Il rito dell’arte

Recensione Play Duett. Spettacolo di tradizione in Sala Assoli, al terzo atto, carrellata nel patrimonio teatrale napoletano e non; parola e immagini, suono e figura, l’arte attoriale che replica il rito d’una comunità che si specchia in sé stessa.

Sbirciare nella casa degli attori. Nei luoghi abituale, territori di transumanza, habitat. “Animali” meravigliosi e emittenti, motivi, gesti, suoni, per anime in ascolto. Guardarli compiere il rito millenario del rappresentare l’uomo e i suoi movimenti, anzi, moti. Le azioni solitarie e in coro, i filamenti a legarli, dissociarli, animarli verso l’altro. E di rito di comunità si può dire assistendo al terzo atto di Play Duett. Un gioco. Appunto. Per due. Per due a figurare i molti. Per due a portare faccia corpo sangue, plasmati dall’esperienza che fa il gesto consueto, pur finto, che fa la voce giungente negli angoli bui, della sala e delle coscienze, che fa l’azione d’attore scena di vita, che vita non è mai…
Un rito principiato dall’intimo, un travestimento davanti lo specchio, il trucco forte, rossetto, cerone, a trasformare il genere, identificare per mimesi, lasciare lo spettatore terzo e rapito, o l’attesa, su un letto a guardare il soffitto prima di andare in scena, e non essere, fuori dalla scena. E poi l’immedesimarsi, il compimento del rituale per cenni di tradizione, simulacri, processioni laiche verso il proscenio, materia naturale attorno, pietra, terra, fuoco, aria, e simboli antichi, feticci, vocalismi apotropaici. E raggiunta la postazione, un paio di sedute, fronteggianti, ai lati dello spazio di scena, cimentarsi in una battaglia (senza vincitori) di pezzi di drammaturgia universale, Viviani, Bene, Basile, Shakespeare, Petito, Totò, Moscato, tra gli altri.
Il carisma di Lino Musella, l’autenticità verticale di Tonino Taiuti, tra i più acclamati interpreti del teatro napoletano dunque nazionale, l’improvvisazione, l’avanguardia, l’assenza di maniera per esposizione pura, aderente, vera. La composizione ibrida, gli sconfinamenti nell’avanspettacolo, la ricerca e gli slittamenti di senso, l’assurdo. Contemporanei ai tempi e all’idea del teatro in frammenti, la partitura post-drammatica a lasciare allo spettatore l’opera di raccolta, seminando segni vocali, immaginifici per percezioni policromatiche.
Uno spettacolo che torna nella memoria quando uscendo dalla sala ci si imbatte nell’altrove, nell’attorno, suggerendo risposte ad azioni mancate, suggerendo (non)senso ai silenzi, alla dialettica convenzionale con cui si decifra l’agire sociale.
Una celebrazione al teatro come arte parallela e perpendicolare all’esistenza. Necessaria, come cibo e aria, per intelletto, per spirito.
La libertà di scelta nel mentre dell’azione drammatica. L’autorialità sbrigliata, il meccanismo di svelamento sincopato all’attenzione ermeneutica, il mistero profondo dell’essere che appare, in fenomeni di espressione para-verbali, mimici, e per le parole degli artisti, dei visionari, dei sempiterni.
Il rapporto con il pubblico si distanzia e si assottiglia, quasi a potere intervenire, nel fronteggiarsi drammatico e complice. Per chi, dall’altra parte, sceglie di non giocare. E di non essere giocato.

Lo spettacolo è andato in scena
Sala Assoli
Vico Lungo Teatro Nuovo, Quartieri Spagnoli, Napoli

Play Duett
di e con Antonio Biasiucci, Lino Musella e Tonino Taiuti
soundscape Marco Vidino
luci Simone Picardi
proiezioni Livia Ficara
supporto tecnico Mauro Varchetta
produzione Casa del Contemporaneo