Il sesso è una macchina

Cosa spinge tanti uomini a cercare sesso mercenario? E un certo numero di donne a offrirlo? Tra divertenti macchiette e tristi monologhi, Sex machine è la risposta teatrale di Giuliana Musso.

Di certo, il tragico non è la dimensione dei personaggi in Sex machine, anche perché a noi moderni non è più dato di esserlo, nel tragico. Forse è un segno del progresso. Mal di vivere? Angoscia? Perfino la felicità può essere sentita come un affanno, perché percepita come contingente. La nostra vita è di fatto una fuga, non dalle responsabilità, ma dal dover essere sempre alla loro altezza, poste a un livello impossibile da un dio che si nasconde dietro alla pletora degli oggetti consumabili. Tra questi c’è l’amore, e naturalmente il suo complemento più fiammeggiante e ovvio, ovverosia il sesso, compreso quello a pagamento.

Musso ha il pregio di non dipingere personaggi solo parodistici, tali da rassicurare l’italiano medio delle proprie meschinità, vera missione storica di parte della commedia cosiddetta “all’italiana”. Al contrario, lo spettacolo, rimanendo intrattenimento, riesce a non cullare in ipocrite vie di fuga, dosando alla perfezione evasione e negatività, cioè quella sensazione insistente di qualcosa che non va nella nostra vita, e da cui non si può sfuggire.

Musso di fatto tratteggia personaggi colti al livello della propria passione giustificatoria: dalla “bestia” che ha bisogno di sempre nuova carne (Vittorio), alla nostalgia del pensionato per le case chiuse (Dino), alla passione per la “Bernarda” da cogliere infilando “mille lire” nelle mutandine della lap dancer (Igor). Quello che possiamo fare è giustificare un’immaginaria e sfrenata pulsionalità sotto l’ombrello del ruolo sociale maschile, a cui il femminile certo partecipa portando del suo.

Anche le donne infatti sono colte nello stesso impasse. Silvana è una professionista del sesso che scarnifica la vita di ogni illusione, facendone rimanere niente. Per proteggersi dal dolore, spezza la propria anima in due; in una è corpo in azione, nell’altra è l’occhio che si guarda per commentarsi freddamente. Ridurre il sesso all’osso ha l’effetto di partecipare a un ben bizzarro e deludente “consorzio umano”, che pure si accetta di sostenere per un prezzo tutto sommato “onesto”. E se ci s’innamora? E se lui si innamora? Non si eviterà il fatto che “tu per lui sarai sempre una puttana”, sentenza consolante che congelerà Silvana al di fuori di quella umanità di cui pure ha necessità per vivere.

Altro personaggio, altra corsa: Monica, moglie e madre di un bimbo maschio, ripete la domanda ambigua di un certo femminile a un ente teologico superiore (chiamatelo come volete: Dio? Stato?), creduto capace di mantenere salda l’apparenza sociale. Che ci pensi lo “Stato” a spazzare via le strade da prostitute e clienti. Questa pulsione ordinatoria e punitiva va a braccetto con la fiera squalificazione non di sé stessa, ma della donna che ha in odio di essere, espressa attraverso il figlio, tacciato di “femminuccia” perché incapace di difendersi al parco giochi.

La verità palesata dallo show è che unione sferica non esiste, che il rapporto sessuale si fonda su un’impossibilità (Lacan docet), e che il taglio tra scena e fuori scena, è operato da noi stessi per dribblare proprio l’impossibilità. Sandro, imprenditore del nordest, sul punto di cedere al fallimento della propria vita, cerca in una “squillo” colei in grado di ricevere la propria confessione. È pagata non per far sesso, ma per ascoltare ciò che per chiunque altro sarebbe irricevibile, cioè la verità del maschio, sorpreso nudo senza più alcun massiccio ordine sociale o sovrano a sostenerlo. Sandro si accorge di portare il fallo come un accessorio che, nella caduta esistenziale, si scopre non servire più a niente.

Ecco che Giuliana Musso, riesce a toccare nel finale il punto “quasi” tragico dell’uomo e della donna nel loro (non) rapporto, grazie anche a qualità interpretative (soprattutto vocali) non comuni. È il punto destinale nel quale non è più possibile consegnare all’altro alcun alibi per il proprio “necessario” fallimento, sul quale si apre un bricolage creativo tra i sessi in cui – perché no? – anche il meretricio può avere la sua ironica giustificazione.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno del festival multidisciplinare Sempre più Fuori
Accademia Tedesca Villa Massimo
Largo di Villa Massimo 1 – 2, Roma
25 Luglio, ore 20:30

Sex machine
di e con Giuliana Musso
e con “Igi” Gianluigi Meggiorin
regia Massimo Somaglino
collaborazione al soggetto Carla Corso
suono e luci Claudio Poldo Parrino
produzione La Corte Ospitale con il sostegno di MiC e Regione Emilia-Romagna