Il maestro è andato via

Recensione Tebe al tempo della febbre gialla. Eugenio Barba rielabora la saga di Edipo e dei suoi figli fratricidi in quello che è l’atto finale della storia dell’Odin Teatret.

È un privilegio raro quello di poter assistere all’ultimo spettacolo di un artista o di una compagnia, sapendo di essere di fronte al loro atto ultimo. Fa ancora più effetto essere presenti all’ultima replica di un ultimo spettacolo. Eppure, nella serata conclusiva in cui si è consumata la messa in scena finale di Tebe al tempo della febbre gialla non c’era nulla di insolitamente elegiaco o di fuori-tono malinconico. Replicando l’originale assetto scenico, con la platea posta a entrambi i lati maggiori del palco, con cui aveva sorpreso gli spettatori del vascello già un paio d’anni fa in occasione della mise en scène de L’albero, l’Odin Teatret di Eugenio Barba ha interpretato e vissuto Tebe al tempo della febbre gialla anche domenica sera – solo, per un’ultima volta.

Come già anticipato da Eugenio Barba in numerose interviste nelle settimane scorse, il gruppo, che ha attraversato sessant’anni di storia del teatro, è giunto a un fisiologico scioglimento: ciascuno dei suoi membri proseguirà pacificamente storie autonome, lui trasferirà il suo archivio dalla Danimarca a Lecce, ritornando in quella Puglia da dove era fuggito alla ricerca di libertà creativa, ormai quasi sette decenni fa. E in questo spettacolo finale della compagnia, il pensiero di Barba e dei suoi collaboratori non ha potuto che rivolgersi agli archetipi di fondo della cultura occidentale, sovrapponendo un doppio registro: da un lato, il mito greco, con la saga della stirpe di Edipo, e, nello specifico, una rielaborazione-commistione-sovraincisione tra Antigone e, soprattutto, Sette contro Tebe; dall’altro lato, la storia dell’arte occidentale, soprattutto degli ultimi due secoli, dal momento che sul palco fanno via via la loro apparizione degli arazzi che riprendono vari quadri, spesso, ma non sempre, dominati dalla tonalità gialla del titolo – dai Girasoli di Van Gogh alle vedute mistico-liriche di Chagall, passando per l’immancabile Cristo giallo di Gauguin.

Con questo assetto archetipicheggiante e nel momento specifico in cui viene a collocarsi nella storia dell’Odin come compagnia stabile, Tebe al tempo della febbre gialla si confronta dunque con l’origine, con la progressione e con la “fine” di diversi filoni dell’arte occidentale. Onnipresente è il motivo della maschera, che riporta ancor prima dell’inizio del teatro istituzionalmente detto; l’azione scenica tende a sublimare la trama, appena accennata, per concentrarsi su gesti e ritornelli rituali quasi stereotipati, liturgie senza cerimonie, ma ancora dense di sacro, in quelli che l’antropologo Piergiorgio Giacché, studioso del lavoro di Eugenio Barba non meno che di quello di Carmelo Bene, definirebbe sparagmi; ma Tebe al tempo della febbre gialla è anche un’originale esperienza linguistica, con una commistione unica di diverse lingue, registri – anche il cantato – e veri e propri nonsense, che il linguaggio del teatro riconduce in un unico contesto scenico, coreografico e ancora, nonostante tutto, rituale.

picasso

Via via che la sua maturità artistica si affinava, esaurita o forse rielaborata l’esperienza del Cubismo, diverse figure archetipiche ricominciarono a fare capolino nelle tele di Pablo Picasso, con una particolare predilezione per i tori che, nella forma di un dondolo rituale, affiorano anche nello spettacolo di Barba. Assistendo all’ultima messa in scena di Tebe al tempo della febbre gialla, venivano in mente per associazione distante di idee proprio i quadri più archetipici del grande pittore spagnolo, quelli in cui, come Guernica, il mito parlava al presente e viceversa in un’irrefrenabile gioco di rispecchiamenti ed echi visivi. «È strano. Come posso io, morendo, parlare di immagini, o dell’immagine, o di un’immagine come rivelazione di verità? Che cosa sanno le immagini? Che cosa non sanno? Perché vengono a noi?», disse lo psicoanalista junghiano James Hillman alla storica dell’arte Silvia Ronchey nelle sue ultime settimane di vita, mentre assieme lavoravano a L’ultima immagine, un libro-dialogo postumo ed estremo. Con Tebe al tempo della febbre gialla Eugenio Barba ha degnamente celebrato la fine del suo sessantennale percorso con l’Odin Teatret, ma a giudicare dal numero di incontri, conferenze e masterclass che tuttora tiene in giro per l’Italia e per l’Europa non sembra intenzionato a ritirarsi del tutto; non è da escludere, forse, la realizzazione di possibili nuovi spettacoli, in un mutato assetto artistico e produttivo rispetto ai lunghi tempi dell’Odin. C’è da augurarselo: l’inesauribilità degli archetipi gioca certo a suo favore.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Vascello
via Giacinto Carini 78, Roma
dal 26 settembre al 2 ottobre
dal lunedì al venerdì ore 21, sabato ore 19, domenica ore 17

Odin Teatret presenta
Tebe al tempo della febbre gialla
testo e regia di Eugenio Barba
dramaturg Thomas Bredsdorff
con Kai Bredholt, Roberta Carreri, Donald Kitt, Iben Nagel Rasmussen e Julia Varley
costumi e oggetti scenici di Lena Bjerregård, Antonella Diana e Odin Teatret
disegno luci di Fausto Pro con la supervisione di Jensper Kongshaug