Coro senza eroe

In un affresco corale a tinte cupe, Romeo Castellucci propone una visione, prima ancora che una riflessione, sulla guerra, sul totalitarismo, sulla mascolinità.

Un basso continuo, un sapore dissonante, permea tutto Bros, l’ultimo spettacolo di Romeo Castellucci in scena al Teatro Argentina dopo il debutto alla Triennale di Milano. In una pressoché totale assenza di dialoghi o di battute, una massa indifferenziata di figuranti, più che attori, vestiti per lo più da poliziotti, inscenano molteplici coreografie: alcuni momenti dello spettacolo si rifanno all’iconografia sacra attorno alla Passione di Gesù, ma anche all’episodio di Noè ubriaco, altri paiono alludere a uno stato di polizia o a ricorrenti episodi dei totalitarismi del Novecento, certi frangenti sembrano rubati a un Kafka particolarmente crepuscolare, spesso tutto il branco si concentra a castigare una singola vittima, nuda, inerme e ricondotta, a bordo palco, a uno stadio quasi fetali. Di tutte queste situazioni e condizioni Bros però non è un’esposizione: è una rappresentazione, che incarna un tipo molto particolare – e quantomai auspicabile – di teatro delle idee. È difficile circoscrivere tematicamente la portata dello spettacolo. I totalitarismi, il potere, la violenza, una certa concezione sacrificale, la mascolinità: questi sono alcuni dei grandi temi che il lavoro di Castellucci senza dubbio “affonda”, ma, grazie al suo ancestrale silenzio, col pulsare senza meta delle sue coreografie, Bros resta uno spettacolo al suo centro cavo. Senso senza significato: l’autentico nucleo di Bros è urlato eppure sfuggente, la sua espressione non attiene al linguaggio, per una volta è immagine pura. Cosa rarissima a teatro, soprattutto nel teatro italiano: il concetto è in contumacia.

In quanto riflessione sul potere, Bros sfocia inevitabilmente a porsi anche come riflessione sul ruolo del regista – sulla portata potenzialmente dittatoriale di questa figura. Come i materiali di presentazione dello spettacolo insistentemente evidenziano, il cast di Bros è composto da interpreti «chiamati dalla strada» che accettano di essere completamente eterodiretti per tutta la durata dello spettacolo. «A pochi minuti dall’inizio dello spettacolo a ciascuno “attore” è consegnata una divisa da poliziotto e un dispositivo auricolare. All’apertura del sipario gli “attori” devono scrupolosamente eseguire gli ordini impartiti loro per via auricolare. I comandi sono ricevuti individualmente. Ciascun poliziotto apprende in tempo reale i comandi. Ciascuna azione è compiuta nel tempo determinato dall’ordine. La matrice dei comandi rimane fuori scena, invisibile agli spettatori», spiegano le note di presentazione. Tra i momenti più suggestivi è difficile non menzionare quello in cui una massa di poliziotti adora un manichino dalle movenze robotiche, imitandone i gesti davanti a un improvvisato altare. «Il nodo tra attore e spettatore si stringe sino a soffocare ogni distinzione. La recita coincide con la vita che accade realmente. La parte non è più da preparare, ma da verificare. Nessuna improvvisazione, ma il baratro di un presente assoluto», sintetizza Castellucci. Non per nulla, su Bros aleggia il fantasma di Beckett, un cui ritratto viene scopertamente portato in scena dagli stessi poliziotti a un certo punto dello spettacolo:

C’è un che di misterico dietro a Bros, a questo strano panottico. Non manca nemmeno l’epifania finale di una figura Angelica – nel complesso, tutto lo spettacolo di Castellucci scorre nel salmodiare di una liturgia abnorme, di un interminabile scavare che rende il palco stesso un abisso, una cavità che travalica il tempo – per quanto non sia difficile rinvenire elementi di forte attualità nella concezione tematica. Del teatro più antico, Bros non ha il dialogo, non ha l’eroe e non ha alcuna progressione narrativa, solo coreografica – ma ha un coro, abbandonato a sé stesso, e un drama, un fare-sulla-scena e un farsi-della-scena che in un certo senso scoperchia le strutture profonde del potere, le dinamiche malate del gregarismo, un gregarismo sempre alla ricerca di un capo, fosse pure di un fantoccio. Un coro muto è pur sempre un coro: che dell’antico teatrale recupera l’aspetto coreutico, coreografico, di danza. Lo stesso percorso di Castellucci, nel suo complesso, ha sempre teso a raggiungere una certa totalità delle arti, dei linguaggi, un’ampiezza della visione – ma la stessa cultura tedesca che per la prima volta nell’Ottocento romantico ha riscoperto un certo ideale greco di sinestesia si trovò, un secolo dopo, a produrre il nazismo. Per questa è grandiosa l’ambiguità che da Bros traspare attorno al ruolo del regista, questo sfuggente demiurgo che, non visto, non sentito dal pubblico, sussurra ordini ai suoi attori. Il concetto fugge, il regista, assente-presente, comanda, non ci sono personaggi, dialoghi, storie da sviluppare: ciò che resta, è tutto un annaspare, un gesto di potere ripetuto all’infinito. In questo minimalismo scenico, nulla di ciò che si vede sul palco è positivo; e il poco che si intravede è caricato di una negatività sovrana. E in queste tenebre, solo il teatro si può addentrare.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Argentina – Teatro di Roma
Largo Argentina
fino al 12 marzo
giovedì e venerdì ore 20.00, sabato ore 19.00, domenica ore 17.00
durata 90′

Bros
concezione e regia di Romeo Castellucci
musica di Scott Gibbons
con Valer Dellakeza, Luca Nava, Sergio Scarlatella, e con Giovanni Antonini, Filippo Braucci, Sandro Calabrese, Sergio Casini, Davide Cherstich, Nicola Ciaffoni, Marcello Di Giacomo, Stefano Donzelli, Gabriele Ferrara, Francesco Gentile, Damjan Gomisel, Pietro Lancello, Alessandro Mannini, Mauro Mercatali, Michele Petrosino, Lorenzo Picca, Danilo Rubcich, Nicolas Sacrez, Piergiorgio Maria Savarese, Fabio Sinnona, Carlo Suppressa, Andrea Vellotti, Vincenzo Vennarini, Luigi Vilotta e Filippo Fermini
direzione tecnica di Eugenio Resta
tecnico di palco Andrei Benchea
tecnico luci Andrea Sanson
tecnico del suono Claudio Tortorici
responsabile costumi Chiara Venturini
sculture di scena e automazioni Plastikart studio
realizzazione costumi Atélier Grazia Bagnaresi
co-produzione Societas, Kunsten Festival des Arts Brussels; Printemps des Comédiens Montpellier 2021 ; LAC Lugano Arte Cultura; Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène Européenne; Temporada Alta 2021; Manège-Maubeuge Scène nationale; Le Phénix Scène nationale Pôle européen de création Valenciennes; MC93 Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis; ERT Emilia Romagna Teatro; Ruhrfestspiele Recklinghausen; Holland Festival Amsterdam; Triennale Milano Teatro; National Taichung Theater, Taiwan