Il 2 novembre è festa

Recensione Pupo di Zucchero. Emma Dante continua il suo percorso teatrale con Pupo di Zucchero, fantasmagoria culinaria e vitalistica che riscopre una vecchia tradizione siciliana.

Mundus patet. Con questa espressione i latini indicavano le notti in cui, tre volte l’anno, si credeva aperto il passaggio tra mondo dei vivi e il mondo dei morti. Il mundus Cereris, un fosso sacro collocato nel tempio di Cerere sull’Aventino, veniva aperto e un carnevale di spettri, secondo la credenza, si dileguava per tutta Roma.
Una versione di gran lunga attenuata di questa credenza e di questo antico rito la si trova nell’usanza siciliana dei pupi di zucchero, dolci-potlatch offerti in dono – e, per una volta, non in espiazione – alle anime del Purgatorio. Da questa tradizione prende spunto lo spettacolo di Emma Dante, intitolato non per nulla Pupo di Zucchero, e interpretato da un ampio cast il cui frontman è senza dubbio Carmine Maringola, nei panni dell’anziano, ultimo superstite di una famiglia siciliana un tempo ricca e piena di scherzi, di giochi, di diverbi e di aneddoti. Lungo gran parte dello spettacolo il personaggio di Maringola è intento a preparare un Pupo di Zucchero per i “suoi” morti. Per sconfiggere la solitudine, invita a cena, nella loro casa che un tempo fu anche loro, i defunti. Spontaneamente, si affacciano alla sua memoria i più variegati ricordi della sua infanzia e adolescenza e, prima con i “fantasmi” – ma è un termine improprio – delle sue tre sorelle, poi, a poco a poco, con tutti gli altri componenti della sua famiglia, questi ricordi prendono momentaneamente vita sul palco, tutt’intorno a lui.
Vedendo lo spettacolo di Emma Dante ritornano alla mente le riflessioni di Ernesto de Martino su Morte e il pianto rituale: l’arte del lutto è un sapere che la contemporaneità ha disimparato e da un punto di vista antropologico il Covid ha dato un’ulteriore accelerazione in questa direzione, verso una “de-funeralizzazione” che rappresenta uno dei tratti più problematici della cosiddetta laicità.

Se drammaturgicamente la pièce non è affatto dissimile dagli ultimi lavori della Dante – Misericordia o, andando poco più lontano nel tempo, Le Sorelle Macaluso, dal quale nel 2020 ha tratto il suo secondo film – e presenta un’analoga struttura sia a livello di impianto scenico sia dal punto di vista dello sviluppo narrativo, Pupo di Zucchero ritrova soprattutto nella sua seconda parte quella capacità simbolico-visiva che, in un altro contesto sia scenico che produttivo, aveva reso grandiosa la sua rilettura dell’Eracle euripideo per l’INDA. Il dialetto siciliano è sempre piacevole, phoné-ticamente, da ascoltare, è senza dubbio uno degli idiomi più “teatrali” del sotto-ceppo linguistico italiano, ma i momenti migliori di Pupo di Zucchero sono senza dubbio quelli senza parole, dominati dalle musiche, dagli oggetti di scena, pochi ma azzeccatissimi, e dalle coreografie dei personaggi. Maringola tratteggia a tutto tondo il suo personaggio, in un’ottima prova d’attore che nella gestualità impellente ha i suoi maggiori punti di forza. Notevole il finale, degno di uno Strindberg “corretto” da infinita tenerezza.

Elias Canetti nel suo incompiuto Libro contro la morte sanciva che, per sconfiggere autenticamente la morte, gli amici del defunto dovrebbero ritrovarsi in giorni prestabiliti per parlare esclusivamente di lui, evitando l’antica ipocrisia del dire solo bene dei morti, anzi, «sarebbe meglio se litigassero, se prendessero partito pro o contro di lui», con l’ostilità che si deve a un vivo, perché se si vuole che il morto, «nella sua impalpabilità», continui a vivere, «bisogna consentirgli di muoversi»; in ultimo, «nel corso di tali celebrazioni si potrebbe altresì consentire una graduale partecipazione dei più giovani, affinché anche a essi fosse dato esperire, nella misura loro possibile, quell’uomo ancora sconosciuto». In Pupo di Zucchero analogamente i morti tornano in tutta la loro concretezza, la fantasmagoria che lo spettacolo inscena con un’intensità visiva crescente è un vero e proprio interno di famiglia che raccoglie tutta la semplicità, la giocosità e anche la prosaicità del vivere quotidiano; ma è proprio grazie a questa autenticità che uno spettacolo sulla morte, sulla notte dei morti, si rivela catalizzatore di uno sfrenato vitalismo. Ed è proprio grazie a quest’autenticità che, ancora una volta, un che di salvifico si solleva sulla scena di Emma Dante, prima ancora che cali il sipario.

Lo spettacolo continua
Teatro Argentina – Teatri di Roma
Largo Argentina 52, Roma
fino al 30 ottobre
martedì, giovedì e venerdì ore 20.00, mercoledì e sabato ore 19.00, domenica e giovedi 27 ottobre ore 17.00

Pupo di Zucchero
testo e regia di Emma Dante
liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile
con Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Sandro Maria Campagna, Martina Caracappa, Federica Greco, Giuseppe Lino, Carmine Maringola, Valter Sarzi Sartori, Maria Sgro, Stephanie Taillandier, Nancy Trabona
costumi Emma Dante
sculture Cesare Inzerillo
luci Cristian Zucaro
produzione Sud Costa Occidentale in coproduzione con Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Scène National Châteauvallon-Liberté / ExtraPôle Provence-Alpes-Côte d’Azur / Teatro Biondo di Palermo / La Criée Théâtre National de Marseille / Festival d’Avignon / Anthéa Antipolis Théâtre d’Antibes / Carnezzeria e con il sostegno dei Fondi di integrazione per i giovani artisti teatrali della DRAC PACA e della Regione Sud