Protagonista oscena e irriverente da salvare

i miti, si sa, sono vivi perché attuali. Perché nella loro grandezza è possibile scorgere tutte le interpretazioni possibili, purché si salvi l’anima del mito, la sua essenza, anche se ne viene decapitata l’aura. E quando ci troviamo poi davanti ai miti più amati come quello di Penelope – eroina che emerge su tanti personaggi dell’Odissea di Omero, emblema non solo della fedeltà, ma di una storia da riscrivere dalla parte delle donne, in cui siano loro e nessun poeta, neanche se si chiama Omero, a determinare i loro umori, sentimenti, stati d’animo – ecco che quei miti ci suggeriscono una lettura diversa della società contemporanea. Una rilettura, sì a partire dal racconto classico, ma in cui la donna non sarà mera appendice o votata sempre al sacrificio, ma almeno rispettata, compresa, se non proprio amata, così com’è.

È quello che succede alla Penelope di Badiluzzi, che firma la regia e la drammaturgia dell’irriverente monologo che dà il nome alla sua protagonista e personaggio, Penelope. Bella, sì, Carruba Toscano. Perfino distesa su un divano vintage di pelle, i lunghi capelli e i costumi moderni ma classicheggianti: è lei, così, a definire una nuova femminilità, che sfugge agli stereotipi e che la definisce, anche quando si mostra oscena, goffa, ma sempre intelligente, sarcastica, realistica. Sì, forse troppo, ma del resto, contemporanea, dentro a un festival che si dedica ai nuovi linguaggi della scena, quindi da salvare.

Nella cena al ristorante vista mare, Penelope si redime dall’immagine della regina consumata dalla lunga attesa dello sposo partito per la guerra e si lascia andare a un colorito incontro tra due estranei, consumato tra imbarazzanti verità, stretti da una fame che è soprattutto sessuale, nei rimandi espliciti ai desideri e alle voglie della carne, proiettati anche sul cameriere tra una battuta – e un imbarazzo – e l’altra. Ulisse non è più eroe, allora, ma uomo facilmente sostituibile, e anche nell’immediato. Un rovesciamento interessante questo, anche se a tratti forzato, come nella scena in cui Penelope simula un orgasmo legata all’albero maestro di un’immaginaria nave, dove finalmente consumare al talamo il sesso con – adesso sì – l’eroe tornato vittorioso dalla guerra. Perché Penelope/Badiluzzi/Toscano è anche Ulisse, anche se al femminile, densa di forza e di vigore che nulla hanno a che fare con l’incanto dell’originale omerico, ma contiene tutte le caratteristiche anche di altri personaggi dell’Odissea. È così che altri personaggi di Omero risalgono dall’inconscio di Penelope bambina, il mito si carica di potenza quando la regia di Badiluzzi profondamente intuitiva lo trasferisce – come Freud – alla caverna dell’inconscio dove abita l’orrore, il sonno della ragione che genera i mostri della nostra infanzia. Tragica e raffinatamente grottesca è l’evocazione del padre Polifemo che divora al barbecue le bimbe compagne di Penelope, performance gustosissima al rallenty, in cui Toscano dà davvero prova della sua bravura con grida, espressività, terrore, deformazione del suono in uno spettro della cronaca che riempie di sangue il femminile contemporaneo all’interno della casa dove continua a consumarsi la tragedia, dai Greci fino a noi. Il piano di Ulisse nascosto sotto la pancia del gregge coi compagni per fuggire all’ira del ciclope e poi accecarlo, nell’episodio popolare in cui risponde di essere Nessuno alla domanda incalzante del mostro ferito a morte, qui diventa un gioco nelle ragazzine che devono salvarsi dalla furia del padre orco, ficcandogli una sigaretta in un occhio.

Innocenza che grida vendetta nel gioco delle dita che girano a chiedere di indovinare il colpevole come di una marachella. Penelope diventa Circe, anzi quasi più le rassomiglia, in pose e atteggiamenti, a volte anche poco teatrali, ma che sul palco del Vittoria destinato alla Primavera dei Teatri, diventano parti di un autonomo linguaggio e creano un nuovo genere del mito. Un mito in cui la maga vendicatrice della spietata carneficina è una matrigna che rivendica le sofferenze della protagonista, dall’infanzia e adolescenza, fino alla moglie sola e abbandonata, vessata dai pretendenti Proci in una danza che trasforma una lingua d’agnello in mille lingue.

Poi, peccato, l’impianto drammaturgico improvvisamente crolla e ci ritroviamo dentro a una tifoseria da stadio, interessante intuizione di rivisitazione della guerra di Troia, nei compagni di guerra trasformati in compagni di squadra, ma degenerativa nell’immagine della ragazzina, non più Penelope, con le bottigliette di alcool nei vestiti che canta sulle spalle degli amici «Un giorno all’improvviso mi innamorai di te». La guerra tra Proci diventa uno scontro allo stadio, dove non c’è spazio per la virilità, la prepotenza, nemmeno la violenza, ma tutto si riduce all’incoscienza di una sbronza, a un’allucinazione, fine a se stessa, senza la potenza di alcuna evocazione mitica com’era successo nella metamorfosi del padre-Polifemo in orco, dove almeno c’era una traccia del mito, pur nella sua alterazione e decostruzione. Eppure, le si perdona tutto a questa Penelope, quando nell’intimità del corridoio di una casa che puzza di bruciato, (l’amore sì, è fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta, scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa) vediamo una donna qualsiasi, abbandonata e vinta, lontana dalla maschera dell’irriverenza, colta nell’ossessione della perdita che diventa tatto di tutto ciò che è stato toccato e vissuto dall’amato. L’immagine più vera la ritroviamo nel gesto della mancanza e dell’attesa, un gesto che diventa eterno e che oltrepassa le invisibili pareti di questa casa, casa che è tutta un vento, nell’aria che gira da meravigliosi ventilatori bronzei che hanno la luce aurea dei girasoli, in mezzo al campo, nel tempo infinito che viene e ritorna dal mare.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Primavera dei Teatri
Teatro Vittoria
Via Roma, 12, Castrovillari
Giovedì 1 giugno ore 19.00

Penelope
regia e drammaturgia Martina Badiluzzi
con Federica Carruba Toscano
progetto sonoro dal vivo Samuele Cestola
disegno luci e scene Fabrizio Cicero
costumi Rossana Gea Cavallo
dramaturg Giorgia Buttarazzi
aiuto regia Arianna Pozzoli
assistente costumi Marta Solari
artwork Serena Schinaia
fotografie Guido Mencari
curatore del progetto Corrado Russo
produttore e organizzatore generale Pietro Monteverdi