Paesaggio lunare firmato Pinter/Marconcini

Al Francesco di Bartolo di Buti, prova generale per lo spettacolo che debutterà il prossimo ottobre.

In questo periodo di assenza se non di tutto certamente di quella sostanza impalpabile eppure tangibile della quale si nutre il nostro intelletto, è con grande piacere che può capitare di essere invitati ad assistere alla prova generale di uno spettacolo dal vivo, naturalmente a porte chiuse – per soli operatori e critici.

Una sensazione di irrealtà ci assale varcando il portone del teatro, di cui un solo battente è aperto su un foyer vuoto. “Aspettavamo solo voi” è la frase, altrettanto irreale, che ci accoglie. Commuove vedere gli attori privati della presenza degli spettatori, i compartecipi al banchetto per la mente che è il rito laico del teatro. Un’assurdità, la decisione di questo – come del precedente – governo di non permettere che si assista, in sicurezza, agli spettacoli dopo che, durante l’estate, gli stessi si sono tenuti senza particolari problemi o provocare un aumento dei contagi, in Festival e su palchi all’aperto. Una limitazione alla nostra libertà insopportabile (dopo ben due Stagioni teatrali cancellate) e, soprattutto, priva di senso nel momento in cui il mondo teatrale ha investito sulla sicurezza assoggettandosi a tutti i diktat imposti dal Governo Conte bis per assicurarsi la riapertura a metà giugno (quando, ovviamente, i teatri sono già chiusi – ma forse il Ministro Franceschini non li frequenta abbastanza per saperlo).

Ma ritorniamo al Francesco di Bartolo di Buti. Spente le luci, il buio wagneriano – al quale ci eravamo disabituati – ci avvolge per consentirci di immergerci, lentamente, nella profondità prospettica di una stanza – che vagamente ci sembra di riconoscere – con tutti i suoi arredi: immagini e oggetti accumulati in passate esperienze e durante viaggi che hanno ritmato una vita. Anzi, due vite – che raramente si incontrano e che percepiamo delinearsi nei monologhi che ci proiettano in mondi forse paralleli, certamente distanti.

La realtà è fatta di gesti quotidiani: ad esempio, una passeggiata in compagnia di un cane, quell’animale così tanto abusato, in questi tempi oscuri, da padroni in carca di escamotage per uscire di casa. E così ci si ritrova immersi nella natura, intenti a osservare i piccoli cambiamenti nella routine quotidiana. Una vita che richiederebbe attenzione, cura, eppure suona vana. In un’altra dimensione, tutta rivolta al passato, la donna rievoca un mondo di amori, non si sa quanto lontani e reali, sottolineati dal rumore del mare, irrorati dal luccichio di spiagge dorate – forse inconsapevolmente immersi nel Doppio sogno di Arthur Schnitzler.

La narrazione, che non si fa mai dialogo, come evasione da non si sa cosa – forse dalla routine domestica, o da questa monotonia che ci spacciano per sicurezza e che ci ruba dei nostri giorni, che ci ha già privati di un intero anno della nostra vita. Nello stesso luogo ma in due mondi paralleli – ricreati dalla forza della parola nella nostra immaginazione – con le loro troppe frustrazioni, i rari momenti d’amore – tenero o violento – i tanti vuoti e i pochi pieni di esistenze chiaroscurali nel lungo viaggio verso la notte.

Ma d’un tratto il paesaggio muta allargandosi su una piana solcata da un’esile figura che è venuta per accompagnarci su una strada senza ritorno. L’uomo, come l’attore, come Antonius Block, aspira alla conoscenza e pare voler rimandare quell’ultimo tratto in un secondo momento, quando il teatro sarà gremito, quando gli spettatori saranno chiamati a compartecipare nuovamente il rito – perché l’attore, come Calvero, come Molière, come ognuno di noi, pretende di lasciare la scena con l’applauso della folla, sotto i riflettori ancora accesi.

A ottobre speriamo di tornare in teatro per assistere al debutto ufficiale di Paesaggio. Nel frattempo ringraziamo uomini e donne che continuano a lavorare in teatro con la perseveranza di chi sente il proprio mestiere come una necessità. La cultura è e sarà sempre più necessaria per ritornare a vivere, per non essere atterriti dalle cifre dei morti che quotidianamente impazzano sui mass media – perché la morte è comunque parte della vita e sicuramente il genere umano non si estinguerà per un virus influenzale. Come scrisse Aldous Huxley: “Non c’è più la morte rapida della malaria; ma la fame la rende insopportabile, il sovraffollamento diviene la regola, la morte lenta per inedia minaccia tante vite di più”.

La prova generale ha avuto luogo:
Teatro Francesco di Bartolo

via Fratelli Disperati, 10 – Buti (PI)
domenica 21 febbraio 2021, ore 17.00

Landscape/Paesaggio (con farsa finale)

da Harold Pinter
regia Dario Marconcini
con Giovanna Daddi e Dario Marconcini

Foto di David Mark da Pixabay