Gli uccelli. Attraverso gli occhi spietati della natura distruttrice

All’interno di If. Invasioni (dal) futuro_New Era*2022, Lacasadiargilla propone un percorso performativo ed espressivo intorno ai concetti di futuro distopico e antropocene, riflettendo sul superamento di quest’ultimo a partire dal racconto che ispirò Sir Alfred Hitchcock.

Il futuro oggi pare aver perso qualsiasi impulso utopico: non più promessa, bensì minaccia, non più progettazione del nuovo bensì catastrofe. D’altronde il futuro non è mai esistito, ed è sempre stata la proiezione narrativa e immaginifica intrisa del presente, delle sue dinamiche spirituali, autentico catalizzatore delle tensioni e delle inquietudini che ci troviamo a vivere ogni giorno. Come la cultura di massa e l’immaginario collettivo ci dimostrano a più riprese da parecchi anni, oggi futuro e distopia fanno tutt’uno: come accaduto in altre fasi della cultura moderna, le responsabilità umane sulla distruzione del pianeta e della propria stessa specie non possono essere più respinte.

D’altronde, non c’è nulla di più antropocentrico che assumersi persino il privilegio demoniaco di farsi responsabile della distruzione del pianeta: visione spesso ipocrita che, invertendo l’ordine degli elementi, ristabilisce la priorità gloriosa dell’essere umano sul destino e sull’ordine dell’universo. L’essere umano, l’uomo, insomma, resta quell’animale che si dà spesso fin troppa importanza. Chi professa la fine dell’antropocene a partire dall’inevitabile argomentazione razionale, commette un cortocircuito concettuale evidente, ma per l’arte il discorso è diverso, perché l’arte abita le aporie, adotta i paradossi e le polarità dialettiche irrisolvibili. In questa calda, caldissima, distopica estate romana, proprio attorno a questi perni tematici Lacasadiargilla e il Teatro India hanno deciso di costruire un percorso di una settimana che attraversa letteratura, filosofia, arti multimediali e soprattutto teatro. Si tratta di If. Invasioni (dal) futuro_New Era, dove il “Se” non è quello del titolo del celebre film di Linsday Anderson del 1968 che ispirò un’intera generazione di studenti pronti a ribellarsi per riappropriarsi del proprio futuro. Niente di tutto questo: all’impulso rivoluzionario e utopico del 1968 è sopraggiunta una visione tetra, l’If ha invertito il segno e si propone come incubo, come disperazione, come fine del conto alla rovescia. Come racconta la Trilogia dell’area X di Jeff VanderMeer, che sarà protagonista nelle prossime serate, il momento dell’annientamento diventa imprescindibile, anche per attingere a una qualche accettazione intesa come riscatto pervenuto all’estremo della dissoluzione; d’altronde, ricordava Walter Benjamin, solo nell’assoluta disperazione ci è lecito ancora sperare. Questo per dire che per tornare a sperare si deve arrivare al fondo, almeno dalla prospettiva visionaria dell’arte: la distopia allora, con un colpo di reni estremo, riesce a tornare utopia, perché come sapeva lo stesso Samuel Beckett e il filosofo Theodor W. Adorno suo lettore e stimatore, proprio l’assoluta cupezza del racconto catastrofico può fare emergere il desiderio insperato del nuovo, del mutamento, della possibilità che non sia già tutto finito così.

Nella serata del 3 agosto, a introdurre gli spettatori l’installazione in mapping di Alessandro Ferroni e Maddalena Parise sulla facciata del Teatro India, che annuncia le tinte scure del melologo drammatico Gli uccelli. Dicevamo prima dei paradossi che costituiscono l’arte da sempre; d’altronde, un teatro di fantascienza appare come un ossimoro, perché da un lato troviamo la più antica delle modalità espressive adottate dall’umanità, dall’altro il racconto del futuro, in questo caso un futuro non ben definito e determinato dove gli uccelli decidono di attaccare provocando una sorta di apocalisse umana che, nel dopoguerra in cui il racconto di Daphne Du Maurier è stato scritto, voleva essere una metafora della minaccia nucleare. La soluzione adottata dagli autori, in linea con l’installazione audiovisiva dell’introduzione, dimostra come il teatro riesca a superare gli spaccati dei generi e possa addentrarsi persino nella fantascienza, perché l’autentica letteratura sci-fi, compresa quella distopica, resta sempre un’indagine sulla psiche umana, sui valori della società, sul senso dell’esistenza.

Gli autori hanno intrapreso in questa occasione la strada del melologo: una serie di voci che si rincorrono, ripercorrendo le tappe salienti del racconto di Du Maurier, con l’accompagnamento della chitarra elettrica di Fabio Perciballi e del tappeto sonoro elettronico di Alessandro Ferroni, inquietante e caratterizzato da tonalità basse, cavernose, disturbanti, spesso persino impressioniste nella capacità di restituire i suoni angoscianti a cui i narratori fanno riferimento. Il racconto di Du Maurier divenne celebre per la superlativa trasposizione del maestro Alfred Hitchcock, amico della scrittrice londinese ingiustamente dimenticata e dalla quale Sir Alfred aveva attinto anche per Rebecca, la prima moglie. In Hitchcock la dimensione distopica scompare, l’angoscia per il disastro si traduce come sappiamo in un viaggio psicoanalitico meno didascalico e più criptico. Ma d’altronde, la magnificenza della psicoanalisi hitchcockiana ha sempre fatto questo: sacrificare la psicologia per la psicoanalisi. Qui invece ritornare al racconto originario, catastrofista e apocalittico in senso spudorato, significa tornare a riflettere sul senso della presenza dell’uomo sul pianeta. Tra le scene che hanno fatto la storia del cinema e che ha affascinato in particolar modo il filosofo  Slavoj Žižek, c’è un’incredibile inquadratura in plongée che introduce uno degli attacchi degli uccelli sulla Bodega Bay: si tratta della soggettiva di uno degli uccelli, o forse dello “stormo”, o in maniera metafisica e ancora più affascinante, come sostiene Žižek, di Dio stesso che si gode lo spettacolo. Si tratta di uno slittamento di visione che apre un baratro alla riflessione, che il melologo andato in scena all’India ha riproposto in altra forma: tre delle voci narranti, a differenza di quanto accade nel racconto, sono le voci degli uccelli stessi. Gli uccelli perciò, piuttosto che esprimersi come forme oscure e irrazionali del destino, sono creature che osservano la sofferenza degli umani ed esprimono coscienza dei loro attacchi e della loro spietatezza, oltre che a sottolineare il loro rammarico per i morti della loro specie. Il racconto in prima persona è un’operazione che costringe a ripensare la posizione dominante dell’essere umano, si tratta infatti di un espediente brillante capace da un lato di riattualizzare il racconto del 1952 secondo le esigenze del presente, dall’altro di addentrarsi nella complicazione del rapporto vittima/carnefice, soprattutto quando i due agenti in causa sono l’umano e la natura. E se la speranza è davvero solo per chi non ha più speranza, allora paradossalmente si può ripartire da qui per evitare che la catastrofe sia definitiva.

Lo spettacolo continua all’interno di If. Invasioni (dal) futuro_New Era*2022
Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman, 1 – Roma
3 – 4 agosto ore 21.15

Lacasdiargilla presenta
Gli uccelli
dal racconto di Daphne Du Maurier
con Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Stefano Scialanga, Camilla Semino Favro
elettronica Alessandro Ferroni
chitarra elettrica Fabio Perciballi