Ad maiora

Recensione Aida. Sovrastata dall’irreale atmosfera della Valle dei Templi, a Piano San Gregorio è andata in scena una versione chiaroscurale dell’Aida, capolavoro della produzione lirica di uno tra i più grandi compositori universale del genere, il maestro Giuseppe Verdi.

In questo contesto crepuscolare, curato nella logistica e nella comunicazione da Progetto Eventi, SiciliArte Opera Management e Sicilia classica festival, si collocano le esotiche vicende del Nuovo Regno di Ramses III dove è ambientata la storia di Aida, principessa lacerata dall’amore per Radamès (capitano delle Guardie) e per la sua madrepatria (l’Etiopia). Schiava di guerra di cui si ignora l’illustre retaggio, Aida è innamorata e vede ricambiato il sentimento da Radamès, ma il capitano è stato scelto direttamente da Iside per contrastare la spedizione di liberazione di Amonasro (padre di Aida e sovrano di Etiopia). Dunque, per lei si pone un dilemma che la sprofonda nel più shakespeariano dei turbamenti: amore o morte? Come in Romeo e Giulietta, l’inevitabile esito sarà amore e morte. Anzi, che l’amore, quando assoluto, è morte perché l’impossibilità di dipanare i fili che legano il proprio destino (di Aida) alla rivalità sentimentale con Amneris (figlia del Faraone) e alla faida con il cinico e patriottico genitore fanno dell’eroina verdiana un personaggio tragico per antonomasia. Lo scontro interiore crea un vortice che esonda all’esterno, che non risparmia nulla e nessuno, ma che non si sviluppa in termini classici come conseguenza diretta di hybris: il segno dei tempi è infatti ben diverso, Verdi compose il melodramma quando l’unità d’Italia era ormai compiuta e il clima era quello del “consolidamento” risorgimentale. L’amore trasfigura l’impegno per la patria e l’impegno per la patria richiede dedizione assoluta; la vita e la propria volontà hanno senso unicamente se consacrati a un ideale più grande, l’ideale più grande è quello della collettività sociale a venire. Questa, ovviamente, è una delle possibili interpretazioni dell’Aida, ma Verdi era ben consapevole della necessità di edificare un nuovo immaginario unitario e nazionalpopolare e il suo ruolo in questo processo è ormai universalmente riconosciuto e determinante.

Dal punto di vista squisitamente tecnico, l’Aida rappresenta un’opera complessa da interpretare. In particolare, come ricorda il nostro Maurizio Maravigna (Un’Aida a metà), la difficoltà è dovuta «soprattutto perché pone al direttore e al regista un (falso) dilemma. La vulgata popolare vuole che sia un melodramma plateale: marce trionfali con tanto di cavalli, sfingi e obelischi di cartapesta (le edizioni areniane rispondono quasi sempre a questa lettura). I musicologi invitano invece a cercare la sua bellezza nelle pagine più intimistiche e nella raffinata orchestrazione. Quale lettura prediligere?». Tuttavia, «in realtà la scelta non si pone» perché se Verdi lasciò ai posteri un autentico arsenale di possibilità, il fulcro ideologico-musicale dell’Aida rimane il tentativo di «coniugare individuale e collettivo», ossia il rapporto tra il personale e il politico in un’Italia finalmente Stato, ma non ancora Patria. In tal senso, la pienezza di questa tragedia è sconcertante. Le due innamorate sono personalità singole e private, ma sono anche figlie di sovrani e dunque, in un certo senso, donne di stato. Le polarità non sono scindibili, la tragedia, diversamente dal riferimento shakespeariano, consiste in questo connubio e non nell’opposizione familiare. Ecco perché «il contesto, in questo Verdi, non è un elemento secondario, neppure se si tratta di un Egitto di fantasia, come precisa persino la sinfonia d’apertura: non ci sono solo il tema di Aida e di Amneris, ma anche quello dei sacerdoti (il conflitto tra individuo e ragion di stato, o autorità ecclesiastica, è posto a epigrafe)».

Insomma, Aida è una sfida stimolante e audace, che bisogna essere in grado di cogliere fino in fondo e con gli adeguati mezzi espressivi e tecnici. Da questa prospettiva, oscillando tra alcuni peccati veniali e un finale in crescendo, la messa in scena agrigentina è risultata controversa, ma complessivamente godibile. Per quanto riguarda le sfumature di grigio, hanno suscitato alcune perplessità due soluzioni che non paiono strutturali e che quindi ci si aspetta possano essere risolte da maggiore rodaggio e “investimento”. La prima è la singolare assenza di sovra/sottotitoli, il cui utilizzo è ormai canonico sia al chiuso, sia all’aperto (come al Festival Puccini di Torre del Lago per Madama Butterfly) e che risulta necessario per agevolare la comprensione del cantato. La seconda, invece, è riscontrabile in un comparto orchestrale di buona qualità che, a causa delle sue dimensioni numericamente scarne, ha smarrito parte della complessità della partitura verdiana, come l’alternanza tra i piano/pianissimo dei moti individuali e i forte delle scene di massa, e che ha restituito una sensazione di soffocata coralità (evidente nel caso della celeberrima Marcia apparsa spoglia e poco Trionfale).

Dal punto di vista esecutivo, dopo un Atto I calante e disomogeneo, dovuto probabilmente a problematiche di carattere tecnico, l’opera è salita di livello. Nonostante le dimensioni contenute del palco, la regia eccessivamente statica, i momenti coreografici da affinare (anzi, da calibrare sul ridotto perimetro a disposizione) e i costumi poco sfarzosi, dall’Atto II, Aida ha saputo recuperare una buona dimensione d’insieme tanto musicale, quanto canora e performativa, sfoggiando le individualità di Na­ta­sa Kà­tai e Va­len­ti­na Vin­ti. Restituendo solo in parte la commozione della protagonista, il suo dolore, la sua sconfitta, la regia di Salvo Dolce è però rimasta ancorata a un’impostazione illustrativa e manieristica che ha depauperato la comprensione ermeneutica del disagio e della sofferenza di un popolo e delle sue membra, mentre, parallelamente alla calibrazione dei volumi da parte dei fonici, le voci e l’orchestra sono cresciute nel corso della rappresentazione e hanno dimostrato di essere all’altezza della situazione, come se avessero “recuperato” una concertazione che sarebbe dovuta maturare durante le prove e che la direzione di Ales­san­dra Pi­pi­to­ne non ha compensato con l’adeguata personalità

Con l’estate che si avvia all’autunno e dopo l’esplosione di eventi e concerti che hanno animato l’alta stagione, specie all’aperto, la scena artistica di una città come Agrigento, che per le potenzialità del contesto dovrebbe essere di prim’ordine per l’intero anno, va progressivamente entrando in letargo. Tuttavia, almeno fino alle prime settimane di settembre, l’offerta culturale della terra che fu di Pirandello, Sciascia e Camilleri non è ancora terminata e non mancheranno le attività da attenzione, come i concerti di Tommaso Paradiso del 27 agosto e di Elisa del 1 settembre.

si ringrazia Giuseppe Spoto per la collaborazione nella stesura della recensione

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Valle dei Templi
Piano San Gregorio, Agrigento
24 agosto 2022, ore 21

Aida
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Na­ta­sa Kà­tai, Aida
Al­ber­to Pro­fe­ta, Radamès
Sil­via Pa­si­ni, Amenris
Da­vid Cer­ve­ra, Ramfis
Noh Don­gyong, Amonasro
An­ge­lo Sa­pien­za, Il Re d’Egitto
Fran­ce­sco Ci­prì, Un Messaggero
Va­len­ti­na Vin­ti, Una Sacerdotessa
Or­che­stra Cit­tà di Fer­ra­ra
Coro Li­ri­co Me­di­ter­ra­neo
di­ret­tri­ce d’or­che­stra Ales­san­dra Pi­pi­to­ne
re­gia Sal­vo Dol­ce
lighting de­si­gner Ga­brie­le Cir­co
co­reo­gra­fie Ste­fa­nia Co­tro­neo
co­stu­mi Sar­to­ria Pipi
al­le­sti­men­to sce­ni­co La Bot­te­ga Fan­ta­sti­ca
di­ret­to­re ar­ti­sti­co Nuc­cio An­sel­mo