Poesia vivente

Come Sylvia Plath, Marina Ivanovna Cvetaeva, Wislawa Szymborska. Patrizia Valduga non è tra le grandi poete del nostro secolo, ma tra le più grandi mai esistite. Incontrarla è trovarsi di fronte la poesia incarnata. Un’incognita. Una sfinge. Un’icona regale. Un tableau vivant, magari del fiammingo Jan van Eyck.

Ricorda nell’eleganza e nello stile un’altra diva, Marlene Dietrich, una versione meno cinematografica e tutta letteraria. «Tutto nel cuore e tutto il cuore in tutto» recita uno dei suoi versi più amati e più celebri, tratto da Quartine. Seconda Centuria (Einaudi, 2001), diventato l’essenza della sua poetica, tra amore e morte, eros e thanatos, che sempre si alimentano l’uno con l’altra, che, dalle origini, dal mito, si comprendono, senza mai escludersi, nell’esistenza come nella letteratura e nella vita, così nella sua poesia.

«Sarà così alla fine delle fini? Il cuore sparpagliato dappertutto? Senza più notti, senza più mattini?». Un lirismo che attanaglia l’anima, dove il dolore fattosi parola si stacca dal foglio e diventa carne, perdita, vissuto personale che non lascia spazio al sentimentalismo, ma si fa tormento, unico conforto il verso per sconfiggere la solitudine. Donna di dolori è la trasformazione della poesia di Patrizia Valduga in spettacolo teatrale. Un monologo già portato in scena da Franca Nuti, sotto la guida di Luca Ronconi, qui interpretato magnificamente dall’attrice Daniela Piperno che indossa come su misura la parola lirica di Valduga dosandola magistralmente con un’espressività artistica che inchioda il pubblico. Un lavoro che richiama l’estetica di D’Annunzio, teatrale, lirico, trionfale e decadente, nella conduzione del discorso che prende lo spettatore dentro allo scacco ineluttabile del grande tema romantico, tra amore e morte, in un crescendo che conduce all’estasi dell’ideale, la bellezza sublime. Un grande momento di teatro e di poesia, curato da Antonio Calbi, che ancora fa eco dentro l’anima.

A seguire nel Capannone dell’Autostazione di Castrovillari, esempio straordinario di rigenerazione urbana nella trasformazione di uno spazio a rischio di abbandono, va in scena l’Umanità nova della compagnia Carullo-Minasi, spettacolo in prima nazionale, finalista al Premio Dante Cappelletti 2023. Spazio ideale per raccontare l’episodio di sommossa popolare avvenuto nel 1970 a Reggio Calabria, in cui perse la vita il ferroviere Bruno Labate, dove la rivolta fu collegata alla strage di Gioia Tauro, in cui una bomba fece deragliare il Treno del Sole, Palermo-Torino, provocando sei morti e cinquantaquattro feriti. Gli anarchici della Baracca lottavano per farla finita con l’emigrazione, la disoccupazione e con la fame e il 26 settembre del 1970 si recarono a Roma presso la sede del settimanale anarchico Umanità nova, producendo materiale di denuncia poi mai ritrovato. Morirono sull’Autostrada del Sole in un misterioso incidente stradale. Ad ascoltare la storia di Angelo Casile, tra i cinque anarchici dei Moti di Reggio, in prima fila sono stati i bambini, capaci di ascolto e di silenzio mirabili, soprattutto in un lavoro ad alta vocazione educativa, dove la storia si fa resistenza, cronaca, narrazione, memoria, grazie anche all’ausilio di cartelli che spiegano parole che oggi tornano tristemente e pericolosamente di moda, come «un fascista». Impegnativa e impegnata l’interpretazione di Giuseppe Carullo, che protesta contro guerra, borghesia e pregiudizi con la leggerezza della regia di Cristiana Misasi, affrontando tematiche del fascismo, del razzismo, della violenza con gioco, ironia e canzone, ma soprattutto intelligenza e voglia di riscatto. Uno spettacolo necessario che ci restituisce l’immagine di una nuova umanità attraverso un messaggio di lotta e libertà che mancano sempre più.

Gli spettacoli sono andati in scena:
Sala 8/Protoconvento francescano
mercoledì 31 maggio
ore 18.30
Donna di dolori
di Patrizia Valduga
con Daniela Piperno e Patrizia Valduga
a cura di Antonio Calbi

ore 20.30
Capannone Autostazione
Umanità nova. Cronaca di una mancata rivoluzione
con Giuseppe Carullo
regia Cristiana Misasi
drammaturgia Fabio Pisano
disegno luci Renzo Di Chio
costumi Liliana Pispisa
elementi di scena Cinzia Muscolino
grafica Manuela Caruso
consulenza musicale Alessandro Calzavara
produzione Carullo-Minasi e Sciara Progetti Teatro
collaborazione Fabio Cuzzola, Giovanna La Maestra, Massimo Ortalli