I fiori strappati troppo presto

Recensione Se son fiori moriranno. Il dolore di madre, nello spettacolo Se son fiori moriranno fra gli ultimi del drammaturgo e regista Rosario Palazzolo. Perché il senso di colpa lasci l’illusione e torni nell’esame di realtà. Con in scena una immensa Simona Malato. Il teatro non fugge la realtà, ne fa netti i contorni. Attraverso le trasfigurazioni d’arte.

La gente che va a teatro, non bada troppo alla formalità. Ignora il dress-code, si reca nella libertà di non sottoporsi a doveri di decoro, di apparenza. Di non dovere stringere necessariamente mani, di non dovere mostrare posizioni e pose, di non doversi definire per essere. Va per trovarsi. Per sentire l’altro. Per provare.
E riconoscersi o disconoscersi traducendo per l’anima liberata, nello spazio di un momento irripetibile e riaffiorante (poi), i moti umani e dell’agire. Provare il dolore, anche. Il dolore altrui e identificarsi – fragili – universalmente. In balia del destino incontrovertibile. Di eventi a cui tentiamo di dare controllo, e, accadendo contrariamente ai tentativi di direzionarli, risentire della colpa. Immobilizzante. Atroce. E fuggirne, con l’illusione. Ricrearsi il gioco di un’altra realtà, per evitare quella concreta.
Palazzolo, drammaturgo e regista cinquantenne, materializza la condizione di una madre di una figlia in coma irreversibile, producendo materia e voce dall’angoscia personale, e dai tentativi di fuga per non morire in vita. Un tunnel da cui si può uscire se arrivano mani tese dall’esterno. Voci, dall’esterno (Delia Calò nei panni di uno specialista della salute mentale). E qui, la rappresentazione teatrale diventa sociale, va fuori dalle tavole, quando suggerisce non solo accessi di fruizione alla scena tramite segno e gesto ma suggerisce strade alle coscienze, senza imporre. Il cenno scenico, che non mostra ma si fa guardare nella crudità dell’accadere, incoraggia, induce, suggestiona. Ed è fare ordine fra un gomitolo di emozioni, a seguito del fenomenale finale che mette armonia ad un andare fino a quel momento inciampato ogni tanto in silenzi pregnanti e altrettanto stressori, ad un ritmo dilagante nell’adagio, ad una attenzione rivolta verso un circolare di frequenza medesima, facente parte di un preciso disegno registico nell’aumentare il climax fino all’esplosione conclusiva. La costruzione registica dunque a servire le dinamiche drammaturgiche, e viceversa; all’oggettivazione fisica la soluzione plastica del rapporto.
Il tempo scorre immedesimandosi nell’alienazione della madre mutilata, senza più la figlia. Se ne rivive il momento, acuendo la drammaturgia nel fine sublime e crudele di scrostare la ferita. Guardare teatro è osservare la vita da vicino, attenuandone il potere con la finzione. Così la carnale Simona Malato, attende gli spettatori senza sipario né quinte, come fosse realmente accogliente in uno spazio vitale intimo, proprio. E il ricreare il sentimento, per figura, invade per osmosi la platea. Quando si è autentici artisti e artigiani. Poco importa fare caso alle sbavature, alle dichiarazioni più o meno mantenute, alla maniera (e Palazzolo ha maniera propria, originale, riconoscibilissima). Importa uscire dalla sala mutando volto all’anima. Di sorpresa. Non pronti a farlo. E non indotti.
Uno dei punti di forza di questo spettacolo si emancipa nello stupore di scene, soprattutto nel finale, inaspettate. Mentre per il resto dell’andare si tiene vivo il segreto, quel percepito e prodotto nascondendo più che svelando. Nel finale, a compiutezza di forma, si risolvono dubbi suggestionati dalle visioni (come la grossa spina elettrica scenografica, che ingloba lo spazio in un’angusta spirale…). E si straborda dai limiti, si arriva in bocca al pubblico, mai creando però motivo compagnesco e paraculo, introiettando piuttosto per pizzicare identità assopite. Il chiasmo, altre figura retorica, presa a cuore per costruire senso all’architettura drammatica e fisica/visiva, il dare presenza per assenza. L’illuminazione in led policromatica, e mescolata a chiarire o intensificare gli scuri, riproduce aiuto a diversificazione d’ascolto, nel confinato d’uno spazio che riduce il palco, che riduce l’angolo di espansione, che stringe, per soffocare dolcemente. L’azione si svolge in una stanza di bambina. Con pareti imbrattate, di tinte giocose e squarci. E le luci sulle pareti finte a giocare di pareidolia. Giocattoli, bambole, una vasca, qualche sgabello. E poi il gioco interrotto. E chi resta che non rimane. Sopravvive. Ed è come morire. O vivere per finta. Finché non si decide di staccare.
Forte. Commovente.

Lo spettacolo continua
Teatro Bellini

Via Conte di Ruvo 14, Napoli

Se son fiori moriranno
di Rosario Palazzolo
scene e costumi Mela Dell’Erba
musiche originali Gianluca Misiti
light designer Gabriele Gugliara
con Simona Malato e Chiara Peritore
e la voce di Delia Calò
aiuto regia Angelo Grasso
regia Rosario Palazzolo
produzione Teatro Biondo Palermo