Vi avvia al termine la cinquantatreesima edizione del festival Santarcangelo dei Teatri, tra le più longeve rassegne della scena italiana, con una tradizione che risale ininterrottamente al 1971. Dopo nomi del calibro di Roberto Bacci, Leo De Berardinis, Chiara Guidi, Ermanna Montanari e i Motus, l’edizione 2023 è stata diretta, al pari delle due precedenti, dal curatore, critico e drammaturgo polacco Tomasz Kirenczuk.

Titolo di questa edizione era Enough not enough, una litote che, come spiegato da Kirenczuk, si riallaccia a una più generale concezione dei festival come «spazio in cui si possano immaginare le alternative per quanto riguarda il modo in cui viviamo, il modo in cui funziona il mondo». Come ha precisato il direttore, «questo Enough vuole dire io non ce la faccio più e allora inizio a fare la mia parte che può essere l’arte, può essere l’attivismo, può essere qualsiasi altra scelta della vita che comunque viene da una coscienza, da una coscienza che riguarda proprio il nostro posizionamento, il nostro ruolo, le nostre necessità».

Molto variegata la selezione degli artisti chiamati, sia a livello anagrafico sia per quanto riguarda le diverse nazionalità, che spazia da personalità affermate quali Ana Pi, coreografa brasiliana, o Rébecca Chaillon, drammaturga francese, a giovani performer emergenti come il sudafricano Tiran Willemse, l’artista palestinese Basel Zaraa e l’attivista bielorussa Jana Shostak. Svariati anche gli ospiti italiani, quali Chiara Bersani, le performer e coreografe Giorgia Ohanesian Nardin e Sara Sguotti e il collettivo Dewey Dell; coinvolti in progetti di formazione e di sostegno alla giovane creatività hanno inoltre partecipato al festival anche il Teatro delle Albe, l’attrice e regista Emilia Verginelli e l’artista sonora Agnese Bant.

Quest’anno il festival di Santarcangelo si è svolto dal 7 al 16 luglio; particolarmente ricchi di eventi sono stati gli ultimi giorni prima della chiusura. Dall’11 al 13 luglio è andato in scena I’ll do I’ll do I’ll do dei Dewey Dell, ricerca visiva che insegue l’idea di un corpo ubiquo annoverando tra le sue fonti anche la Storia notturna di Carlo Ginzburg, con la sua riscoperta dello sfondo estatico e pagano da cui si muovevano i supposti rituali di stregoneria medioevali perseguitati dall’Inquisizione.

Il CollettivO CineticO della coreografa Francesca Pennini ha messo in scena Manifesto Cannibale. Esercizio per una pornografia vegetale, «una riflessione sul mondo vegetale che ci chiama a rileggere la collocazione dell’umano, la consistenza del tempo, le forme della percezione e del pensiero», la cui autrice si è messa volontariamente in una condizione di cecità registica e di incompletezza testuale «affidando la messa in scena a un sistema di comunicazione filtrato solo da indizi poetici» e dalla musica di Schubert. Con un carattere performativo che prevedeva il coinvolgimento diretto del pubblico era anche The Guxxi Fabrika del collettivo lettone-tedesco composto da Cote Jaña Zuñiga, Klinta Šinta, Anta Pole e Marta Rubene: alla performance, che mette in scena «una catena di produzione improduttiva […] il pubblico è invitato a prenderne parte come desidera: si può scegliere di aiutare le performer a preparare i materiali per dare vita a nuovi accessori, cimentarsi nel taglio e cucito seguendo gli schemi predisposti per creare il proprio progetto o semplicemente negoziare per ottenere qualcosa».

Sempre con uno sguardo critico sulle principali questioni e inquietudini del dibattito pubblico contemporaneo si muove anche Whitewashing di Rébecca Chaillon, lavoro in cui la Chaillon indaga «la tensione ambivalente che vive una donna nera all’interno di una società bianca, tra l’essere una donna delle pulizie e il prendersi cura del proprio corpo, del proprio io».

In un momento storico in cui il teatro contemporaneo spazia senza particolari direzioni di massima prestabilite, senza ideologie e anche senza un armamentario auto- o meta- critico, tra la scomparsa di vecchi maestri come Peter Brook e la fine di esperienze teatrali collettive altrettanto importanti quali l’Odin, i festival come Santarcangelo rappresentano notevoli momenti di scambio tra compagnie e performer provenienti da molteplici latitudini.

Difficile è dire se esista ancora un teatro comune, ammesso che sia esistito: più verosimilmente, l’estensione anche geografica dei luoghi di provenienza dei diversi artisti e realtà teatrali confluiti a Santarcangelo dimostra una sorta di ibridazione tra esperienze teatrali di nazioni e tradizioni molto lontane l’una dalle altre. Non per nulla l’idea di un ibrido, di un meticciato, o anche quella di un «folle volo» à la Ginzburg tra diversi strati di realtà e diverse stratificazioni religiose, è il vero leit motiv che abbraccia, a livello di concezione di partenza, gran parte dei titoli proposti da questa cinquantatreesima edizione del festival, che dunque ancora una volta sembra cogliere un interrogativo ingente della nostra contemporaneità.

Santarcangelo Festival
del 15 e 16 luglio
location varie

Unending love, or love dies, on repeat like it’s endless
di Baczyński-Jenkins

Rather a Ditch – Gallery version
di Clara Furey

La Vaga Grazia
di Eva Geatti

The Present Is Not Enough
di Calderoni e Caleo

Batty Bwoy
di Harald Beharie

Imbosco
con Bibi Seck e Asian Sal

Dear Laila
ideato da Basel Zaraa

The Guxxi Fabrika
curate da Cote Jaña Zuñiga

Nulle part est un endroit
di Nach

DOWN Single version
di Mélissa Guex

Lourdes
di Emilia Verginelli

Speaking Cables
di Agnese Banti

Samara Editions. Sense
di Kate McIntosh

A Plot / A Scandal
di Ligia Lewis

Whitewashing
di Rébecca Chaillon