Le viscere di Napoli

Recensione Scannasurice. Un classico del teatro contemporaneo italiano, scritto da Enzo Moscato nel 1982; il racconto di un terremoto reale e metaforico, la discesa agli inferi di Scannasurice, al quale dà vita e corpo una straordinaria Imma Villa.

Tra i vichi di Napoli morti e vivi fanno arrevuoto. E non si sa bene chi comanda. Sotto gli occhi delle madonne e dei santi delle edicole votive. Che qualche volta si chiudono. Per fare finta di non vedere. Vivi, morti, uomini, donne, e femminielli. E topi. Troppi. Come i napoletani. Ammassati, sporchi, roditori. Organizzati per meglio fottere al compagno, il poco di cacio nella trappola. E nella trappola, si sacrifica l’amico.
Di Napoli e le sue tane, ne canta Moscato, aedo senza tempo, anima e arte d’una città unica. Conosciuta in tutto il mondo, “senza sape’ ‘a verità”. E di questa verità, di questa disperata bellezza, s’incarna il sembiante attoriale, Imma Villa, un corpo prosecuzione delle tavole di legno dei palcoscenici, un viso scavato dalle luci di taglio, gli occhi abituati al bagliore dei par e dei sagomatori e alle ombre della penombra, modellati dalle rifrazioni. Diretta dalla mano di Cerciello, abile condottiero, esperto, traente materia dai sotterfugi, lessico dai chiasmi, azione dai soliloqui. Una soggettiva prisma di tutto un vivere, scene di pochi rappresentanti un mondo, e tutto l’ethos di popolo, di società, di uomo e le proprie tensioni, passa per bocca, per gesto, per voce, per visione scenica di Villa, Cerciello, Moscato.
La Napoli dei quartieri, un terzo mondo nel cuore pulsante del centro antico, sotto ai borghesi del Vomero, affianco ai nobili di Chiaia, prossimi alla kasbah del borgo vecchio, un terzo mondo indico, autoctono, con proprio codice, ras, mercanti, padroni e sotto. Dove si fa la vita. Per necessità.
Non ha nome il femminiello di Moscato, né identità. Figlio dell’umile, di chi ammaestrava i topi con la tammorra, e sapeva di saggezza. Figlio della notte, la tentazione puttana che ci fa tutti uguali. Figlio di Napoli, della sua lingua naturalmente teatrale, capace di figurare con una parola una scena, una specificità di azione e di circostanza. Una lingua latina, e sonora. Un canto a mare. E di bordello.
Uno scheletro di edificio da fondale e scena praticabile – assimilare livello spaziale – sgarrupi di tufo, scantinati, vasci. O finestrelle da cui s’affaccia una madunella, in edicola, la Madonna degli avvelenati.
Nel contesto d’una drammaturgia, che in rottura alla tradizione si fa nenia e sceneggiata d’un solo protagonista, svela una infinita geografia intima e umana, endemica di un popolo e d’un singolare modo d’essere. Si fa affioramento di profondità recondita, della voce del poeta involontariamente cantore d’una collettività. Nei panni del personaggio, prostitut* , contenitore di sfoghi, di evasioni, di esorcismi da sé. Il taumaturgo di strada. Dei poveri diavoli.
E ancora la Napoli dei misteri, delle leggende, della magia nera. Dei riti, apotropaici o meno, con cui s’incanta il popolo. Come in teatro, un rito d’incantamento per illudersi di vivere. Perché l’illusione è il gioco per rappresentare di sogno la realtà. E l’arte ciò che alimenta la ragione d’essere uomo.
Scene verticali, piani focali limitati dalla luce, l’espressione della Villa costantemente e volutamente baluginante, equivoca, una studiata maschera mimica, brillantemente deformata incidendo l’intenzione. Il gesto immaginifico, perpendicolare al parlato, non difforme. La sottigliezza fra finto e sussurrato, per arrivare in platea come disarginarsi. L’ethos in carne.
Magico. Irripetibile.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Elicantropo
Vico Gerolomini, 3 Napoli
10 dicembre 2023

Scannasurice
di Enzo Moscato
regia Carlo Cerciello
con Imma Villa
scene Roberto Crea
costumi Daniela Ciancio
suono Hubert Westkemper
musiche originali Paolo Coletta
disegno luci Cesare Accetta
produzione Elledieffe, Teatro Elicantropo