Ritratti d’autore

Abbiamo incontrato il compositore Gabriele Marangoni in occasione della presentazione dell’opera multimediale Metastasis, in scena mercoledì 15 dicembre 2021 al Lac di Lugano.

Qual è il tema centrale di Metastasis ?
Gabriele Marangoni: «Il tema centrale sul quale Metastasis si sviluppa è l’urlo del Pianeta. Per me, come artista, l’urlo è immaginato, ma per il pianeta è reale: non ce la fa più. Con Metastasis ho deciso di dare voce alla Terra, trasformandola in protagonista; mentre io sono il medium, il dispositivo. Metastasis vuole essere un’esperienza forte a livello emotivo, sonoro e visivo, che scuota coscienze e sensibilità. Nonostante l’ecologia sia diventata anche un vettore economico – basti notare le campagne pubblicitarie di qualsiasi prodotto – e, almeno in apparenza, ci sia una maggiore sensibilizzazione riguardo alla tematica, occorre fare di più. In questo momento, per me, il ruolo dell’arte deve essere quello di fare esplodere questo messaggio. Credo sia necessario passare da una sensibilizzazione superficiale a qualcosa di deflagrante che tocchi le coscienze e l’arte possiede questo potere. Più che dire qualcosa intorno a ciò che sta accadendo, bisogna essere strumenti che amplifichino qualcosa che già è presente: l’urlo della Terra ».

Gli otto capitoli del lavoro indicano una partizione della sofferenza, dove il continuo vociferare opaco dell’umanità viene deposto al fine di donare alla Terra la possibilità di esprimersi. Quali sono le modalità di questo processo di verbalizzazione che ha nella sua forma finale l’opera nel suo formato live e quali ruoli giocano i singoli interventi, siano essi vocali, strumentali o visivi?
GM: «L’opera compiuta, nella sua versione finale live, mantiene la suddivisione in capitoli semplicemente da un punto di vista formale e concettuale. Lo spettatore potrà fruire Metastasis come un continuo divenire, una fluida successione di metamorfosi, senza una rigida divisione in capitoli, seppur, come detto in precedenza, essi rimangano nella sua costruzione formale. L’intero sviluppo è basato su un’interiorizzazione dell’urlo con la sua continua destrutturalizzazione che porta sempre più verso un’intima percezione del respiro della Terra e delle sua intimità, fino poi a scoprirne le potenzialità, verso un ultimo gesto di speranza. Il progetto è stato pensato, fin dal primo momento, come diviso in due fasi: la prima in digitale e la seconda come atto compiuto dal vivo dove, attraverso un allestimento tecnologico e minimale, si compie la fusione tra sperimentazione artistica e responsabilità sociale. La versione digitale, ideata per Lingua Madre – il progetto del Lac – Lugano Arte e Cultura rivolto agli artisti interessati a riflettere sul presente, vincitore del Premio Hystrio – era composta da tre creazioni sonore e altrettante opere video che intrecciavano linguaggi diversi per restituire una cacofonia di suoni, rumori, voci e immagini, simile a quella nella quale siamo costantemente immersi e che, spesso, sfugge alla nostra comprensione e non ci aiuta a conquistare la piena consapevolezza di ciò che sta accadendo. Il passaggio dal digitale al live viene sottoposto, nella sua macroforma, allo stesso procedimento estetico e sonoro di “riduzione”. La complessa densità sonora vocale, costituita da numerose voci sovrapposte e gestite attraverso algoritmi creati appositamente, che si contrappuntava alla voce recitante di Nello Provenzano, lascia lo spazio ad un’unica voce, quella di Francesca Della Monica che, attraverso un uso estremo della vocalità e di tecniche al limite della riproduzione vocale umana, diviene simbolo assoluto, catarsi, urlo, respiro e soffio di un pianeta morente. Le opere video, inserite nella versione live come un contrappunto fatto di epifanie e silenzi, creano connessioni con la drammaturgia sonora attraverso riprese aeree mozzafiato incentrate sulla magnificenza di una natura incontaminata e sulla distruzione operata dall’uomo attraverso conflitti e fonti d’inquinamento. Non ho mai avuto l’intenzione di utilizzare una linea visiva didascalica bensì creare personali suggestioni costruite sempre sul contrasto tra la natura vergine ed l’opera dell’uomo. In ogni elemento presente nell’opera (video, luci, uso dello spazio scenico) è sempre in atto il focus principale, questo urlo della Terra che chiede rispetto. Si tratta di una preghiera laica per quel silenzio – “bene comune, come l’acqua e l’aria” – che può aprire finalmente le nostre menti, rendendoci consapevoli di come occorra abbandonare il consumismo di massa per tornare ai nostri veri bisogni ».

Questo progetto diviene corale nel momento della sua realizzazione pratica, nel passaggio che dona lui un’esistenza drammaticamente fisica. Le lande della musica elettroacustica sono spazzate da afflizioni vocalistiche, solipsismi vocali che fendono un continuum rumoristico, pungente, che contemporaneamente, abbraccia e ferisce, affascina e condanna. Come è stato possibile unire intorno a questo progetto questi grandi professionisti e come si è svolto il lavoro di concezione e di realizzazione?
GM: «C’è stato un arricchimento rispetto all’idea puramente acusmatica alla quale mi ero dedicato inizialmente. In Metastasis c’è una sorta di polifonia, le linee e i linguaggi si intrecciano. Il linguaggio principale, più strutturale ed emotivo, resta quello sonoro e viene elaborato elettronicamente: si parte dai suoni al limite della riproducibilità della voce umana (con Francesca Della Monica), elaborata in live electronics (con Damiano Meacci e Tempo Reale). L’apparato scenico è minimale: non ci sono oggetti di scena, non vengono portati altri materiali al di fuori della dotazione del teatro stesso. L’apparato scenico è il teatro stesso, la sua struttura, le quinte, i tiri, le luci. Con il suono ad un grado così elevato di organicità e di drammaturgia, in una visione di teatro dell’ascolto, è stato naturale pensare a una linea emotiva che creasse una sorta di pelle all’intero lavoro, e così è stato aggiunto un dispositivo video con gigantesche proiezioni zenitali sul palcoscenico: immagini, queste, che assumono un ruolo onirico. Il trattamento estetico delle luci è stato ideato con grande precisione e cura grazie a Luigi De Angelis con il quale abbiamo lavorato nella direzione di creare una linea poetica perennemente in dialogo con il suono e le immagini: luci non funzionali ma bensì esperienza estetica e poetica fusa con il suono. I video sono stati girati in Sardegna e rappresentano la trama, quella pelle nella quale vediamo stratificata la bellezza incontaminata in dialogo stridente con l’intervento dell’uomo, che devasta, inquina. Musica e aspetto visivo sono parti di un elemento strutturale unico, una sola grande a partitura. Per la realizzazione di un’opera costituita da tutti questi livelli espressivi, che devono sempre dialogare in maniera organica, essere sempre essenziali, è stato importante e necessario un livello profondo di collaborazione nel rispetto più assoluto dell’idea originale. Ciò è potuto avvenire grazie a collaborazioni per me “storiche”, come quella con Damiano Meacci per il suono (che mi accompagna oramai da diversi progetti) o con una parte del Centro di Ricerca Musicale Tempo Reale di Firenze, che supporta da anni la mia attività e la mia ricerca artistica con un raro esempio di collaborazione virtuosa e totalmente priva di vincoli, proprio come è sempre stato il mio rapporto con direttore Francesco Giomi. Chiuderei con un aspetto molto importante che è quello di far dialogare, coordinare e lavorare insieme la parte artistica con quella squisitamente tecnica della realizzazione in teatro, lavoro quest’ultimo affidato a Micol Riva, anche lei mia collaboratrice oramai da diversi anni ».

Metastasis  evoca, immediatamente, il processo riproduttivo e mortifero cellulare che rinnova l’angoscia dell’annuncio tumorale e quello dell’imprevedibilità dei percorsi nocivi della malattia. Noi siamo la nostra stessa metastasi, la malattia che si rinnova, che apre nuovi spazi di sviluppo negativo. In quale misura l’arte può cercare di invertire la rotta?
GM: «Attraverso la forza del proprio linguaggio, utilizzando tutto il suo potenziale emotivo, essendo necessaria e abbandonando manierismi e procedure autoreferenziali: passare da una sensibilizzazione superficiale a una che riscopra la sua forza primordiale capace di far esplodere e deflagrare il concetto nella sensibilità umana ».

Come si inserisce questo lavoro nella ricerca portata avanti in questi ultimi anni, pensiamo in particolar modo, a progetti come Mater, performance per cento corni delle Alpi e infrasioni, a Human Dramaturgies, esperienza partecipativa in risposta alla chiusura imposta dal lockdown dell’anno passato, oppure alla recentissima installazione sonora Flucsus che vuole spingere la percezione al di là dei limiti fisici per sondare le sensibilità psicologiche?
GM: «In questi ultimi anni, dal progetto Silent ad oggi, il focus della mia ricerca sonora è sempre stato molto preciso, in perenne evoluzione ma sempre profondamente legato, progetto dopo progetto, anche se, ovviamente, declinato in applicazioni differenti. Il suono è diventato per me un mezzo assoluto per accedere ai limiti della percezione e per creare avvenimenti unici e non esistenti in natura. Sono alla ricerca di un equilibrio tra la forza primordiale del suono, che travalichi la dialettica analitica, e una ricezione psichica e fisica dell’accadimento sonoro che agisca direttamente sul corpo e sulla psiche, oltre ad essere assolutamente emotiva. Da qualche anno, il mio lavoro si concentra anche sull’utilizzo di infrasuoni e frequenze sonore al di sotto della soglia di percezione e di ascolto dell’orecchio umano, come è avvenuto nei progetti Mater e Flucsus, una ricerca che poi riemerge anche in Metastasis, lavoro che concettualmente è frutto da riflessioni intraprese durante il lockdown con il progetto Human Dramaturgies, assoluto atto di ribellione. Non ho potuto accettare (e non lo ho permesso..) che la situazione del lockdown mi fermasse: in un mese ho visto quasi due anni di progettazione, di programmazione e di lavori annullati! Ciò non era concepibile per me e questa situazione ha fatto nascere in me la volontà di immaginare un progetto più ricco di collaborazioni, a tal punto da divenire quello più esteso da un punto di vista geografico. Si è quindi giunti ad una collaborazione finalizzata alla costruzione di un’opera sonora (che poi ha avuto anche uno sviluppo video) partecipativa e collaborativa, con più di duecento artisti da tutto il mondo, creata a partire dai mezzi a disposizione durante l’isolamento: la rete internet e un iPad. Mentre creavo in digitale, stavo stabilendo delle connessioni virtuali proprio grazie a queste collaborazioni. Avvertii quindi la necessità di far saltare anche questa condizione trasformando il progetto in un installazione in QR code fisica, dove però tutti i contenuti rimanessero nel digitale: il codice come porta d’ingresso al digitale all’interno del mondo reale. Appena si aprì una finestra di libertà dal lockdown, abbiamo realizzato l’installazione di Human Dramaturgies prima al Teatro Massimo di Cagliari e poi, in occasione dell’inaugurazione del Festival Aperto, al Teatro Valli di Reggio Emilia. Poi tutti di nuovo in lockdown… Metastasis giunge da questo periodo, quando in Italia gli artisti sono stati trattati come esseri invisibili, privati d’ogni peso sociale, del rispetto, visti come entità il cui operato non era assolutamente necessario. Da qui è la nata la necessità di dare un valore ed una forza alla mia arte, senza sostituirle, donandole un ruolo sociale, ruolo che oggi è più che mai necessario ».