L’arte che promuove coscienza e responsabilità

Il Teatro dell’Opera propone un trittico composto da due cult dal repertorio di William Forsythe e Johan Inger e un pezzo di Nicolas Blanc commissionato dalla direttrice del corpo di ballo Eleonora Abbagnato. In scena fino al 3 marzo al Teatro Costanzi.

In febbrile attesa che il nuovo sovrintendente Francesco Giambrone, dopo l’eccellente esperienza al Teatro Massimo di Palermo, possa avviare l’annunciata «fase di ascolto e dialogo indispensabile per costruire un progetto condiviso da portare avanti nei prossimi anni», il cartellone del Teatro dell’Opera di Roma offre una serata che se, per un verso, rientra nella linea programmatica dell’usato sicuro (due classici da maestri del contemporaneo come Forsythe e Inger), per l’altro conferma come la guida di Carlo Fuortes abbia ormai saputo restituire al palcoscenico della Capitale il grande e doveroso appeal nei confronti del pubblico internazionale, non a caso presente numeroso alla prima del 26 febbraio per assistere a Forsythe / Inger / Blanc.

Per quanto riguarda Forsythe, Herman Schmerman non costituisce probabilmente il lavoro più riuscito del genio americano, soprattutto se paragonato – per esempio – all’indimenticabile Steptext o al sontuoso A quiet evening of dance. Ciononostante, la coreografia rappresenta in maniera esemplare la coerenza del progetto di dialogo tra classico e contemporaneo che Forsythe, indiscutibilmente una delle più audaci figure della danza internazionale, sta portando avanti da quasi mezzo secolo.

Corpo di ballo in leotard, set essenzializzato e privo di orpelli “teatrali”, tecnica classica liberata dalle posture accademiche e virtuosismi alleggeriti dalla sublimità dell’esecuzione e dalla gioia interpretativa plasmano alle fondamenta Herman Schmerman – «titolo affascinante che non significa nulla […] si tratta unicamente di ballerini con talento che danzano». La coreografia si compone di due parti, autonome l’una dall’altra ma entrambe danzate sulla partitura di Thom Willems. La prima si affida a tre donne e due uomini, riducendo la quantità delle figure che, in una tensione all’unisono, vengono eseguite tanto dalle prime quanto dai secondi nell’orizzontalità delle braccia accompagnata da rapidi movimenti delle gambe e delle punte. Soubresaut, battement, rond de jambe e pas de bourrée, in questo primo quadro di Herman Schmerman si trovano praticamente tutti i fondamentali della danza classica e la composizione forse risente dall’essere stata realizzata nel 1992, soprattutto per il fatto che i collegamenti si sviluppano attraverso l’uscita dalla scena dei ballerini e delle ballerine dopo il completamento della frase coreutica e per l’insistere del ritmo danzante sugli accenti percussivi della musica, ma a farla da padrone è la qualità del movimento, la cui impressione visiva è superba, in particolare negli assolo e nell’acuto primo finale. Il secondo atto è il passo a due per uomo e donna in cui fanno la loro comparsa i celebri gonnellini gialli del mai troppo compianto Gianni Versace. Anche in questo caso, Forsythe non disegna un racconto, ma il magnetismo dei corpi e una latente e riuscita sottotraccia di ironia portano il giudizio su Herman Schmerman a riconoscere nella coreografia un complessivo ed efficace senso di raffinatezza estetica.

Agli antipodi si colloca invece Walking Mad, un pezzo, anch’esso organizzato in due parti, che Johan Inger immagina con tinte comiche e un forte impatto emotivo sulle note, prima, del travolgente Bolero di Ravel e, poi, su quelle ipnotiche e malinconiche di Für Alina di Arvo Pärt. Tre donne e sei uomini si dividono il palco senza soluzione di continuità, alternano danza e scena di inseguimento. Il loro è un rapporto di gioco che, anche quando sembra divertente, mostra di essere pericoloso e lo dimostra palesemente con il commovente e angoscioso finale. L’operazione si muove su binari inizialmente umoristici e infine drammatici, tra lacrime e risate, e si enuclea tutto attorno a un muro mobile che fa parte integrante delle relazioni coreografiche ed esistenziali dei nove esseri. L’approccio di Inger si avvale dunque di invenzioni decisamente teatrali che ballerine e ballerini utilizzano, tra abbracci e aggressioni, performando momenti in cui sembrano flirtare ad altri in cui si scoprono isolati e all’ombra della scenografia.

A chiudere la serata sono From Afar e la straordinaria Sinfonia N. 1 Oceans di Ezio Bosso. La coreografia vede protagonisti un numero enorme di personaggi ed è una composizione che si struttura su tableaux vivants dall’estremo impatto emotivo e su movimenti di grande respiro, su assoli e passi d’insieme. Blanc crea una carovana di donne e uomini sormontata da un relitto di nave, l’impressione è quella di trovarsi negli abissi, dopo un disastro marino e che questi esseri stiano agonizzando come dee e dee decaduti.  Dopo un imponente passo d’insieme, la quasi totalità di loro stramazza e diventa nutrimento del terreno, mentre, in parallelo, il relitto, da sospeso viene adagiato sul palco.

Ballerine e ballerini sono raggruppati, ma rimane una donna, forse una flebile speranza che il genere umano possa reagire e risorgere. La massa in cui si sono trasformati muta la forma artistica nel suo complesso, l’assolo dell’étoile diventa uno star da sola, volutamente disperata, anche se per brevi momenti la sua solitudine sembra trovare un compagno da far risorgere e una compagna capace di sostenerla nei momenti più bui. Le immagini tersicoree sono sorprendenti nell’instabilità che non diventa mancanza di coesione, ma fantastica profondità emotiva. Liberando gli interpreti dalle pose tradizionali, Blanc sfoggia una meravigliosa danza in cui fluiscono “quadri viventi”, raggruppamenti, duetti e trii più ampi e contemporanei. Nicolas Blanc, introducendo From Afar, afferma che «parla di donne e uomini, di un’avventura umana, un’avventura di cuori e anime. È una storia che mette in relazione presenza e assenza, vicinanza e distanza. Attraverso questo viaggio penso all’effimero della vita, ma anche alla forza vitale dei corpi in movimento che seguono la marea oceanica della gloriosa sinfonia di Ezio Bosso». Stare insieme allora ha un prezzo, ma abbandonare il gruppo non è una opzione perché lo sforzo potrà essere vano e la distanza forse rimarrà incolmabile, come sembra ammonire il finale, ma questa consapevolezza chiama in causa la coscienza dello spettatore.

In questi giorni, con la catastrofe alle porte dell’Europa e una guerra che sta già dilaniando il popolo ucraino (rispetto alla quale si odono dei scandalosi distinguo sulle attenuanti da riconoscere a Putin), va un plauso al Teatro dell’Opera di Roma per aver prodotto un evento capace di ricordarci che stare insieme è sì una necessità antropologica scolpita nella nostra storia, ma che è anche una scelta di responsabilità marchiata sulle nostre coscienze.

Chapeau.

Lo spettacolo continua
Teatro dell’Opera / Teatro Costanzi

Piazza Beniamino Gigli, 00184 Roma
fino al 3 marzo

Forsythe / Inger / Blanc
Herman Schmerman
Musica Thom Willems
Coreografia William Forsythe
Ripresa da José Carlos Blanco Martínez
Costumi Gianni Versace e William Forsythe
Luci Tanja Rühl e William Forsythe

Walking Mad
Musiche Maurice Ravel Bolero For Orchestra (1928), Arvo Pärt Für Alina For Piano (1976)
Coreografia Johan Inger
Ripresa da Yvan Dubreuil
Scene e Costumi Johan Inger
Luci Erik Berglund

From Afar
Musica Ezio Bosso Sinfonia N. 1 “Oceans” (1. Allegro “To plough the Waves”, 2. Trio “Nostalgija, an immigrant song”)
Creazione di Nicolas Blanc
Scene Andrea Miglio
Costumi Anna Biagiotti
Luci Fabrizio Marinelli

Principali interpreti
Susanna Salvi, Claudio Cocino, Michele Satriano, Alessio Rezza
Étoiles, primi ballerini, solisti e corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma

nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
musiche su base registrata
durata 1h 40′ circa: 25′ (Forsythe) – 22′ (Inger) – 25′ (intervallo) – 28′ (Blanc)