Citron Sucré, Irène Drésel, French 79, Thom Draft, The Blaze | Les Nuits de Fourvière

Per terminare in bellezza il mese di luglio, le Nuits de Fourvière hanno riservato al loro pubblico due serate di musiche elettroniche che hanno trasformato la cavea e le gradinate del teatro galloromano di Fourvière in una discoteca all’aria aperta, grazie a Citron Sucré, Iréne Drésel, French 79, Thom Draft e The Blaze

Dopo la breve e ispirata performance di Citron Sucré, artista lionese d’origine siberiana, in grado di proporre un electroclash impegnato che si muove tra elettronica, disco, coldwave, il tutto chiuso in un’estetica punk e colorata, sabato 22 luglio, sul palco di Fourvière, si è manifestata come un’apparizione a metà strada tra neopaganesimo e cultura hippie, Iréne Drésel, accompagnata alla batteria elettronica da Sizo del Givry. Autrice due ottimi album, Hyper Cristal e Kinky Dogma (Room Records, rispettivamente 2019 e 2021), Iréne Drésel è salita recentemente all’onore delle cronache grazie al conseguimento, lo scorso febbraio, del César per la migliore musica originale per il lavoro che accompagna À plein temps d’Éric Gravel. Prima donna nella storia a ricevere questo riconoscimento, Iréne Drésel si è presentata a Fourvière in un trionfo di rose che hanno invaso palco e strumentazione, oltre ad essere condivise generosamente con il pubblico. L’artista forgia una techno gioiosa e magnetica, ammaliante, ma priva dell’aspetto assoggettante: i suoi loop accantonano infatti il movimento centrifugo, aprendosi ad una vorticità libera, in espansione. In questa operazione avviene dunque una dispersione energetica, corporea, che espelle ogni tensione oppositiva in una logica di alleggerimento attuando in questo modo un avvicinamento comunitario. Una spiritualità naturale, olistica e liberatoria si sprigiona grazie a questa sorgente estetica che appare come un centro ctonio, profondamente legato al sentimento di libertà e di serenità. Iréne Drésel, che palesa una conoscenza approfondita non solamente della storia della musica elettronica, ma anche di quei fenomeni rumorosi e oscuri, come i Coil e i Throbbing Gristle, opta per la deposizione della massa terrificante a favore di un’euforia produttiva. Questa la motivazione che ci spinge ad affermare che la performance lionese si situa tra le più belle esperienze estetiche che queste pietre hanno vissuto durante le ultime edizioni del festival.

La seconda parte della serata ha accolto invece French 79, al secolo Simon Henner, nuovo alfiere della musica elettronica francese e raffinato interprete della grande epopea della French Touch. Le sue composizioni oscillano tra evocazioni nazionali come Air, Daft Punk, St Germain e sonorità più storicizzate e internazionali come Klaus Schulze, Tangerine Dream e Soft Machine. Il risultato è incarnato da equilibratissime composizioni lineari e coinvolgenti, basti pensare a qualche brano tratto dalla sua ultima fatica, Teenagers (IN/EX, 2023), come Burning Legend (come non pensare qui ai lavori di Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel?), Like is Like o Freedom, dove il ritmo e l’energia seguono uno sviluppo costante, rimanendo sorvegliati da Simon, deus ex machina di un universo organico. Ciò che colpisce particolarmente dei suoi lavori è proprio la compattezza, l’aspetto d’unitarietà e d’organizzazione che sovraintende ad ogni singolo sviluppo estetico. Non vi è spazio per l’improvvisazione o per l’approssimazione, proprio perché l’aleatorio o l’imprevisto non possono essere concepiti. Ciò fa della musica di French 79 un punto di riferimento nel mondo elettronico attuale, è il punto di contatto, quasi ossimorico, tra l’organicità formale dell’opera d’arte e la sensibilità della sua presa sulla realtà, dell’espressione dell’hic et nunc. Simon Henner non si perde in questa apparente contraddizione, ma la padroneggia con raffinatezza, nell’evocazione démodé e storicizzata di un suono che non sembra essere consegnato una volta per tutte agli annali ma che mostra ciclicamente il suo vigore.

Il martedì successivo è stata la volta dell’attesissimo ritorno dei The Blaze, quattro anni dopo la memorabile serata del 2019. Ma prima di accogliere i cugini Alric, abbiamo potuto incontrare l’universo sonoro di Thom Draft, artista e produttore che si sta aprendo un varco all’interno del panorama elettronico. Voci robotiche, loop eleganti che evocano la soul music degli anni Settanta e le primizie della dance, lunghi tunnel sonori, talvolta claustrofobici talaltra ascendenti, popolano il set che evoca perfettamente Breathtaking (Animal63, 2023), primo ep pubblicato proprio nei giorni precedenti il concerto lionese.

Giunge poi l’ora di dare il benvenuto a Jonathan et Guillaume Alric, i due nomi dietro al progetto The Blaze capace di attirare l’attenzione di pubblico e critica fin dalla pubblicazione del primo ep, quel Territory (Animal63, 2017) in grado di diventare immediatamente un riferimento ben al di là delle frontiere nazionali. Forti di un secondo album (Jungle, Animal63, 2023), il duo organizza un concerto efficace, un vero e proprio spettacolo che ripete, arricchendolo, quello del tour precedente, mescolando sapientemente le migliori cose dei due album e del primo ep e sorreggendosi molto, forse eccessivamente, sull’aspetto visivo. Proprio qui, su questo ultimo aspetto, ci sembra si celi il segreto della loro proposta lasciando scorgere una staticità autocompiacente, dove l’immagine, tanto visiva che sonora – ma senza che si produca un’impreziosente collisione sinestetica – appare fissata per sempre. La frontalità assunta sulla scena diviene il centro intorno al quale si svolge lo spettacolo, grazie e contrasti di luci e a giochi di schermi moventi che stabiliscono le coordinate del sentire collettivo. La delicatezza delle linee vocali e melodiche non necessiterebbe di una sovrastruttura che le raffreddi per consegnarle alla storia della musica ma, a quanto pare, l’intervento visivo sembra consustanziale alla loro proposta, che si vorrebbe totalizzante ma che si realizza in una leggerezza mancante di incisività