Ambizione o maniera?

Recensione Rigoletto. Nel contesto del Caracalla Festival, il visionario regista Damiano Michieletto ha provato a gettare una nuova luce sull’iconica opera di Giuseppe Verdi, Rigoletto. L’evento, atteso da appassionati e dal grande pubblico, non ha mancato di innescare un certo grado di perplessità.

Nel caldo agosto del 2023, assistiamo al tentativo di Michieletto di declinare il Rigoletto su tonalità oscure, contestualizzando l’opera in un luna park della seconda metà del XX secolo, dove – attraversando una giostra, gangster, pupe e veicoli vari in evoluzione da atto ad atto – a prendere carne e sangue è una realtà cruda e “complessa”. Rinomato per le sue visioni audaci, talvolta persino controverse, Michieletto ha focalizzato la sua “interpretazione” sull’utilizzo integrato alla scena di immagini riprese in tempo reale da operatori con steadycam, perseguendo l’intento di creare una dialettica tra la narrazione musicale nel suo complesso e la sua restituzione visiva (concentrata sulla psicologia dei singoli personaggi).

L’intenzione è impattare sui piani interni alla scena, generandone di molteplici: uno fisico per l’azione, uno musicale per l’espressione emotiva, infine uno visuale per la prospettiva “integrale” e dettagliata della Storia nelle storie individuali. La sfida, dunque, risiede nel potenziare e arricchire l’esperienza spettatoriale, agevolando la comprensione del libretto attraverso le proiezioni sul grande schermo, senza sovra-caricarla con minuzie visiva. Tuttavia, emerge un primo – sorprendente – problema legato alla collocazione delle didascalie ai lati del palcoscenico, scelta che ha costretto lo sguardo del pubblico e la fruizione dello spettacolo a un costante e frustrante bilanciamento nella scelta tra cosa guardare e cosa “perdere”.

Tra i costumi di Carla Teti (adeguati alla “miseria” del contesto) e il disegno luci di Alessandro Carletti (che ben supporta la narrazione), la peculiarità cinematografica dell’approccio registico introduce una collaborazione potenzialmente affascinante tra gli aspetti scenografici e quelli visivi, collaborazione che, in sintonia con l’esperienza musicale e visiva, avrebbe però dovuto contribuire a un maggiore coinvolgimento psico-fisico del pubblico. D’altro canto, per la necessità di associare continuamente gli elementi visivi ai testi e non tralasciare il cruciale aspetto delle voci e della musica (nucleo pulsante dell’opera lirica) e per il rischio di dover “decodificare” la varietà degli elementi principali della trama (ripresi e dal vivo) senza annacquare le sfumature fornite dall’ensemble dei personaggi secondari, almeno allo stato dell’arte, l’ecologia estetica di questo Rigoletto non si presenta omogenea, ma distraente, così come il suo allestimento mostra il fianco al pericolo di diluire l’attenzione, invece di guidarla a una maggiore consapevolezza del dramma musicale.

Nonostante la precisione tecnica e il meritevole intento tecnologico, sorgono dubbi sull’adeguatezza estetica di tale progetto. È solo uno spettacolo con semplici trovate di comodo o un’autentica rivoluzione performativa? La risposta è ovviamente aperta all’interpretazione di ognuno, ma pone in luce l’urgenza espressa dall’esperimento di Michieletto: dalle suggestioni felliniane all’atmosfera spettrale, dallo schermo gigante che amplifica i minimi dettagli espressivi dei volti dei personaggi alle sequenze registrate che si intersecano e talvolta “spiegano” le motivazioni sottese agli eventi scenici, la strategia drammaturgica del suo Rigoletto ha sortito una percezione controversa e si trova in bilico tra un insidioso “accomodamento” alle mode di turno, che pensano l’evento artistico come semplice intrattenimento all’insegna dell’iperstimolazione, e la concezione di un’arte sperimentale in grado di promuovere una crescita culturale meditata.

Indipendentemente dall’ardire e dall’ingegno di Michieletto nel tradurre il dramma di Rigoletto in una dimensione moderna, il risultato non è esente da ambiguità. L’approccio contemporaneo è innegabile, la coerenza talvolta meno, e il risultato si frantuma, generando una sensazione di elementi eterogenei, che invece di ibridarsi in modo armonico, sono in competizione. La produzione, nonostante l’imponenza “stravaganza” scenica, pare soffrire di una mancanza di coesione e diautentica originalità nella direzione artistica, apparendo piuttosto manieristica.

Per fortuna, fintanto che il reparto musicale (e in parte quello vocale) manterrà un buon livello, come è stato il caso nella serata del 6 agosto, il rischio non appare eccessivamente imminente. Il maestro Riccardo Frizza guida l’orchestra con la solita precisione e competenza, plasmando una concertazione nitida e variegata che esalta la partitura verdiana. Un plauso va anche alla direzione del coro affidata al maestro Ciro Visco, mentre il comparto solista, sebbene non impeccabile, è stato comunque all’altezza, a cominciare dallo spavaldo Rigoletto, con il baritono Roberto Frontali che dimostra una certa comprensione del personaggio sia nella recitazione sia nella voce. Ioan Hotea è un Duca di Mantova vivace e convincente, mentre Zuzana Markova, nel ruolo di Gilda, manifesta la giusta illusione in un timbro leggiadro e una dizione impeccabile. Anche Riccardo Zanellato si conferma uno Sparafucile di talento, mentre Martina Belli incarna una Maddalena giustamente procace nell’aspetto e nella timbrica.

In definitiva, questa interpretazione di Rigoletto rappresenta un affascinante tentativo di fondere l’opera classica con elementi visivi contemporanei. Tuttavia, l’esito risulta influenzato dall’eccesso di azioni e informazioni visive e testuali, il che tende a rendere complicata la sua fruizione emotiva e musicale. Michieletto ha indubbiamente dimostrato coraggio nell’approccio, ma una soluzione al di là del manierismo sembra ancora da venire.

Lo spettacolo è andato in scena per il Caracalla Festival
Terme di Caracalla
Viale delle Terme di Caracalla, Roma
6 agosto 2023

Rigoletto
melodramma in tre atti
libretto di Francesco Maria Piave

dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo
musica di Giuseppe Verdi

Il duca Ioan Hotea
Rigoletto Roberto Frontali
Gilda Zuzana Markova
Sparafucile Riccardo Zanellato
Maddalena Martina Belli
Giovanna Irida Dragoti
Monterone Dario Russo
Marullo Alessio Verna
Matteo Borsa Pietro Picone
Il conte di Ceprano Roberto Accurso
La contessa di Ceprano Michela Nardella
Usciere Massimo Di Stefano
Paggio Carolina Varela

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
direttore Riccardo Frizza
regia Damiano Michieletto
maestro del coro Ciro Visco
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
movimenti coreografici Chiara Vecchi
luci Alessandro Carletti
regia camere live Filippo Rossi