Affinità-divergenze nel teatro “ragazzə”

Teatro Bastardo focalizza la propria attenzione sulle arti performative per le nuove generazioni, vale a dire su quel fondamentale fenomeno di attivazione democratica, scardinamento dell’omologazione e ibridazione tra attitudine critica e dimensione popular che il teatro contemporaneo non può permettersi di assumere in maniera ingenuamente polemica. Se, infatti, appare ormai “dispiegata” la capacità digerente del capitalismo e il fagocitare consumistico di ogni dissenso, allora le costellazioni delle pratiche artistiche contemporanee devono continuare a “imporre” con radicale urgenza la questione del non-identico fin dalla tenere età in quanto, in relazione alla «costrizione all’identità che ha luogo nella realtà», «le opere d’arte sono copie della vita empirica nella misura in cui rendono a questa ciò che viene ad esse negato ed in tal modo la liberano» (L’Arte allo stato gassoso. Sul trionfo dell’estetica, Yves Michaud). Di fronte a questo scenario, muovendosi tra tradizionalismo e sperimentalismo, gli allestimenti de La Casa di Creta e di Agrupación Señor Serrano sono però di controversa valutazione nel testimoniare due opposte tendenze del Children’s Theatre.

L’8 e il 9 ottobre, i Cantieri culturali alla Zisa e lo stupefacente Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino hanno ospitato due proposte molto significative dello stato dell’arte del teatro per giovani e giovanissimi. Lo sguardo e l’interesse al mondo dei più piccoli rientrano d’altronde in una questione educativo-pedagogica di capitale importanza per il senso e il valore dell’arte drammaturgico-performativa e, in Italia, sono diversi i contenitori che si occupano in maniera specifica di questa forma estetica. Dunque, non stupisce che un festival che intende «contribuire a far crescere l’ecosistema di cui fa parte», domandandosi «che ruolo ha lo spettacolo dal vivo in un momento storico in cui il concetto di “dal vivo” è cambiato», ponga enfasi sul Children’s Theatre e che le curatrici, Giulia D’Oro e Flora Pitrolo, scelgano di dedicarsi a due compagnie che declinano in maniera alternativa le rispettive proposte su questo specifico fenomeno. Dopotutto, si tratta di un argomento di fondamentale importanza per le arti non solo nei termini di audience development o di community engagement, ma in relazione al loro ruolo nella formazione civile e morale di una comunità che non intende naufragare nel declino culturale e umanistico di questi tempi bui.

La “necessità” che si materializza negli allestimenti per le nuove generazioni non è allora tanto dissimile da quella del teatro tout court. Non lo è, soprattutto, se si pensa al fatto che tale “necessità” non riguarda prioritariamente la questione del contenuto, che potrà anche cambiare a seconda del target anagrafico di riferimento. Essa è piuttosto insita nel “dovere” di un ragionamento specifico sulla forma del contemporaneo che parta dalla consapevolezza che essa non potrà essere assunta in maniera banale o ingenua, a meno che la volontà dell’artista non sia quella di un intrattenimento immediato e grossolano. Da questo punto di vista, l’evoluzione assunta dalla poetica di Agrupación Señor Serrano negli anni post-pandemici risulta paradigmatica in quanto il progetto Olympus Kids, di cui Prometeo fa parte, rappresenta uno step di una «serie teatrale basata su una visione critica e dirompente dei miti greci destinata esclusivamente a un pubblico infantile». La compagnia catalana applica la propria tipica modalità espressiva al teatro per le nuove generazioni e, “re-innovando” il teatro di figura, intende offrire alla gioventù tra i 7 e gli 11 anni la possibilità di un riposizionamento autentico rispetto alle posizioni ideologicamente dominanti. Prometeo, nel voler promuovere un embrione di riflessione critica, concepisce l’esperienza estetica del suo “piccolo” pubblico come negativa rispetto allo status quo sociale e culturale. Tuttavia, se l’episodio precedente (Amazones) aveva complessivamente convinto per tenuta tecnica, livello delle dinamiche performative e contenuto drammaturgico, Prometeo fatica ad avviare «la propria funzione emancipatrice» e a decostruire contenuti e stili di vita «in cui siamo immersi spesso in maniera inconsapevole». I motivi di questa difficoltà sembrano essere due, il primo strutturale, il secondo contingente, ma andiamo con ordine.

Sul palco è Beatrice Baruffini a farsi carico di narrare la vicenda (del celebre personaggio che donò il fuoco agli esseri umani) attraverso l’uso in diretta di modelli in scala, figure in miniatura, videocamere e contenuti online. L’oralità della performer, la tecno-scena costruita live, i momenti di interazione con la platea plasmano un racconto che attraversa tre linee drammaturgiche, la prima sul mito di Prometeo, la seconda su Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Shelley (con immagini tratte dall’iconica pellicola di Mel Brooks con Gene Wilder) e la terza su Julian Assange. L’impianto concettuale derivato dalla mitologia greca e declinato sul kantiano sàpere àude è chiaro ed è forse un po’ sbilanciato verso l’ottimismo della ragione, ma serve da pretesto affinché in bambine e bambini si possa provocare una revisione concettuale del collegamento tra il mito scelto e specifiche questioni cruciali della nostra epoca. Il trait d’union è esplicitato dalla stessa interprete in scena e risiede nell’intenzione “illuministica” dei tre protagonisti, ognuno dei quali è accomunato all’altro da una medesima carica trasgressiva e “filantropica” (Prometeo dona fuoco e tecnica agli esseri umani, Frankenstein la chimera di tornare a vivere, Assange è il giornalista martire della libertà d’informazione; ognuno di loro ha violato le leggi costituite). Al netto del fatto che esistano letture ben diverse da quella “positivistica” considerata canonica da Serrano (Rousseau, Leopardi, Satyamo Hernandez), eviteremo di scendere nei dettagli del racconto perché smaccatamente prevedibile per lettori adulti e perché le domande chiave sembrano spesso pretestuose, ma se lo schema è lo stesso già ammirato in Amazones, ecco che tra i due episodi covano significative differenze e criticità, entrambe relative a Beatrice Baruffini. La prima risiede nel fatto che ci si aspettava e sarebbe stato indispensabile maggior agio e disinvoltura con un allestimento non del tutto tradizionale, mentre Baruffini si è lasciata travolgere dalla gestione del complesso (ma non complessissimo) apparato scenico dell’allestimento e dalla relazione con il frizzante pubblico palermitano. I continui inciampi tecnici e le eccessive frammentazioni nell’esposizione rappresentano però criticità contingenti, perché Baruffini avrebbe potuto/dovuto compensare le difficoltà del momento con maggiore personalità ed esperienza, ma gli imprevisti possono sempre capitare. La problematica strutturale è infatti altra, assolutamente inattesa in quanto riferisce a un inedito sfacciato moralismo di fondo della partitura testuale, tradotta dalla stessa attrice formatasi al Teatro delle Briciole di Parma: fare di Assange l’apostolo della libertà potrà anche esser una prospettiva condivisibile, ma la retorica emersa dalla versione in italiano risulta incoerente per uno spettacolo che non intende indottrinare, ma essere dialogicamente maieutico («Le norme devono essere sempre rispettate? E se una norma è ingiusta? Chi sono i Prometeo dei nostri tempi?»). Lo stesso invito – rivolto sul finale al giovane pubblico già in fase di smobilitazione – a farsi raccontare dai genitori del cofondatore di WikiLeaks risulta inutile e presuntuoso rispetto all’efficacia di un allestimento maldestramente gestito con poca ironia e “ludicamente” macchinoso.

Sull’opposto versante della leggerezza si colloca invece Cappuccetto rozzo, «cavallo di battaglia de La Casa di Creta, rappresentato centinaia di volte in tutta Italia, dal 1999 fino al 2008». Si tratta di una rivisitazione della versione edulcorata della celebre fiaba dei fratelli Grimm incentrata su un curioso ribaltamento caratteriale dei vari personaggi (la protagonista dispettosa, il lupo buono, etc.). La proposta de La Casa di Creta è orgogliosamente tradizionalista: Steve Cable è «un colorato cantastorie straniero» che «arriva con la sua fedele chitarra per raccontare, cantando, la fiaba più amata dei bambini», mentre Antonella Caldarella, che cura anche testo e regia, è «Gigetto, un dispettoso burattino», ma anche la birbante Cappuccetto Rosso, la nonna e il povero lupo terrorizzato dalla bimba. Caldarella immagina una nuova storia e su un “equivoco” costruisce un testo tanto semplice, quanto efficace, proponendo una regia perfettamente adeguata non “dai”, ma “per” i 4 anni, senza che questo significhi necessariamente un difetto. Il difetto sta piuttosto nell’aver perpetuato gli stessi schemi manichei della fiaba (semplicemente rovesciandoli) e nell’aver impostato uno «spettacolo musicale a tecnica mista» in una maniera che sarà pure stata efficace nell’esaltare il naturalmente indisciplinato pubblico, ma che perplime per la modalità urlata e confusionaria.

Tra Prometeo e Cappuccetto Rozzo, l’alternativa potrebbe dunque sembrare antitetica, soprattutto in relazione alla scelta di criticare o modellarsi su un immaginario adulto, dunque nel loro volersi presentare nelle vesti di teatro straniante o conciliante, maieutico o catartico, dirompente o esaltante. Tuttavia, gli strumenti messi a disposizione dal chiasma di reale e virtuale di Agrupación Señor Serrano e dalla tecnica classica del genere di Casa di Creta, pur differenti in maniera sottile l’uno dall’altro (la composizione dal vivo delle scene è “reale” per Prometeo e “apparente” per Cappuccetto, mentre l’interazione con il pubblico è, rispettivamente, guidata e “anarchica”) in nessuno dei due casi hanno saputo dar forma a performance critiche o “sublimi”. A dispetto della evidente capacità di Cappuccetto Rozzo di coinvolgere la platea e dell’ambiziosa fusione di linguaggi invocata da Prometeo, se dall’arte per le nuove generazioni ci si aspettava l’essere in grado di incidere sulla deriva semplificatoria e manipolatoria delle narrazioni dei nostri tempi bui senza cedere alla tentazione di una semplificazione, allora le affinità tra i due spettacoli appaiono purtroppo ben maggiori delle divergenze.

Gli spettacoli sono andati in scena
Sala Perriera, Cantieri culturali alla Zisa
via Paolo Gili, 4
8 ottobre ore 17.30
Prometeo
di Agrupación Señor Serrano
drammaturgia e regia Olympus Kids
performer Beatrice Baruffini
musica Roger Costa Vendrell
realizzazione plastici Lola Belles
tecnico Riccardo Reina
età: 7-11 anni (solo bambini: non è consentito l’ingresso ai genitori)

Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino
piazza Antonino Pasqualino, 5
9 ottobre ore 17.30
Cappuccetto rozzo
di La Casa di Creta
testo e regia di Antonella Caldarella
con Antonella Caldarella (burattinaia) e Steve Cable (contastorie)
musiche originali di Steve Cable
scene e burattini di Tiziana Rapisarda
produzione La Casa di Creta
in collaborazione con il Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino
età consigliata: dai 4 anni