene
video Paride Donatelli
suono Dario Felli, fonico Emanuele Pontecorvo
esecuzione luci Marco Guarrera
costumi a cura di Francesco Esposito
aiuto regia Paolo Costantini
assistente di scena Eughenij Razzeca
foto Manuela Giusto
produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
con il contributo di NuovoImaie