Quando la musica diventa teatro

Recensione I Puritani. Tre ore e mezzo di grande spettacolo al Teatro dell’Opera di Roma con un allestimento imponente e riuscito de I puritani di Vincenzo Bellini. Il pubblico estasiato dalle performance di Jessica Pratt (alias Elvira Valton) e di Francesco Demuro (alias Lord Arturo Talbo) ha mostrato il suo apprezzamento con ripetuti applausi e un’ovazione finale. Scenografie e costumi all’altezza dell’ultimo capolavoro belliniano.

Sono passati più di centottanta anni dalla prima messa in scena de I puritani al Théâtre Royal Italien di Parigi (1835), ma l’entusiastica accoglienza di quest’opera da parte del pubblico è rimasta intatta nel tempo. Le vicende narrate, e soprattutto le intense passioni da esse suscitate, hanno una portata universale che va ben al di là del contesto storico a cui fanno riferimento. Bellini trae il soggetto dell’opera dal dramma Têtes rondes et cavaliers di Jacques-François Ancelot e Joseph Xavier Boniface e, dopo anni di collaborazione con Felice Romani (autore, tra gli altri, del testo poetico della Norma), affida la scrittura del libretto a Carlo Pepoli, esule politico amico di Giacomo Leopardi. A fare da sfondo, la guerra civile inglese di metà Seicento tra i Puritani guidati da Cromwell e gli Stuart capeggiati da Re Carlo; in primo piano, invece, il contrastatissimo amore tra i due personaggi principali, Elvira (soprano) e Arturo (tenore), ostacolato dalla gelosia dell’antagonista Riccardo (baritono). Nonostante gli inganni, le trame del potere e i patimenti del cuore – indimenticabile nel secondo atto il delirio amoroso di Elvira – Arturo e la protagonista coronano il loro sogno di unirsi in matrimonio, facendo sì che i Puritani di Bellini e Pepoli sia una delle poche storie amorose d’opera a lieto fine. Il canone dell’amore romantico viene quindi sfiorato e accantonato, a differenza della grande tradizione del melodramma ottocentesco, in cui la pretesa che esso “si compia nell’istante, per sancire la sua assolutezza quasi escatologicamente, in una totale fusione degli amanti, sembra reclamare la fine tragica dei medesimi” (G. Marengo, Generare nell’amore).
Ad assicurare il suo duraturo successo alcuni immancabili ingredienti drammatici dal valore archetipico, molto apprezzati dal grande pubblico: guerra e spirito patriottico, amore, gelosia e tradimento. Una bella e dolce fanciulla si innamora di un eroico cavaliere che, per salvare la sua Regina, Enrichetta di Francia, l’abbandona nel momento delle nozze, facendola impazzire di dolore. Arturo è condannato a morte per avere tradito il partito dei Cromwell, lo stesso di Elvira, in favore della Sovrana: malgrado ciò vuole rivedere la promessa sposa a costo della vita. Nel terzo atto, di fronte all’imminente esecuzione dell’amato, Elvira rinsavisce e un provvidenziale messaggio di pace risolve rapidamente la vicenda, consentendo a tutti di “vivere felici e contenti”. La collaborazione col librettista Pepoli dà presto i suoi frutti, sebbene quest’ultimo non avesse esperienza nella versificazione musicale. La consegna datagli dal maestro catanese consisteva nello scrivere una bella favola, piena di situazioni toccanti e momenti di tensione, anche se privi di coerenza drammatica o poco esigenti sul piano della verosimiglianza. La cifra stilistica di Bellini è data dall’esigenza di far corrispondere una determinata configurazione psicologico-sentimentale al “numero” musicale che la esprime, spesso concepiti in relazione alla voce che li canterà. Le scene vengono ideate una alla volta, come delle istantanee patetico-musicali, e la vocalità assume il ruolo dominante in una composizione policentrica, la cui finalità è di provocare la commozione del pubblico. Il melodramma belliniano punta a evocare le potenti forze del destino, ben più che a caratterizzare la soggettività dei personaggi, le cui volontà e il cui autocontrollo sembrano fare difetto.
Dal punto di vista squisitamente musicale, Bellini adopera l’intero organico orchestrale al fine di valorizzare al meglio la melodia. Come ricorda Fabrizio Della Seta, infatti, il catanese concepisce l’orchestrazione e la concezione melodica come due momenti subordinati e mai separati. Questo aspetto è ancora più elaborato nella partitura de I puritani, in cui è sempre molto forte l’aderenza alle convenzioni del suo tempo, seppure filtrata attraverso il gusto per il belcanto di matrice tipicamente italiana. Occorre tuttavia evidenziare come in questo lavoro, a differenza de I Capuleti e i Montecchi (1930) o della Sonnambula (1931), Bellini avesse rivolto lo sguardo verso il mondo musicale tedesco: si ascoltano nuove sonorità più nordiche, più visionarie, con una costruzione dell’azione basata su un’inedita tensione spazio/temporale. L’iniziale sorgere dell’alba, oppure il coro fuori scena che annuncia l’arrivo di Arturo, l’ansia generata da quest’attesa rievocano la tensione e il gioco di contrasti che Wagner realizzerà qualche decennio più tardi nel Tristan und Isolde.
La direzione di Roberto Abbado si avventura con destrezza tra le sfumature di questa melodica complessità, creando una simpatetica comunanza con gli ascoltatori. L’orchestra e il coro dell’Opera di Roma non sono da meno, sostenendo l’azione dei personaggi – specie nei momenti più lirici – ma anche conferendo un’ampia varietà di colori alla narrazione.
Le performance di Jessica Pratt e Francesco Demuro, per citare solo i protagonisti, senza nulla togliere agli altri, tra i quali spicca per tenuta vocale il baritono Francesco Vassallo, sono persuasive e tecnicamente impeccabili. La massa sonora dei due cantanti è decisamente complementare: ampia e vibrante la prima, tesa e allungata la seconda, come emerge soprattutto nel duetto tra Arturo e Elvira che domina quasi interamente il terzo atto, quando quest’ultima – poco prima dell’incontro – ricorda l’amato su frammenti di melodie di A te, o cara. L’incontro tra i due viene sottolineato da spasmi di tensione orchestrali seguiti da momenti di appassionata tenerezza (Nel mirarti un solo istante), fino ad arrivare alla dichiarazione d’amore di Arturo nella cabaletta Vieni fra queste braccia.
La regia di Andrea De Rosa si rivela fedele al contenuto del testo, adattando con ariosità e garbo le esigenze drammaturgico-musicali dell’opera alle particolarità espressive dei cantanti. La sua è una messa in scena “classica”, in sintonia con le attese dei palati più accorti come degli appassionati, attenta al quadro d’insieme, nonostante l’irruenza delle emozioni e la magniloquente gestualità dei personaggi.
La scenografia di Nicolas Bovey e i costumi di Mariano Tufano restituiscono in maniera adeguata la temperie “romantica” dell’opera, fatta di contasti e ambivalenze, ricorrendo all’alternanza delle luci e delle ombre (piene di struggente malinconia le scene notturne), del bianco (l’abito da sposa di lei) e del nero (così presente nelle scene collettive), del monumentale e del moderno (si pensi alle due pedane luminose e semoventi, pienamente integrate nella drammaturgia del terzo atto).

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro dell’Opera di Roma
Piazza Beniamino Gigli 7, Roma

I puritani
Opera seria in tre atti
Libretto di Carlo Pepoli
Dal dramma storico Têtes rondes et Cavaliers di Jacques-François Ancelot et Joseph Xavier Boniface
Musica di Vincenzo Bellini
Direttore Roberto Abbado
Regia Andrea De Rosa
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Nicolas Bovey
Costumi Mariano Tufano
Luci Pasquale Mari
Con
Jessica Pratt, Elvira Valton
Francesco Demuro, Lord Arturo Talbo
Franco Vassallo, Sir Riccardo Forth
Nicola Ulivieri, Sir Giorgio Valton
Roberto Lorenzi, Lord Gualtiero Valton
Rodrigo Ortiz, Sir Bruno Roberton
Irene Savignano, Enrichetta di Francia
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Durata circa 210 min con intervallo