Lo stupore del teatro

Recensione Pupo di zucchero. Torna a Napoli Emma Dante, dopo La bohème al San Carlo (una primissima per la regista al Massimo Teatro Napoletano) e torna a dar vita ai morti. Sul palco. Dove la morte ci si illude di allontanarla.

Far parlare i morti, nei ricordi di un vecchio ‘nzenziglio e spetacchiato, solo, rimasto solo, a specchiarci in un futuro possibile, al quale potere porre rimedio, dal quale fuggire, o con cui accomiatarsi in tempo, per non rischiare cancerogene solitudini – che poi la ricerca di un significato a ogni costo, costringe l’attenzione in scomode zone intellettualistiche. Meglio lasciare a ciascuno un rapporto singolare con il veduto, in un comune oggettivo “moto a luogo”, un comune senso di percezione, un comune sentire.

È la relazione tra chi guarda e chi recita a contare sull’esito di una messinscena. Che sia di rapimento o di ostilità purché lasci nello spettatore qualcosa per cui non sentirsi passivi. O consumatori. E a ricreare una relazione ad ampio ventaglio Emma Dante è tra le migliori d’Europa. Lo testimonia quanto è ricercata sulle tavole internazionali, al di là di gusti o innamoramenti. A ricreare chi guarda è altrettanto maestra, se non altro per una sapienza scenica non assoggettata all’accontentare palati, al compiacere critici o trastullatori di folle, una sapienza scenica che fa fede ostinatamente alla propria cifra, alla propria arte, al modus originale e non dovuto. Si può obiettare magari un certo sofismo nell’esercizio, nell’esecuzione, nell’insinuare il dubbio di volere mostrare il teatro come si dovrebbe fare, mettendo in ombra profondità, catarsi, soddisfacimento narrativo, pathos. Poco male. La resa dello spettacolo sazia anima, occhio, il critico e il novizio. E la non unanimità di pensiero, non tenendo conto del puro l’entusiasmo (tra le reazioni più diffuse fra gli spettatori) è segno di favorevole riuscita.

Ma siamo tramiti e non giudici, noi scrittori delle scene. Unione tra pubblico e palco e non influencer. Depositari dell’arte di dire dell’arte. Qualcuno se ne scorda. E diventa di moda…

Pupo di zucchero si potrebbe annoverare tra gli spettacoli che faranno modello. Tra le generazioni a venire, che già a Dante s’ispirano, tra gli addetti ai lavori per “spiegare” cosa è il teatro, tra chi lo ha visto e ne racconta con stupore. Lo stupore… già. Perché la meraviglia, conta. Indicarsi in scena rivedendosi con meraviglia. Sorprendersi di un impasto, una scena disvelata, uno sgabello a puntellare il nero del buio e dello spazio (le quinte invisibili per entrate e uscite come attraversamenti magici) e la scena mutata in danza macabra finale. Le intestina, i costumi, il terrore di un Sud a farsi specchio e puntiglio, riflessione e sgomento, evocativo, metafora di lasciti temporali e mutevolezze solo apparenti: tutto ci dice che non siamo cambiati, che l’uomo rimane tale. Nei racconti di Basile e nelle trasformazioni digitali.

Dodici attori in scena. Alternativamente. In coro. Danzanti, cantanti, muti, meccanici, mossi da fili immaginati, suonatori. La delicatezza di Maringola a cucirsi addosso un personaggio meticcio di rappresentanza collettiva, sofferente al pari dei suoi simili, umile, piccolo, umano. Come gli umani. A ricreare un rituale. La commemorazione. Un rituale di ri-possessione. Possedere un passato, ritornare all’appartenenza, far rivivere. Come il teatro è un rito di possessione per espiazioni comunitarie. Di rappresentanti demiurghi di sentimenti universali.

Non c’è nessuna parete. E il celato, trucco di scena, dipinge atmosfere di persuasione.

Precisa la prova attorale, pur slabbrandosi dal rigore tecnico e restituendoci autenticità personale.

Eccellenti le luci di Cristian Zucaro, altra carne fra corpi. Un’altra drammaturgia.

E ancora il contemporaneo frammentarsi e mutarsi di scene in legacci di cambio/registro impercettibile, così che non sia netta l’interruzione e sembri un continuo divenire, un ininterrotto suannu (il termine in dialetto napoletano, ma anche calabrese e salentino, sintetizza la bi-frontalità di sonno/sogno, sia il dormire che il sognare nell’accezione di evocare qualcosa di irreale).

E come nel sonno, liberati dalle convenzioni, viviamo vite altre, così, a teatro, immaginiamo di essere altri. O altrove. Se ciò che vediamo lo consente.

Magico.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Mercadante
P.za Municipio, 80133 Napoli
dal 10 maggio 2022 al 15 maggio 2022

Pupo di zucchero
(La festa dei morti)
liberamente eramente ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Sandro Maria Campagna, Martina Caracappa, Federica Greco, Giuseppe Lino, Carmine Maringola, Valter Sarzi Sartori, Maria Sgro, Stephanie Taillandier, Nancy Trabona
costumi Emma Dante
sculture Cesare Inzerillo
luci Cristian Zucaro
foto di scena Ivan Nocera
produzione Sud Costa Occidentale, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale,
Scène National Châteauvallon-Liberté, ExtraPôle Provence-Alpes-Côte d’Azur, Teatro Biondo di Palermo, La Criée Théâtre National de Marseille, Festival d’Avignon, Anthéa Antipolis Théâtre d’Antibes, Carnezzeria
e con il sostegno dei Fondi di integrazione per i giovani artisti teatrali
della DRAC PACA e della Regione Sud
durata 55 minuti (atto unico)