Teatro “muto”

Caligola_underdog/upset, in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo, è uno spaccato esemplare della deriva narcisistica di un teatro muto e involuto all’interno del proprio perimetro professionale.

La forma della violenza può manifestarsi al mondo in svariate forme e, nel XX secolo, particolare attenzione è stata riservata alla questione dell’assurdo e dell’insensatezza della vita del soggetto umano. Tratto dal celebre testo camusiano, il Caligola incarnato da Ian Gualdani con la direzione di Jonathan Bertolai, storico collaboratore del Teatro del Carretto, ricostruisce sotto forma di monologo a più voci le estreme conseguenze esistenziali di «un percorso distruttivo e autodistruttivo» dettato dal «desiderio impossibile […] di uscire dalla condizione umana, dalla miseria dell’esistenza umana».

Al giovane imperatore erede del controverso Tiberio, il terzo della dinastia giulio-claudia, personaggio grandioso e terribile, gli storici hanno dedicato molte attenzioni senza tuttavia riuscire a elaborare un giudizio condiviso a causa sia della scarsità di fonti antiche contemporanee, sia per la stigmatizzazione operata dalla storiografia “senatoria” ostile di Svetonio e Cassio Dione. Carnefice e autocrate, populista e filo-ellenico, di Caligola si ricordano soprattutto il tormento della malattia, la depravazione di un regime assolutistico e la trasformazione da abile condottiero e imperatore attento a soddisfare le esigenze popolari a lussurioso agente della “ferocia divina”. La sua è una figura di estremo fascino proprio per l’irresolubile doppiezza con cui rappresenta l’inquietudine stessa del vivere umano e dell’artista (come Nerone, anche Caligola venne negativamente accostato all’amore per il teatro) e su di essa Camus elaborò un’opera dalla lunghissima gestazione, circa 20 anni, da cui emerse l’atroce ritratto di colui che, in soli quattro anni, era riuscito a passare dall’essere il degno erede di Tiberio a despota sadico e folle.

Il potere porta alla devastazione di sé e, nell’ottica di Camus, Caligola costituiva l’idealtipo del nichilista, di colui che, colta l’assurdità della vita e smarrita ogni bussola valoriale e morale, era diventato cinico e delirante artefice della nullificazione dell’Altro. Per Camus, Caligola non accettava di riconoscere nella disperazione una possibilità di azione nel mondo nonostante il proprio immenso potere e fu per questo che travolse tanto la propria quanto l’altrui esistenza con angoscia e sofferenza.

Jonathan Bertolai affida a Ian Gualdani il compito di personificare il destino di chi è sconfitto e tenta invano di ricollocare i pezzi della propria vita se non al posto giusto, in un modo quantomeno significativo per non macerare tra rimpianti e rimorsi. La sua stanchezza esistenziale si riflette in movimenti compassati, pesanti e spezzati che si trasfigurano in una continua tentazione alla caduta da parte di chi non riesce a vedere alcun barlume di riscatto in fondo al tunnel della vita. L’allestimento si compone scenicamente su tonalità e sonorità oscure e si materializza angoscioso sul corpo scultoreo del performer, perfettamente levigato e pallido, come dissanguato e privo di aneliti vitali. La psiche del protagonista si frammenta su schermi che ne riproducono fantasmaticamente l’instabilità, mentre la (in)coscienza viene anticipata e “sdoppiata” da una voce fuori campo che Caligola si limita per lo più a ripetere. La sofferenza dell’attore si fonde con quella del personaggio, così come la rappresentazione si fa impeto di follia contro sé stesso: come il corpo che si contorce in pose aliene, la mente vaneggia un rapporto di dominio della luna e la brama di colei che, l’amata Drusilla, è ormai oltre la possibilità di qualsiasi desiderio e la cui morte ha trasformato «quel lutto nel lutto stesso dell’esistenza». Il palco diventa l’altare di un sacrificio al pubblico, ma l’offerta di una “redenzione impossibile” viene inscenata attraverso una liturgia attoriale profondamente enfatica e austera, intellettualistica e introspettiva al punto da risultare incapace di comunicare alcunché che non sia il disagio dell’artista che vive con smarrimento la perdita della propria aura estetica. Più che una preghiera, quella di Caligola sembra la maledizione che “cade”, dal punto di vista meta-teatrale, su chi, alla perdita dei canoni tradizionali dell’arte e della bellezza, non sa opporre una concezione positiva di liberazione dell’immaginario e quindi si rifugia in uno struggente e decadente autocompiacimento artistico. All’epidemia dell’immaginario pop e consumistico, Jonathan Bertolai contrappone un’ipotetica “età dell’innocenza perduta” che avrebbe portato Caligola – metafora dell’artista contemporaneo – a confinarsi «nel suo spazio mentale frammentato, sempre più rotto e logoro e distorto» e a ritrovarsi «riflesso infinitamente su se stesso e sui monitor, invaso dai suoni e dai suoi stessi pensieri». Quello in cui, in realtà, Caligola si sta muovendo è il binario parallelo del paradigma postmoderno a cui vorrebbe invece portare una spietata critica, vale a dire la “rincorsa” di un’aura che, ormai dissolta dall’opera, sta cercando di riprendere vigore attorno alla figura dell’artista, così spostando il proprio valore cultuale e feticistico dall’oggetto al soggetto d’arte.

Caligola, come l’artista contemporaneo orfano del proprio divismo, esibisce una prestazione che si autodefinisce pregiudizialmente “eroica” e “titanica” e che si disperde in un culto del passato che degrada “ciò che è attuale”: il risultato è la tentazione – evidente in prodotti pur raffinati come questo Caligola o il Vocazione di Danio Manfredini – in cui l’arte viene presentata non più nei termini di evento/oggetto/spettacolo, ma in quanto soggetto di idolatria e costruzione di singolarità “eccentrica”. Se l’intenzione era però quella di decostruire e teatralizzare la «miseria dell’esistenza umana», l’esito è piuttosto l’arenarsi nel personalismo di un artista che “proclama” la propria disconnessione dall’immaginario di massa come se fosse (non un, ma) il vanto dell’arte, cedendo così a categorie ormai arcaiche e incapaci di contrastare il perverso individualismo di questi tempi bui.

Teatro Biblioteca Quarticciolo
Via Ostuni 8, Roma

5 e 6 febbraio
Caligola_underdog/upset
regia e drammaturgia Jonathan Bertolai
con Ian Gualdani
suono Hubert Westkemper
luci Orlando Bolognesi
fonico Luca Contini
elementi scenici Rosanna Monti
scenotecnica Giacomo Pecchia
riprese video Diego Granzetti e Giovanni Adorni
produzione del Teatro Del Carretto
foto e grafica Manuela Giusto