L’anniversario che celebra il racconto infinito della musica

Divenuto nel corso degli anni uno dei più importanti appuntamenti culturali della capitale, il Rome Chamber Music Festival festeggia i suoi 20 anni con un programma dedicato alla grande musica e ai giovani talenti.

Sono passati vent’anni da quando Robert McDuffie, violinista pluripremiato e solista con le più importanti orchestre di tutto il mondo, che ha collaborato con grandi protagonisti della scena rock e della musica classica contemporanea, decise di “inventare” un festival musicale per Roma, la città percepita sempre come seconda casa per la quale l’amore è sempre stato immenso.

Non che mancassero, i festival musicali o gli appuntamenti prestigiosi dedicati alla musica classica nella città eterna, ma l’intuizione del direttore artistico McDuffie – supportato in questo da un folto gruppo di generosi sostenitori amanti della cultura e dell’arte, oltre al prezioso lavoro della squadra organizzatrice guidata dalla direttrice Jacopa Stinchelli fin dai primi passi del progetto – è stata quella di concepire il RMCF come il momento apicale di un percorso didattico: giovani talenti provenienti da tutto il mondo, accolti e cresciuti all’interno del McDuffie Center for Strings anche grazie al De Simone Young Artist Program, da vent’anni trovano nel Festival un trampolino di lancio, una delle più prestigiose occasioni di esibirsi dal vivo al fianco di grandi musicisti affermati sullo scenario internazionale.

Il successo del RMCF è d’altronde confermato dalla sua longevità, caratteristica che lo distingue, in valore e qualità, da eventi musical-culturali che nascono e muoiono a decine ogni anno, soprattutto a Roma. La sua longevità che coincide poi con la tenacia e la passione indefessa degli organizzatori, che ogni anno sono riusciti nell’impresa di regalare al pubblico edizioni indimenticabili in ambienti storici della capitale. Da Palazzo Barberini dell’Auditorium della Conciliazione, per approdare dallo scorso anno in uno dei centri nevralgici della cultura romana, il Teatro Argentina.

L’edizione di quest’anno ha una particolare importanza, perché si festeggiano i 20 anni del Festival e anche per questo la scelta del programma è stata profondamente ponderata e definita secondo un disegno che tenesse in considerazione la grande tradizione della musica da camera, i classici immortali, composizioni più ricercate e le tendenze sperimentali del XX secolo.

Dopo la serata di inaugurazione del 12 giugno, con Mendelssohn e Mozart protagonisti, il programma del 13 e del 14 giugno dice tantissimo dello spirito e delle ambizioni del Rome Chamber Music Festival. Inutile ribadire come la musica da camera per lungo tempo sia stata la modalità di scrittura, nonché di esibizione, più adeguata a esprimere la passionalità romantica dell’Ottocento. Prendiamo un artista come Franz Schubert, uno dei più grandi geni della storia della musica, capace di condensare nella sua produzione tutte le sfaccettature di un’epoca e tutti i paradossi dello spirito ottocentesco, dalle tribolazioni sentimentali al riscatto elegiaco. Tutto questo è evidente nel Quintetto per piano op. 114, meglio conosciuta come La Trota ed eseguita nella seconda parte del concerto del 13 giugno dai musicisti “senior”, una delle vette del genio schubertiano, dove i momenti impressionistici degli archi contrappuntano l’andamento suadente del piano, legando l’allusione all’andamento mellifluo dell’acqua del torrente al guizzo dell’animale; essendo Schubert, come lo definì Liszt, “il più grande poeta in musica”, proprio come avviene per tutti i grandi poeti, il genio è proporzionale alla malinconia e alla sofferenza, a sua volte bilanciate da una sorta di fede mistica nei confronti della natura.

D’altronde, Schubert negli ultimi anni della sua vita aveva percezione dell’incombere della morte, dato l’aggravarsi della sifilide che l’avrebbe condannato in giovanissima età; ma come Thomas Mann insegna nel Doctor Faustus, la malattia diventa patto diabolico del genio, condanna ma anche occasione di diventare immortali, perché la malattia in Schubert è uno dei motori della creatività. Ascoltando il meraviglioso Ottetto op. 166 eseguito il 14 giugno in maniera magistrale dai giovani allievi, alla percezione dell’avanzare della fine e al “rancore” nei confronti della malattia del secondo movimento, si accompagna però inaspettatamente anche un estro bucolico frizzante e divertito. In Schubert, a ulteriore testimonianza del genio poetico, non c’è mai autocommiserazione e tragicità mortuaria, perché il sentimento della sofferenza e della perdita è sempre accompagnato dall’energia tipicamente moderna, sinonimo di speranza infinita e di fiducia redentiva nei confronti dell’arte.

Quell’arte musicale che proprio nell’Ottocento ha espresso le vette più memorabili proprio nel linguaggio della musica da camera, dove un contenuto numero di esecutori e strumenti riesce a tendere fino al cielo esprimendo le vette incommensurabili dell’animo umano. Questo si dimostra particolarmente vero con lo spirito russo e con la grande tradizione della musica russa moderna: ascoltando Souvenir de Florence per sestetto d’archi op. 70 di Pyotr Il’yich Tchaikovsky, si viene travolti da un flusso indomabile. È proprio questa sensazione che Robert McDuffie, violino solista del concerto, ha saputo trasmettere nella seconda parte del concerto del 14 giugno: le sue doti performative infatti sono perfette per brani complessi, dinamici, esplosivi come quelli che Tchaikovsky compose, anticipando la grande tradizione della musica da cinema e facendo cinema prima dell’invenzione del cinema stesso. McDuffie offre un’interpretazione memorabile, grazie anche a tutti gli archi che lo circondano, arrivando al finale dell’unisono a una vera e propria vertigine musicale. E se parliamo di talenti non possiamo non fare riferimento alla violoncellista Erica Piccotti, classe 1999, accolta proprio dal gruppo McDuffie da giovanissima e divenuta negli ultimi anni uno dei protagonisti della musica da camera a livello mondiale – non a caso premiata proprio al concerto di ieri per i suoi risultati strabilianti, protagonista sia per La Trota, sia per Souvenir de Florence.

Ma dopo il prestigio immortale ottocentesco, cosa ne è della musica da camera nel Novecento? Ci hanno risposto a modo loro sempre i giovani musicisti alle prese con Dmitri Shostakovich e un brano articolato ed estremamente complesso: il Quintetto per pianoforte e archi op. 57 mette in evidenza cosa è rimasto nel Novecento dell’emotività sconfinata dello spirito russo. Questo afflato spirituale non è stato rimosso o eliminato, ma è come se fosse stato travolto: Shostakovic è lo spirito russo passato sotto lo schiacciasassi delle avanguardie europee di inizio secolo, nonché spremuto dalla morsa delle catastrofi storiche, dalle guerre alle dittature. Dissonanze e tensioni espressive sono il racconto di un’epoca ma anche di un’esperienza, quella biografica di Shostakovic, esperienza di persecuzione ideologica da parte del potere sovietico nei suoi confronti. Divenuto uno dei primi obiettivi della censura zdanoviana e perciò stesso stalinista, anche in Shostakovic tristezza e amarezza fanno tutt’uno con la genialità della composizione, perché d’altronde in musica spesso sofferenza è sinonimo di ispirazione creativa.

La tristezza però non è la dimensione emotiva del Festival: la serata del 15 giugno, quella del commiato dal pubblico, avrà per protagonisti Felix Mendelssohn ma anche John Adams on Shaker Loops, che testimonia di come la musica da camera sia arrivata fino alla contemporaneità passando per il minimalismo, altra grande passione di McDuffie. Si tratta di un evento di gioia che celebrerà l’importanza della grande musica e il racconto che essa riesce sempre a incarnare, tanto a livello individuale quanto sul piano storico, facendosi così linguaggio universale. E proprio questa universalità è l’essenza del Rome Chamber Music Festival.

Il Festival continua:
Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, 52 – Roma
dal 12 al 15 giugno, ore 20.00

Rome Chamber Music Festival 2023

Martedì, 13 Giugno
Dmitri Shostakovich (1906–1975)
Quintetto per pianoforte e archi in Sol minore, op. 57
pianoforte Derek Wang
violino Stefan Jackiw
violino Virgil Moore
viola Kinga Wojdalska
violoncello Silvia Gira

Franz Schubert (1797–1828)
Quintetto per pianoforte e archi in La maggiore, D. 667, op. post. 114, “La trota”
pianoforte Andrea Lucchesini
violino Amy Schwartz Moretti
viola Leonardo Taio
violoncello Erica Piccotti
contrabbasso Reed Tucker

Mercoledì, 14 Giugno
Franz Schubert (1797–1828)
Ottetto in Fa maggiore, D. 803, op. post. 166
clarinetto Yoonah Kim
corno Guglielmo Pellarin
fagotto Sarah Carbonare
violino Sophia Stoyanovich
violino Caitlyn Dillard
viola Matteo Mizera
violoncello Juliana Moroz
contrabbasso Moa Glimberg

Pyotr Il’yich Tchaikovsky (1840–1893)
Souvenir de Florence per sestetto d’archi, op. 70
violino Robert McDuffie
violino Luna Choi
viola Kinga Wojdalska
viola Wesley O’Brien
violoncello Erica Piccotti
violoncello Sarah Scanlon