Recensione Radio Argo Suite. Performance per voce sola e musica dall’opera teatrale Radio Argo, riscrittura drammatica da Orestea del poeta e drammaturgo Igor Esposito incarnata in palcoscenico da Peppino Mazzotta.

Nero. Come il buio che avvolge gli spettatori in sala. E dissolve tratti, connotati, figure, parvenze, per eguagliare in un comune ascolto. Eliminare contorni, limiti. Nero il fondale, le postazioni strumentali ai lati dello spazio scenico, nessuna quinta, un unico punto di entrata senza uscita. E scuri i leggii, le assi dei microfoni, i pochi oggetti funzionali alla resa. Scuro l’abito di Mazzotta, contrastato da una t-shirt bianca, di sottogiacca, a minimizzare il corpo/persona a favore del corpo/strumento di rappresentazione, veicolo fonetico e fisico di parola e gesto (minimale) drammatizzati a rievocare fantasmi, ricreare contatto e distanza, dare carne a soggettività, a geografie intime, provocare prossimità o dissenso. Fulcro drammatico, le vicende di una famiglia (gli Achei) dilaniata dalla ragione di potere, dall’idiozia della sopraffazione, decimata dai lutti e in cerca assoluzioni in nome di vana gloria, o del rispetto di onore fittizio. Per voce dei protagonisti, nessun impianto sceneggiato, nessuna azione o dialogo, punti di prospettiva psicologici, singolari, peculiari, trasposti unicamente dal meraviglioso attore Peppino Mazzotta, tra i migliori degli ultimi trent’anni di teatro contemporaneo. Sulle tavole del palco, sbrigliato dalle direzioni inevitabili della recitazione cinematografica, libero della sua espressione indipendente, del suo grandioso stato d’arte.

Il passato, monumentalizzato dal mito, a disvelare le miserie della degenerazione valoriale dell’uomo svestito delle sue più virtuose entità. L’uomo che si immola miserabilmente alle eco delle celebrazioni, della vanità, della supremazia, della lussuria, per un consenso presente e postumo che maschera mostruosità. O per vile vizio.
Uno speaker radiofonico, novello aedo, sostituisce il coro nella narrazione pura del dramma – volendo individuare analogia schematica a codificazioni tradizionali – a inframezzare gli assoli. Poco innanzi al fondale, a destinarne livello di posizione; in ribalta invece i personaggi caratterizzanti la drammatizzazione principale: Ifigenia (con la quale principia l’inscenato), Agamennone, Oreste, il protagonista ultimo, in ordine di apparizione. Evitando capricci di attualizzazione (specificato nel foglio di sala a firma di Mazzotta, anche regista dello spettacolo) l’ora e venti di messinscena entusiasma il pubblico in ascolto. Lo testimoniano i lunghissimi e ripetuti applausi accese le luci di sala a fine, a “costringere” gli interpreti a ritornare sulle tavole per una mezza dozzina di volte.
La potenza di una parola assolutamente mai edulcorata, mai barocca, mai compiaciuta o artificiale, ma netta, sinuosa, intelligente, dissolvente orpelli o metaforiche di sorta per un approdo secco, prossimo, vocativo quel che basta per suggerire all’immaginifico gli scenari giusti, concreti, vicini. Un testo capace di inspessire caratterizzazioni tipiche e veicolare il dramma, inducente a comprensioni polarizzate e specifiche, senza mai apporre giudizio, senza mai declinare affezione o critica. La pura verità dell’essere, del soggetto, vivificata dalla figura materiale, carnale e vocale dell’attore.
L’infantilismo innocente di Ifigenia, primo capro per cui si compie la tragedia, piena di sentimenti ingenui, ignara del crudele destino assegnatole. Figurata con delicatezza da Mazzotta, modulando sensibilmente la vocalità per emanciparne caratteristiche (trasmutate in tratti di riconoscibilità comune); disfattista, oziosa, menefreghista, viziosa, la personalità di Egisto, il parassita approfittatore delle disgrazie altrui, la cui scena, risulta l’unica dialogante con l’ombra di Clitennestra, sottomessa regnante figura di minoritarismo femminile in una società prepotentemente patriarcale, ugualmente complice, coinvolta, colpevole. Si può notare – in questo duetto – una diminuizione scenica a suggerire semioticamente approcci, prendere posizione; l’arroganza di Agammenone, in divisa militare (ricorda vagamente l’abbigliamento nazista) “benedetto da Dio” quale assoluto signore di guerra, nel tentativo, evidentemente riuscito, di persuadere popoli e morale, metafora della demagogia, della teatralità affabulatoria della politica; l’esilità, il vittimismo, di Cassandra, oltre la ribalta al margine destro del palco, portatrice di verità in chiaroveggenza, brutalmente schiavizzata, come serva è la verità offuscata dall’incredulità ipocrita e comoda, evitata per convenienza di adesione doverosa ai “giochi di società”.
Crolla la parete volutamente tenuta sottile nel corso dell’opera (tra palco e platea), nel finale monologante di Oreste, a cui è destinata la compiutezza drammaturgica. L’eroe folle per il quale si compie l’empia vendetta (ritenuta giustizia nei dogma morali greci) e che nettizza i contorni mistificati degli accaduti. Oreste realizza. La sua voce è il canto del capro. Le sue gesta, sporche di sangue, empie di orrore, risolvono, distruggendo il passato e avverando un futuro di morte, di polvere, di ricordo. Mazzotta, in questa occasione, diventa prossimo allo spettatore, sembra rivolgerglisi direttamente, speculare; concretizzando l’atto politico del prendere parola in scena nella formalità della finzione teatrale, che squarcia dolcemente nell’intimo dello spettatore il velo gelatinoso tra realtà e menzogna, tra ciò a cui ci si attiene per convenzione e ciò che si è. Per il resto del trasposto, Mazzotta, rigorosamente non sfugge al dovere di rigore, attento alle giuste ed efficaci inflessioni, a non slabbrare il gesto, a evitare compiacimenti e attrazioni per farsi sontuoso interprete, strumento di trasmissione. Una mimica sincera, animata dai contenuti, dal “sentire” il testo, gli trasforma il viso in una maschera autentica. Eccezionali i musicisti, a definire e incorniciare ambienti e tratti, decisamente un altro, importante, necessario, vivo, elemento drammaturgico e scenico.
Uno spettacolo meraviglioso.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro San Ferdinando
Piazza Eduardo de Filippo, 20 Napoli
sabato 4 novembre 2023

Radio Argo Suite
di Igor Esposito
diretto e interpretato da Peppino Mazzotta
musiche originali Massimo Cordovani
eseguite dal vivo con Mario Di Bonito
post produzione live dei suoni a cura di Andrea Ciacchini
direzione di produzione Lindo Nudo
coproduzione Teatro di Napoli – Teatro Rossosimona