L’essenziale straripante

Recensione Moby Dick alla prova. La compagnia di Elio De Capitani porta in scena un romanzo anziché un testo teatrale, il Moby Dick di Melville: buona la prova d’attore e notevole la messa in scena.

«Rimediate con i vostri pensieri le nostre imperfezioni». È con i buoni auspici di queste parole dell’incipit dell’Enrico V di Shakespeare che si apre il Moby Dick alla prova di Elio De Capitani. Si ispira, come denuncia già la locandina, alla storica messa in scena teatrale, datata 1955, del romanzo di Melville da parte di Orson Welles, la cui drammaturgia è stata portata in Italia qualche anno fa da ItaloSvevo Editore. Il primo quarto d’ora dello spettacolo si gioca come un’interrogazione metateatrale, con la compagnia che mette in scena sé stessa, sul paradosso di mettere in scena un romanzo marinaro ottocentesco anziché un classico del teatro – «quindi niente Lear». Ma una volta che la compagnia collegialmente supera l’esitazione e l’angoscia di come mettere in scena «una tempesta, un naufragio e un gran capodoglio bianco in questo teatro», la trama dell’originale Moby Dick di Melville scorre fedele e veloce, in una resa che tende all’astrazione, quanto a situazioni sceniche e agli oggetti di scena, ma che sa risultare comunque evocativa e densa – fedele tanto allo spirito quanto alla lettera del romanzo, pur affondato di molti passaggi sia teorici sia narrativi.

Una delle idee più efficaci dello spettacolo, soprattutto della prima parte, quando il Pequod ancora si deve allontanare dal porto di Nantucket, sta nella scelta di evocare Moby Dick, la Balena Bianca, come se fosse il Grande Fuori Scena, attraverso la trasmissione in playback di canti che gli attori stessi dicono appartenere a reale capodogli. Nella seconda parte, mentre il Pequod si avvicina al suo naufragio, l’impasse drammaturgico di come rendere scenicamente una balena bianca viene prima risolto con un’occasionale apparizione di una proiezione in bianco e nero di reali capodogli, poi con l’utilizzo creativo di un grande telone bianco che fa da sfondo per tutto lo spettacolo. Non è solo una questione di fare di necessità virtù o di superare l’inevitabile scacco che si trova nel rendere a teatro un epos romanzesco: l’essenzialità della scenografia è infatti contrappuntata dalla grandiosità dell’evocazione, un omaggio e un atto di fedeltà all’originale visione che Orson Welles aveva del suo adattamento di cui, a teatro, era stato anche regista, prima di essere invitato, ma in un cameo, a prendere parte al Moby Dick cinematografico di John Huston.

Infatti, come ricorda De Capitani stesso nelle sue note di regia, nell’originale messa in scena di questo Moby Dick alla prova, allestita al Duke of York’s Theatre di Londra nel giugno del ’55, Orson Welles «preferì non dare al pubblico né mare, né balene né navi. Sulla scena nuda mise solo un’affiatata compagnia di attori, della quale faceva parte ricoprendo quattro ruoli diversi, Achab compreso, e affidando alle loro voci il testo». Già nel testo di Welles peraltro era presente quel gioco “un po’ meta” di riferimenti, per cui al capitano Achab di Melville si sovrapponeva in filigrana il re Lear dell’omonimo dramma di Shakespeare, con l’importante differenza che «la vita, atroce maestra, infine redimerà» l’ostinazione di Lear, mentre la brama di vendetta di Achab resterà «irredimibile, fino all’ultimo istante». In questa resa nostrana del testo di Welles/Melville, il capitano Achab è ovviamente interpretato da Elio De Capitani: senza togliere la scena agli altri più giovani attori che lo affiancano nella compagnia, sono sicuramente suoi i momenti di maggiore intensità drammatica dello spettacolo, in particolare quel monologo, ripreso anche da Vinicio Capossela in Marinai, profeti e balene, in cui per la prima e ultima volta il collerico Achab si mostra dubbioso sulla sua caccia feroce, commosso da un panorama placido e dai ricordi della sua giovinezza.

Adattamenti di Melville a teatro non se ne vedono tutti i giorni e hanno l’innegabile pregio di annullare in partenza quella “fama di quotidiano” che rappresenta l’inspiegabile cifra di gran parte del teatro italiano contemporaneo. C’è da dire che un’impresa analoga l’aveva tentata nel 2019 il Teatro di Venti, con un allestimento del Moby Dick in forma di spettacolo da strada che aveva rappresentato uno degli ultimi grandi eventi del teatro italiano prima del Covid; ma, anche se non un unicum totale, e al netto della sua overture metateatrale che ultimamente sembra essere quasi un passaggio obbligato per tutti gli spettacoli dai cinque personaggi in su, questo Moby Dick alla prova di Welles e De Capitani rende al meglio la grandiosità visiva del testo originale di Melville. Il fatto che tanto le parole stampate di Melville quanto le battute e i gesti scenici previste dal copione di Welles non possano mostrare un Leviatano è solo un falso problema: Moby Dick va evocata, non vista. È proprio su questo punto che, John Huston in testa, gran parte delle riduzioni cinematografiche del romanzo di Melville hanno fallito; è proprio questo paradosso che De Capitani e i suoi attori dichiarano esplicitamente di aver compreso e, nel rispondervi a tono, mostrano anche di aver assorbito il più grande insegnamento di quel che fu il teatro greco. Togliere di scena l’essenziale – per farlo straripare.

Lo spettacolo continua
Teatro Carignano – Teatro Stabile di Torino
fino al 20 febbraio
ore 19:30/20:45

Moby Dick alla prova
testo di Orson Welles da Hermann Melville
traduzione Cristina Viti
regia Elio De Capitani
con Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa, Mario Arcari
costumi di Ferdinando Bruni
disegno luci di Michele Ceglia
sound design Gianfranco Turco
produzione Teatro Dell’Elfo; Teatro Stabile Di Torino – Teatro Nazionale