Una favola senza sfondo

Recensione My Fair Lady. Al Sistina di Roma il 3 novembre ha debuttato My Fair Lady, con l’impeccabile Serena Autieri e il nuovo adattamento in italiano, forse troppo visionario, da A. J. Weissbard. A impreziosire il cast, Ivan Castiglione, Manlio Dovì, Clara Galante, Luca Bacci, Gianfranco Phino e Fioretta Mari. In scena fino al 26 novembre.

Ritrovare a teatro un classico come My Fair Lady all’interno del Tempio della commedia musicale, il Sistina, è sempre un graditissimo piacere, soprattutto se le carte messe a disposizione sul tavolo della produzione, capitanata da Enrico Griselli, rispondono tutte a nomi di grande risonanza. Durante la conferenza stampa, il nutrito cast di attori e le varie maestranze hanno manifestato all’unisono grande emozione ed entusiasmo per il debutto di questo titolo, tra i più importanti della stagione, elevando molto le aspettative intorno a quello che è il musical più rappresentato al mondo.

Nato dalla penna di Lerner e Loewe nel 1956 e reso ancor più celebre dalla pellicola del 1964, diretta da George Cukor, My Fair Lady ha avuto come protagonista Audrey Hepburn al fianco di Rex Harrison, e – a teatro – l’eccezionale Julie Andrews.

Qui in Italia, invece, è oggi Serena Autieri a ricoprire il ruolo di Eliza Doolittle, la deliziosa fioraia che scrutata una sera uggiosa dal professor Higgins (Ivan Castiglione), glottologo britannico di fama internazionale, vedrà cambiare la sua vita grazie alle lezioni di fonetica che l’uomo le impartirà. Higgins quella notte ha scommesso con l’appena conosciuto Colonnello Pickering (Manlio Dovì), esperto di dialetti indiani, che in sei mesi riuscirà a trasformare la dolce e umile ambulante in un’elegante signora da presentare in società.
Per la fanciulla, che sogna un posto da commessa in un negozio di fiori, per lasciare la strada, e che ha accolto la proposta del misogino professore con determinazione, l’impresa non sarà facile. Il percorso di studi risulterà tanto complesso, quanto efficace, e il primo passo verso il cambiamento sarà varcare le porte dell’Ambasciata di fronte alla Regina di Transilvania.

La trama è indubbiamente insolita, anche per le tematiche legate per lo più al riscatto sociale e al superamento di barriere non solo linguistiche, tuttavia resta sempre attuale, nonostante l’ambientazione d’epoca e la favola non si basi su una grande storia d’amore.

Autieri è un’eccellente protagonista, il ruolo di Eliza le calza a pennello; preparatissima anche vocalmente, lo è forse fin troppo, considerando la voce liricheggiante che, fin dalle prime canzoni, stona con la semplicità del personaggio della fioraia, abituata a esprimersi dapprima con un dialetto “appenninico indefinito” – con cui rende il cockney londinese dell’opera originale – per poi trasformarsi in una donna di classe. La protagonista, sulla scena, si muove con leggerezza e non perde mai intensità, considerando la complessità dell’opera. Un po’ tutto più difficile e sofferta, invece, è la serata per il protagonista maschile, il pur bravissimo Ivan Castiglione che, provenendo dalla prosa, si è misurato con la complessità di un musical, dove si recita e canta insieme e, a volte, bisogna farlo sopra i canonici problemi tecnici della prima. Risolto ogni inciampo con professionalità, resta la necessità di asciugare molte scene a favore di un ritmo più consono, più fluido, essendo l’opera molto articolata. Se la durata del film, infatti, è di due ore e quarantacinque minuti, lo spettacolo si attesta sulle tre ore nette, intervallo escluso, e non bastano le interpretazioni più soavi di Manlio Dovì e Fioretta Mari ad alleggerire il tutto.
Dovì, che veste i panni del Colonnello Pickering, nonostante avesse dichiarato di non aver fatto emergere lati comici, si “perde” spesso in numerose gag, mentre il ruolo originale è più asciutto: seppur sia indubbiamente interessante rinnovare un classico, l’anima del personaggio dovrebbe restare tale, mentre la scuola di Manlio si trascina più volte dietro il suo caro “Bagaglino”.
Mrs Higgins, la madre del professore, invece, è interpretata da Fioretta Mari, che qualche giorno prima di andare in scena ha avuto un infortunio al malleolo, senza che ciò fortunatamente abbia influito sul palco, poiché il suo personaggio vedeva comunque il supporto di una sedia a rotelle su cui muoversi. La formidabile attrice porta la sua “dottrina”, l’alta professionalità e tanta più esuberanza sul palcoscenico, all’interno di un ruolo più pacato, ma sempre convincente.
Luca Bacci regala al pubblico un bel Freddie, giovane dalla voce pulita, così come lo è quella di Clara Galante, anche lei attrice di prosa che, con la sua Mrs Pearce, è protagonista di un momento mimico inedito sulla condizione delle donne, assente nell’originale.

La vera grande pecca, però, che pesa su tutto lo spettacolo, è l’essenziale e visionaria scenografia ideata dallo stesso regista A. J. Weissbard. Inconcepibile pensare che un’opera classica così sfarzosa per contenuti e costumi, non abbia una scenografia degna, che ne sia quasi privata, essendo formata da pochi elementi d’arredo e da pannelli mobili, con tanto di ruote, che gli attori stessi sistemano tra un cambio scena e l’altro. Sullo sfondo nessuno scenario, neanche un telo nero, ma le quinte del Sistina nude e crude, che per quanto storiche, cozzano con la visione complessiva della messinscena, essendo presenti anche scale, corde e attrezzature varie, che distolgono l’attenzione.
Un colpo d’occhio destabilizzante, soprattutto nella scena d’apertura, ambientata nel mercato di Coven Garden e maggiormente in quella del ballo presso l’Ambasciata, in cui il palcoscenico è quasi completamente spoglio.
Sembra di assistere a una una prova generale, tanta è la mancanza e l’imbarazzo nel comprendere man mano che si tratta di una scelta, penalizzante, essendo l’elemento scenografico punto di forza per un titolo così noto.

“Le coreografie del meraviglioso ensemble sono state affidate all’immaginazione poetica e alla versatilità plastica del regista e coreografo internazionale Gianni Santucci, che con la sua visione di teatro totale ha disegnato un mondo classico e modernissimo allo stesso tempo”: alcuni assoli durante il famoso ballo, che non sono di coppia, però, non convincono, così come non appare una scelta vincente il non aver riproposto il bellissimo momento in cui Alfred Doolittle, interpretato con maestria da Gianfranco Phino, dice addio alla sua libertà uscendo di scena portato a spalla come fosse un feretro.
La direzione delle musiche ha il nome e l’esperienza del Maestro Enzo Campagnoli, mentre il nuovo adattamento delle liriche e della drammaturgia vede Vincenzo Incenzo protagonista: i giochi linguistici rendono abbastanza a confronto con l’originale, seppur The rain in Spain subisce una modifica importante, diventando Nei Pirenei c’è aria di nevai.
Accurati i costumi di Silvia Frattolillo, che hanno uno stile nuovo e se vogliamo anche più moderno se riferiti all’epoca.
Rispetto alla scommessa di Higgins, quella di A. J. Weissbard, non si può definire vinta; al di là del talento degli attori e di quanto analizzato in precedenza, My Fair Lady, che ha una visione e un ascolto sempre piacevole, merita un allestimento degno del titolo, sempre di gran richiamo per il pubblico, che non vogliamo sia esso a tirar le ciabatte nel finale.

Lo spettacolo continua:
Teatro il Sistina
via Sistina, 129 – Roma
fino a domenica 26 novembre
orari: da giovedì a sabato ore 20.30, domenica ore 16.00

Enrico Griselli presenta
My Fair Lady
di Lerner e Loewe
Regia di A.J. Weissbard
con Serena Autieri, Ivan Castiglione, Manlio Dovì, Clara Galante, Luca Bacci, Gianfranco Phino, Fioretta Mari
Libretto e liriche Alan Jay Lerner
Musiche Frederick Loewe
adattato da “Pigmalione” di George Bernard Shaw e dal film di Gabriel Pascal
Produzione originale di Moss Hart
Adattamento italiano di Vincenzo Incenzo
Coreografie Gianni Santucci
Costumi Silvia Frattolillo
Direzione musicale Enzo Campagnoli
Ufficio stampa My Fair Lady Maurizio Quattrini
Ufficio stampa Sistina Federica Fresa